Vita da CIO

“Vi racconto la sfida della digitalizzazione in Natuzzi”



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Pierangelo Colacicco, CIO della società, illustra la trasformazione digitale dell’azienda, l’integrazione dell’AI nei processi, e l’importanza di bilanciare operations e innovazione nei progetti IT. Come? Con una leadership “gentile”

Pubblicato il 4 dic 2024

Vincenzo Zaglio

Direttore ZeroUno, Head of Content Digital360



Digitalizzazione Natuzzi Pierangelo Colacicco
Pierangelo Colacicco, CIO di Natuzzi

Trent’anni in Natuzzi. Una vita (lavorativa) spesa nella nota azienda di design pugliese.

Pierangelo Colacicco entra da neolaureato come programmatore AS400 per poi ricoprire il ruolo di analista funzionale e diventare CIO dell’intero gruppo nel 2007. Una carriera segnata dalla tecnologia, ma non solo.

Qual è stato il progetto che ti ha maggiormente segnato?

Sicuramente l’implementazione di SAP a livello mondiale nel 2009. La famiglia Natuzzi mi aveva da poco nominato CIO e mi sono ritrovato a gestire un progetto molto impegnativo che ci ha tenuto impegnati per 4 anni. Non era affatto semplice. Dovevo gestire i consulenti e il passaggio epocale da AS400 a SAP, un cambiamento radicale. Questo progetto mi ha insegnato molto anche grazie alle metodologie strutturate di come Agile e Waterfall. Gestire un team di 50 consulenti, 30 persone IT, 20 Key user e più di 1.000 utenti in giro per il mondo è stata una bella sfida.

Il momento più difficile?

Probabilmente è stato durante questo progetto estremamente impegnativo. A due settimane dal go-live, ci siamo trovati di fronte a una decisione cruciale: procedere o fermarci. Da persona pragmatica, ho valutato i rischi con attenzione e abbiamo deciso di andare avanti. I tre mesi successivi sono stati intensi, lavorando fino a 18 ore al giorno, ma alla fine siamo riusciti a portare a casa un progetto di successo rispettando sia i tempi che il budget.

Cosa ti ha insegnato quel progetto?

Innanzitutto, ho avuto modo di approfondire metodologie strutturate come quelle portate dalla consulenza, che si sono rivelate estremamente utili. Ma la lezione più importante è stata imparare a gestire lo stress e mediare tra esigenze diverse, sviluppando relazioni efficaci. Questo aspetto è cruciale, perché il mio lavoro non si limita alla tecnologia: per generare valore e innovazione è indispensabile arricchire le competenze. Non a caso sto frequentando un Executive MBA al Politecnico di Milano, che mi sta offrendo una visione manageriale più ampia e completa.

Com’è l’interazione con i tuoi colleghi di business?

La nostra interazione con il business è sia reattiva che proattiva. Raccogliamo le richieste in termini di nuove funzionalità, ma ci facciamo anche noi promotori di nuove idee. Dico sempre che non siamo una software house o una società di consulenza, ma una direzione all’interno di un’azienda manifatturiera e retail che deve mettere il business in condizioni di fare al meglio il proprio lavoro. Questo significa che i tempi di risposta devono essere velocissimi.

Adottate l’Agile quindi?

Sì, l’Agile è un grande alleato, soprattutto per migliorare i tempi di risposta e favorire un dialogo efficace con i colleghi di business. Grazie alle iterazioni, possiamo rispondere rapidamente e coinvolgerli attivamente nell’avanzamento dei progetti. Personalmente, apprezzo molto entrare nel merito dei processi e comprendere a fondo le situazioni prima di prendere decisioni. Credo fermamente nel coinvolgimento del team: le decisioni imposte dall’alto raramente sono efficaci. Non siamo in un regime, ho constatato che una leadership “gentile” è quella che funziona meglio, almeno per me. Ascolto e umiltà sono qualità fondamentali che cerco di applicare ogni giorno.

Attualmente quanto del budget IT è dedicato alla manutenzione e quanto allo sviluppo di nuovi progetti?

Direi 60% per il normale mantenimento e 40% per nuovi progetti. Mi rendo contro di essere in una situazione un po’ anomala. La proprietà ed il Top management ripongono grande fiducia nell’innovazione digitale e ho sempre avuto budget ICT dedicato all’innovazione. Il mio gruppo di lavoro è composto da circa 25 persone e ho creato un piccolo team, con un paio di risorse, completamente staccato dal resto che si occupa solo di digital innovation. Fa studi, ricerche, analisi per portare sempre più valore all’azienda. Lavoriamo molto con l’Università del Salento, o con il Politecnico di Bari. Io stesso parlo spesso con fornitori, vendor, consulenti. Leggo e studio tanto, partecipo a convegni per rimanere aggiornato. Voglio capire lo stato dell’arte della tecnologia per comprendere se effettivamente queste tecnologie possono essere calate nel nostro contesto, a prescindere dal fatto che ci siano progetti in essere. A ogni modo l’innovazione non deve essere fine a sé stessa. Deve portare un valore di business, non è un esercizio accademico.

Su quali progetti state lavorando attualmente?

Ce ne sono diversi. Uno riguarda la digitalizzazione delle Operations e del Customer Services. Stiamo usando l’AI per la traduzione della documentazione tecnica di fabbrica integrata direttamente nel MES. Un altro bel progetto è la creazione di una “knowledge base” tramite Generative AI dove inserire non solo la documentazione tecnica, ma anche quella di vendita, marketing, amministrativa e sono in corso POC per validare il valore aggiunto di AI e Machine Learning in ambito Supply Chain. Oltre a essere CIO ho anche la responsabilità worldwide del Customer Service con l’obiettivo di digitalizzare il più possibile questi processi. Già adesso, gestiamo dalla Puglia tutto il customer service per i mercati europei ed emergenti.

Secondo te esiste un’organizzazione IT ideale?

Guarda, ho cercato di applicare al meglio metodologie e strutture organizzative consigliate anche da qualche consulente. Puoi certo prendere qualche spunto, ma, alla fine di tutto, quello che conta è la cultura aziendale, il suo modus operandi. Un’organizzazione IT studiata a tavolino che non tenga conto di questi fattori fa fatica a funzionare.

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