Api, la nuova moneta della Digital Economy

Moltissimi service provider stanno già utilizzando le Api – Application Programming Interface – per migliorare efficienza operativa e produttività, ma queste interfacce stanno per diventare “la valuta” attraverso la quale monetizzare i percorsi di Digital Transformation in termini di innovazione e co-creation di opportunità e business model all’interno di un sempre più esteso ecosistema di vendor, partner, aziende clienti. Le ‘occasioni più ghiotte’ arrivano da progetti Big Data e IoT applicati a diversi settori verticali. A dirlo è Gartner.

Pubblicato il 26 Mag 2016

Dall’App economy all’Api economy il passo è piuttosto breve; non ci siamo ancora abituati del tutto all’idea, e forse non abbiamo ancora nemmeno compreso in dettaglio, come e in quale misura il software possa rivoluzionare in maniera così dirompente i business model tradizionali delle aziende, che siamo già passati dall’economia abilitata dalle applicazioni a quella in cui il valore è generato da un altro strato di software, quello delle interfacce di programmazione.
Anche questo, in fondo, è uno degli effetti tangibili di quella ‘rivoluzione digitale’ della quale ormai da parecchi anni ZeroUno ne analizza scenari di mercato, sviluppi ed innovazioni tecnologiche, impatti all’interno delle organizzazioni, non solo delle aziende utenti ma anche dei vendor Ict e di tutto l’ecosistema che vi ruota attorno, in particolare dei service provider… forse proprio tra i primi soggetti a poter trarre opportunità e valore dall’Api Economy.
Di fatto, già da tempo le Api hanno mostrato il loro potenziale nell’automazione dei processi interni, consentendo in particolare di ridurre i cicli di design, sviluppo e lancio di nuovi prodotti e servizi, ma ciò che ancora hanno da esprimere sta nell’aumento della collaboration (interna ed esterna), nell’integrazione di processi non più confinati all’interno delle mura aziendali ma sempre più estesi; il tutto per abilitare l’innovazione intesa sia come novità di prodotti e servizi ma anche, e soprattutto, come ‘new business model’ che possono generare nuovo valore e nuovo reddito, non solo per i service provider e le ‘terze parti’ dei grandi vendor.

Api per qualsiasi obiettivo

Che le opportunità generate dallo sviluppo e dall’uso delle interfacce di programmazione si esprimerà a breve consentendo a molte realtà di monetizzarne il valore (generare reddito grazie all’innovazione e alla digitalizzazione) ne è convinta la società di analisi americana Gartner così come riporta nel report “Market Trends: APIs Accelerate CSP Success in Digital Business” [disponibile cliccando qui – ndr], un approfondito studio non solo sull’attuale e futura economia di mercato movimentata dalle Api ma, soprattutto, un’attenta analisi delle aree all’interno delle quali questi ‘strati di software’ rappresentano la chiave di successo economico nei nuovi business digitali.
Il fatto che tale analisi parta dal mondo dei Csp (Communication Service Provider) è intuibile: “Le Api sono lo strumento o, meglio, la cascata di strumenti di monetizzazione del valore tra chi questo valore lo genera a monte e chi, a valle, lo consuma”, scrive l’analista Gyanee Dewnarain. Le primissime realtà investite da tale cambiamento sono le società di Telecomunicazioni e Media [non a caso l’acronimo Csp è sempre più interpretato nell’accezione di Content Service Provider – ndr].
Ma una cosa è certa, già nel 2016 si vedranno le prime ‘trasposizioni’ dal mondo dei Csp verso altri segmenti verticali quali il Manufacturing, in particolare l’Automotive, l’Energy o il Finance che potrebbero per primi sfruttare quanto le Telco stanno sperimentando da un po’, ossia l’utilizzo delle interfacce di programmazione per obiettivi quali:

  1. efficienza operativa e produttiva: come accennato, le Api rappresentano uno strumento ormai indispensabile per accelerare i cicli di design, sviluppo e rilascio di nuovi prodotti e servizi (nell’accezione più ampia, non necessariamente da intendersi solo come sviluppo di soluzioni Ict), con una certa riduzione di costi grazie all’automazione di processi (di fatto, le Api diventano lo strato software in grado di integrare sistemi e processi a più livelli rendendo quindi più rapidi i cicli produttivi);
  2. innovazione e collaborazione: la vera rivoluzione arriva dagli standard aperti e dalla possibilità quindi di sfruttare le Api per integrare piattaforme core e mission critical verso una maggior collaboration non soltanto tra team aziendali interni ma anche e soprattutto con partner, utenti e clienti che stanno fuori dall’azienda e che integrandosi con essa potrebbero dare (e ricevere) valore e contribuire all’innovazione di business (per esempio attraverso progetti e processi di co-creation/co-design);
  3. nuovi business model e reddito: le Api sono spesso sfruttate per migliorare i processi di misura e controllo del business, in particolare quale layer software attraverso il quale impostare nuove metriche e set di Kpi; come accennato, inoltre, le Api diventeranno sempre più lo strumento di integrazione tra chi ‘crea’ il valore digitale (sviluppatori, vendor, Isv, system integrator, ecc.) e chi lo consuma (utenti/clienti ed aziende), ancor di più in progetti sul fronte cloud, Big data ed IoT, che avranno un impatto significativo sui modelli di business.

