“Ho visto più lontano degli altri, perchè stavo sulle spalle dei giganti”
Isaac Newton
Soltanto un tipo davvero distratto non riesce a rendersi conto di quanto oggi stia cambiando lo scenario tecnologico che ruota intorno a noi e che impatta aziende e singole persone. Si tende ancora a pensare che la disruption digitale riguardi soprattutto settori lontani, che la strada da compiere sia ancora lunga e poi, in vacanza, prenotando la camera su booking.com o l’appartamento con Airbnb, senti immediatamente di essere all’interno della “Borsa digitale della locazione di stanze e appartamenti” con tariffe che, come in una vera Borsa di contrattazione, diventano di ora in ora più convenienti o più care nell’immutabile parametro domanda-offerta. E digital disruption significa anche musica in streaming, ormai un’abitudine consolidata con Spotify, a farla da padrone, con compilation di musica inventate al volo, per passare il tempo nelle lunghe tappe di trasferimento. Ed è un divertimento sempre nuovo e personalizzato.
Dietro queste e numerose altre digital disruption di settori una volta radicalmente diversi, c’è un mondo tecnologico e di innovazione che negli ultimi anni ha accelerato moltissimo e che oggi, grazie ad architetture, processori, potenza elaborativa, reti, security, intelligenza e automazione di analisi dei dati, cambiamento del modello di erogazione applicativa e infrastrutturale (cloud), sta rendendo possibile questa digital transformation.
Le basi per un’accelerazione dell’innovazione ci sono tutte. L’Espresso, in un recente servizio dedicato al “post umano”, sposando la tesi che le tecnologie digitali, di genomica, bionica e robotica possano accelerare un salto evolutivo della nostra specie, riporta l’opinione del futurologo americano Gerd Leonhard, il quale sostiene che “Ci saranno più innovazioni nei prossimi 20 anni che negli ultimi 300”. E ancora, raccoglie il pensiero di Mauro Magatti, sociologo presso l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: “Negli ultimi 20-30 anni il mondo ha posto le basi scientifiche e tecnologiche per una forte trasformazione antropologica che certo ci coglierà a breve”.
Nelle aziende, le stesse tecnologie che trovano ambiti di applicazione consumer e che sono alla base della nuova potenza computazionale che sta aprendo nuove frontiere evolutive su tantissimi fronti, stanno stravolgendo consolidati modelli architetturali e sono l’elemento primario per il ripensamento di modelli di business tradizionali: Idc prevede che entro tre anni, nel 2019, oltre il 50% degli investimenti aziendali in Ict sarà destinato ad apportare cambiamenti radicali ai propri modelli organizzativi in chiave digitale, per reggere o per guidare la disruption del proprio o di altri settori di mercato.
Tutto ciò è possibile grazie a un nucleo di tecnologie che dopo anni e anni di ricerche e sviluppi, di fughe in avanti e di cocenti delusioni, stanno giungendo a maturazione e a generale diffusione e utilizzo: tra queste senz’altro il cloud, che con il suo incedere rapido sta confermando il suo obiettivo di garantire alle aziende velocità e capacità, teoricamente illimitata, di erogazione di servizi agli utenti (interni ed esterni) a costi più contenuti (pay per use) rispetto al passato. Un passo decisamente in avanti e importante per sviluppare nuovi servizi e modelli di business. Ma vi sono anche, in questo gruppo di tecnologie innovative, i “semilavorati software” e gli algoritmi, (quello che Gartner chiama l’“Algorithmic Business”, algoritmi che definiscono i processi di supply chain, di assessment dinamico del rischio, di gestione delle competenze delle persone in aziende di un dato settore, di interazione evoluta con i clienti, di ottimizzazione dei percorsi stradali per differenti profili di guida ed esigenze professionali, e mille altri) che oggi consentono di assemblare applicazioni e servizi in tempi velocissimi rispetto al passato, in una logica di sviluppo continuo, collaborativo e flessibile.
