La forza dirompente attraverso la quale la tecnologia, in particolare quella basata su nuovi modelli di sviluppo, fruizione ed erogazione ‘as a service’, sta scardinando le logiche di business tradizionali, non lascia molta immaginazione alle previsioni degli scenari futuri: nella ‘new connected economy’, dove impiegati aziendali, collaboratori, fornitori, partner, ma anche clienti e consumatori, nonché “oggetti” e sistemi sempre più smart, accedono a dati e informazioni aziendali (e al tempo stesso ne producono), il cloud è l’elemento strategico abilitante in grado di supportare tale cambiamento in modo fluido e rapido.
In questa complessa sfida, il modello di sourcing e la corretta orchestrazione del nuovo ecosistema It aziendale rappresentano le due sfide chiave, decisive non solo per il successo del modello ‘It as a service’ ma anche della ‘connected economy’ aziendale: “Se la supply chain è cruciale per i prodotti fisici e la logistica e il sourcing corretto ne rappresenta un asset strategico in qualsiasi economia, ancor di più lo è in un’economia digitale basata sul cloud”, osserva Liz Herbert, Principal Analyst di Forrester. “Un servizio aziendale digitale, interno o esterno che sia, nonché la proposta di nuovi prodotti e servizi al mercato abilitata da processi digitali e nuove tecnologie, fanno sì che un’azienda non sia solo ‘cloud adopter’ ma che diventi una vera e propria ‘cloud company’. Non certo nell’accezione di ‘cloud service provider’, ovviamente; nella cloud economy, un’azienda ‘consuma’ cloud e altri ‘consumano’ ciò che l’azienda offre al proprio ecosistema (un offering sempre più abilitato proprio dal cloud)”.
Un ecosistema di business
Partendo da queste considerazioni, Herbert evidenzia come le nuove metriche per stabilire o meno il successo di una scelta cloud oriented in azienda non siano l’efficienza di costo o “semplicemente” una maggiore rapidità di go-to-market: “Seppur parametri importanti, questi afferiscono ‘solo’ alle opportunità offerte dalla trasformazione tecnologica, mentre il cloud abilita una trasformazione più profonda, del modo stesso di fare business. I Cio devono oggi costruire un ecosistema cloud centrico che connette impiegati, partner, fornitori e clienti in real-time, andando oltre le mere questioni di costo e velocità”.
Un ecosistema aziendale cloud centrico diventa un modello di ottimizzazione dei processi di business, evidenzia l’analista, ecco perché deve essere costruito su tre direttrici fondamentali:
- semplificare il ‘real-time engagement’ con impiegati, partner e clienti: il modello cloud rappresenta l’elemento abilitante attraverso il quale le persone riescono ad essere costantemente in contatto con l’azienda, sia all’interno sia all’esterno, attraverso strumenti semplici (basati sul web) e con device mobili. Questo aumenta la collaboration lungo tutta la filiera e le parti aziendali coinvolte e abilita una migliore e più ‘stimolante’ customer experience (elemento sempre più determinante nella ‘new connected economy’). Si tratta di nuovi modelli che non riguardano solo il mondo B2C, oggi un po’ più ‘avvezzo’ all’approccio digitale, ma che proprio nei settori B2B potrebbero esprimere al massimo la loro forza dirompente; pensiamo per esempio ad aziende manifatturiere (dal settore automotive a quello dei produttori di elettrodomestici o di apparecchi industriali…) che, attraverso il cloud, possono ‘connettere’ in real-time i dealer, i ricambisti, i tecnici dei servizi di manutenzione, ecc. per indirizzare in modo più efficiente ed efficace i servizi alla clientela, magari anche arrivando a gestire con maggior proattività i servizi di ‘manutenzione preventiva’ che non solo abbassano i costi aziendali del post-vendita ma aumentano la customer satisfaction;