Come ‘giocare la partita’

È proprio su questi ultimi fronti che si stanno giocando la partita i Csp, perlomeno quelle Telco/Media company che hanno compreso come i nuovi servizi digitali domineranno le iniziative M2M/IoT e Big data: ambiti dove proprio le Api rappresenteranno sempre più la chiave critica di successo e dove si concentrerà la ‘guerra della concorrenza’, per lo meno in una prima fase, quella attuale, dove ancora mancano standard di riferimento che lasciano del tutto aperta l’eterna lotta tra le strategie di chi (vendor, service provider e partner) ‘parte in quarta’ per catturare quote di mercato e convincere sempre più early adopter e chi, al contrario, mantiene uno sguardo attento sul futuro ma si muove con passo più lento: assisteremo ad un processo di unificazione/uniformità dal quale ricavare uno standard universale di Api o vedremo manifestarsi un crocevia di ecosistemi federati integrati da diversi strati di ‘traduttori e integratori’ (le Api, appunto), magari uniformati solo dall’utilizzo geografico o per industry?
Non esiste una risposta, perlomeno non oggi, ma ciò che consentirà realmente di monetizzare il valore dell’integrazione sarà il business model adottato dalle controparti chiamate in causa: “il successo deriva dalla capacità di generare i giusti incentivi e benefici sia dalla parte di chi produce il valore sia dalla parte di chi lo consuma”, scrive Dewnarain. “Vendor tecnologici, sviluppatori, Isv o Oem saranno sempre più ‘predisposti’ all’apertura e all’integrazione se riusciranno a vederne il potenziale in termini di mercati indirizzabili, attrattivi business model (nuove e diverse forme di licensing o di manutenzione, per esempio) o se vedranno nei partner alleati in grado di promuovere le proprie soluzioni. Dalla prospettiva delle aziende e dei consumatori del valore, le Api genereranno reddito laddove questi ultimi ne potranno trarre vantaggio scegliendo prodotti e servizi innovativi (dove user interface e user experience hanno un peso determinante), con modelli di pricing ‘appealing’ o addirittura vedendo concretizzarsi la possibilità di accesso a soluzioni ‘one-stop-shop’ con fatturazione unica, singolo punto di contatto per il customer care e supporto multipiattaforma… il tutto assicurato da data protection e sicurezza a tutti i livelli”.
Nel report indicato, Gartner si spinge oltre e suggerisce quali dovrebbero essere gli elementi da prendere in considerazione nel ‘costruire’ un Api business model, o meglio, le domande da porsi:

  1. strategia di business: optare per l’integrazione tra Network ed It oppure ragionare ad ampio spettro e pensare ad una ‘new digital platform’?
  2. tipologia di prodotto: sviluppare Api singole oppure pensare a prodotti ‘composti’ in grado di intervenire sull’integrazione tecnologica a più livelli?
  3. dinamiche di mercato: qui le possibilità sono innumerevoli: si può ragionare sul fronte della standardizzazione oppure, al contrario, sviluppare Api proprietarie pensando a nicchie di mercato o a particolari verticalizzazioni… e ancora al modello di accesso dei servizi (public, semipublic, private…);
  4. modelli di pricing: come accennato, gli scenari sono innumerevoli e quindi, anche le possibilità di ‘monetizzazione’ (free, frremium, subsription, pay per use, pay per transaction, revenue share); forse è proprio su questo aspetto che service provider e partner dovranno sempre più ‘sedersi ad un tavolo comune’ e collaborare. Il successo dell’Api economy dipenderà dalla capacità di condivisione di tutti gli attori coinvolti di obiettivi e valore.

Perché si parla tanto di API?

Il concetto di Api – Application Programming Interface – non è nuovo ma sta fortemente tornando ‘alla ribalta’ per alcune importanti ragioni, tre in particolare:

  1. la crescita dei progetti open source e il sempre più diffuso approccio all’open innovation: le soluzioni open source nascono dalla community senza quindi seguire un piano progettuale aziendale; perché tali progetti ‘funzionino’ e generino i benefici attesi è necessario integrarli nell’ecosistema aziendale (a volte le interfacce grafiche sono necessarie ‘semplicemente’ per poter accedere alle funzionalità messe a disposizione dalla community). Sul fronte open innovation è ancora più evidente la necessità di intervento: laddove i processi innovativi (e i risultati prodotti) sono estesi e distribuiti, serve uno ‘strato di collegamento’;
  2. la crescita e lo sviluppo delle Soa – Service Oriented Architecture – ha mostrato alcuni ‘limiti’ soprattutto sul fronte delle modalità di erogazione (sono nate prevalentemente sulla base di un approccio ‘inside-out’: è l’It aziendale interno che crea servizi da rilasciare all’esterno); le Api, al contrario, abilitano un approccio inverso, ‘outside-in’ consentendo alle aziende di ‘catturare’ l’innovazione reperibile sul mercato ed integrarla nei sistemi aziendali per abilitare ed erogare servizi migliori;
  3. l’interfaccia di programmazione sta diventando a tutti gli effetti un’applicazione (ecco perché del passaggio dall’App Economy all’Api Economy) e sarà sempre più l’acceleratore della migrazione del legacy verso sistemi più flessibili.

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