- abilitare nuovi business model e creare nuove fonti di valore: che la digitalizzazione stia ‘sconvolgendo’ alcuni modelli consolidati è ormai un dato di fatto (pensiamo ai settori Media, Telco, Travel&Hospitality). Ma questa è un’opportunità in più per le aziende che possono sfruttare il cloud come trampolino di lancio per offrire al mercato ‘anything-as-a-service’ (XaaS). A tal proposito l’analista di Forrester fa un esempio molto interessante: “Attraverso un nuovo ecosistema cloud che connette device, pazienti e ospedali, le aziende produttrici di macchinari e apparecchiature medicali possono offrire nuovi servizi, in aggiunta al proprio core business tradizionale (la vendita dei dispositivi medicali agli ospedali), come per esempio il monitoraggio real-time dei parametri vitali dei pazienti (per esempio, un heart-monitoring-as-a-service)”;
- aggregare le informazioni per abilitare processi ‘smarter’ e un unico sistema di analytics: un ecosistema cloud offre molto di più di un semplice nuovo modello di deployment. Il potere di questo ecosistema sta nel fatto che esso può diventare un ‘generatore’ di intelligenza utilizzabile sia per rendere più smart i processi sia come baseline che aggrega una molteplicità di informazioni di valore per un sistema di business analytics più efficace. Per esempio, un ecosistema cloud che connette pazienti, farmaci, device e healthcare provider (farmacie, ospedali, case di cura, istituti medico-sanitari, ecc. fino agli enti pubblici e ai Ministeri della Salute) è esponenzialmente più efficace di un sistema che connette solo paziente e ospedale perché il network può contenere e analizzare molte più informazioni e divenire fonte di dati utile per l’intera popolazione, non solo per il singolo paziente.
Il giusto sourcing di risorse cloud
Ma se i modelli di business aziendali a tendere saranno sempre più cloud-centrici, come si costruisce tecnicamente un ‘cloud ecosystem’? Le questioni da risolvere sono molto importanti e i fattori critici di successo, secondo quanto riportato dall’analista Herbert nel recente report Cloud evolves from point solution to strategic enabler of the new connected economy, dipendono prevalentemente da due considerazioni preliminari sulle quali i Cio devono porre attenzione:
- focalizzare l’attenzione su cosa si sta già utilizzando e su come lo si sta facendo: è indispensabile provvedere a redigere un vero e proprio inventario dei servizi cloud in uso lungo tutta l’organizzazione aziendale; attività tutt’altro che semplice laddove i sistemi sono complessi, eterogenei e con isole e silos evoluti nel tempo in modo ‘artigianale’, con processi di integrazione che hanno aumentato la complessità delle architetture. Ma se dal punto di vista tecnico esistono tool tecnologici che possono automatizzare il discovery dei servizi It, l’analisi di come questi vengono utilizzati dagli utenti è un po’ più complessa e richiede un’attività di confronto e collaborazione tra It, top management e Lob, determinante per capire in che modo la proposta di business dipende (o potrà dipendere) dal servizio cloud sottostante;
- fermare la diffusione indiscrimanata di servizi cloud attivati dalle Lob e semplificare il modo di fare business attraverso i canali corretti: aumentare ‘senza regole’ la disponibilità di servizi cloud, soprattutto public, non è un approccio sostenibile. Su questi aspetti interviene anche Dave Bartoletti, Principal Analyst di Forrester, il quale, analizzando il percorso di trasformazione verso quello che pare ormai essere inevitabilmente lo scenario infrastrutturale e applicativo a tendere (ossia un ecosistema cloud ibrido), evidenzia come l’aumento di complessità derivante da tale approccio faccia venir meno il valore intrinseco dell’ecosistema cloud, non solo perché a lungo termine può risultare costoso e macchinoso da orchestrare, ma anche perché difficilmente può abilitare una efficace ‘connected economy’. “Non tutto è adatto e pronto per il modello ‘as a service’ – specifica Bartoletti -, e spesso il consumo diretto di servizi cloud pubblici da parte delle Lob è ‘causato’ dalla percezione di avere un It interno ‘limitato’ che funge più da impedimento che da abilitatore”. Fermare la diffusione indiscriminata di servizi cloud attivati dalle Lob significa intervenire affinché l’ecosistema cloud sia modellato in modo organico e integrato sulla base dei reali bisogni aziendali (solo così il servizio cloud diventa l’abilitatore corretto di business).
Superate le considerazioni preliminari, per riuscire a modellare un ecosistema cloud efficace è necessario capire quali sono i modelli ‘as a service’ cui tendere, quali le modalità di sourcing, quali le aree tecnologiche (infrastrutturali, applicative, piattaforme e middleware, ecc.). Su questi aspetti, Bartoletti offre alcuni interessanti spunti dai quali ricavare un vero e proprio business case, indispensabile per tracciare il proprio percorso di trasformazione e per capire, partendo dai workload aziendali, quali possono essere le applicazioni e i servizi che, attraverso il cloud, possono abilitare la ‘new connected economy’, nonché come integrare e orchestrare al meglio questo nuovo ecosistema (riportiamo tutti i dettagli nell’articolo Un solido business case per giustificare l’hybrid cloud).
La normalità dell’hybrid cloud
Dopo le doverose ‘accortezze’ preparatorie, Liz Herbert si spinge ad analizzare gli aspetti tecnologici, sottolineando come “il successo di un’azienda nella cloud economy richieda molto di più di una semplice ‘varietà di gusti’ del cloud; il portfolio di servizi cloud pubblici dovrà essere complementare e integrato agli ambienti It interni (infrastrutturali e applicativi, fisici, virtuali e in private cloud) e il dipartimento It dovrà ‘comporre’ i servizi di business attraverso scelte differenti, modellando di volta in volta un mix di risorse e dati interni ed esterni”. L’ecosistema cloud emergente sarà sempre più basato sui servizi cloud costruiti sull’eredità dei sistemi legacy: l’hybrid cloud sarà il ‘comune e normale’ modello degli ecosistemi It aziendali.
E per abilitare tale ecosistema diventa sempre più critico focalizzare l’attenzione su questi aspetti:
- i sistemi di ingaggio devono essere integrati e collegati ai system of record (come Erp, Crm e le business application aziendali): gli executive sono ‘innamorati’ delle mobile app e dei servizi cloud che forniscono una via più ‘elegante’ e intuitiva per l’ingaggio di clienti e partner; tuttavia, l’efficacia di questi sistemi è limitata se non si riesce a portare il dato generato attraverso queste app all’interno dei sistemi It aziendali. È fondamentale costruire una knowledge base ‘allargata’ che recuperi dati e informazioni da tutte le fonti possibili in modo da rendere reale, lungo tutta la ‘filiera di business’ l’ingaggio con l’utente (se un’azienda offre un’app per lo shopping online ‘accattivante’, ma questa non è integrata con il magazzino e la rete commerciale, un ritardo nella consegna potrebbe vanificare la customer satisfaction iniziale dell’utente);
- i sistemi legacy e i servizi devono essere ‘componibili’ come un software: oggi tutto, compresi i sistemi hardware legacy, possono essere trattati e gestiti alla stregua di software (software defined everything). Quando viene definito secondo un modello software, qualsiasi elemento diventa un servizio astratto e adattabile al modello ‘cloud like’ (as a service) al quale si possono applicare logiche di automazione (con rilasci più veloci, una miglior trasparenza sui costi, minori rischi);
- i sistemi di back-end necessitano di una revisione: il rischio di fallimento nella ricerca dell’agilità di business abilitata dalla flessibilità di servizi cloud real-time (gli elementi determinanti in una connected economy) è elevatissimo se ci si dimentica di rivedere e far evolvere i sistemi legacy. La prima strada da percorrere per creare un ecosistema cloud è la modernizzazione dei sistemi (infrastrutturali e applicativi) che devono migrare verso alternative ‘next-generation cloud’, ossia verso architetture pronte al cloud e abilitanti le nuove generazioni di servizi It.