Sempre sul fronte tecnologico non possiamo dimenticare, la “democratizzazione” che le nuove tecnologie di analytics consentono, distaccandosi ormai moltissimo dal modello monolitico dei grandi datawarehouse del passato, per arrivare ad un’integrazione nativa nelle applicazioni (usate in cloud e fruite in mobility), consentendo analisi personalizzate, con interfacce e funzionalità semplificate e mutuate dal mondo delle App. E che dire dell’intelligenza diffusa potenzialmente da miliardi di sensori IoT, con dati pronti ad essere trasformati in preziose informazioni da sistemi sempre più intelligenti, che hanno ormai preso la strada del cognitive computing e dell’Intelligenza artificiale? Si tratta di sistemi che si apprestano a ridefinire i ruoli e le competenze degli esseri umani in una nuova dimensione lavorativa che vede necessariamente una collaborazione e un mutuo apprendimento uomo-macchina, ma che è comunque destinata a rivedere radicalmente i criteri dell’organizzazione del lavoro in ogni fascia di livelli professionali, dai lavori più facilmente sostituibili attraverso l’automazione spinta, fino a ruoli di maggior valore intellettuale ma anch’essi impattati delle macchine intelligenti che arriveranno.
E infine, tra i sommovimenti in atto, non possiamo dimenticare l’effervescenza e il ribollire del mondo start up, espressione di una nuova imprenditoria che vede, fisiologicamente, i giovani, artefici e promotori di nuove forme di innovazione sociale. Le start up sono spesso l’espressione di quella iniziativa imprenditoriale che necessariamente oggi si sposa appieno con una società che va digitalizzandosi; andrebbero quindi valorizzate, integrate, agevolate, nelle loro forme di sviluppo.
Articoli di approfondimento sulle tecnologie citate nell’editoriale |
Ed eccoci arrivati al punto finale di riflessione di questo editoriale. L’agevolazione dell’innovazione, la presa di coscienza di un contesto sociale in profonda trasformazione ma al quale manca ancora la spinta fondamentale, la visione strategica di prospettiva, sostenuta economicamente e politicamente da un soggetto imprescindibile da questo scenario: lo Stato. Ed è questo il motivo principale per cui abbiamo deciso di proporre la nostra Storia di Copertina proprio sul ruolo dello Stato, della Pubblica Amministrazione, centrale e locale, come soggetto innovatore e imprenditore. Che noia, direte: adesso si parte con l’ennesima Agenda digitale e ci si perde nel dedalo dei piani di sviluppo strategici e nell’articolazione, disaggregata, delle iniziative regionali e comunali. Eppure, eppure…qualcosa sta cambiando anche in Italia. Cominciano a vedersi dei focal point importanti. Senz’altro a livello internazionale, i nuovi scenari di cambiamento che stiamo vivendo forzano le amministrazioni pubbliche ad assumere un ruolo più attivo e “imprenditoriale” rispetto al passato, definendo e attuando piani strategici per agevolare uno sviluppo di sistema che poi le nuove imprese, o le imprese nel bel mezzo della disruption, possano cogliere come elementi di supporto e di accelerazione alla loro crescita e in seconda battuta, alla crescita del paese. Focalizziamo questa impostazione riprendendo la tesi che l’economista Mariana Mazzucato ha proposto in un suo recente saggio: nelle economie più avanzate è lo Stato, attraverso strumenti diversificati, a finanziare lo sviluppo di nuovi prodotti, a farsi carico dei rischi di investimento iniziale nella Ricerca e Sviluppo di nuove tecnologie. Poi la capacità e l’aggressività imprenditoriale consente alle aziende, in primis quelle della mitica Silicon Valley, Apple in testa, di sviluppare prodotti che cambiano la storia del genere umano. Ma senza gli investimenti strutturali dello Stato su Internet, sulle reti di sicurezza anti cybercrime (tutte tecnologie spesso di derivazione militare), senza la vision necessaria ad esplorare settori quali le nanotecnologie, le energie alternative (pensiamo a Google quanto sta diversificando in questo settore il proprio business), senza le reti ad alta velocità che rappresentano le dorsali vitali per le comunicazioni e il business del paese, tutto questo rischia di avere vita breve (il piano nazionale italiano per la Banda Ultralarga – Bul – è stato approvato lo scorso 30 giugno dalla Commissione Europea e attraverso un mix di investimenti pubblici e privati porterà l’accesso veloce a Internet in aree in cui attualmente non è disponibile – aree non solo isolate e depresse ma anche in zone di forte sviluppo e di importanza economica ma tutt’ora senza adeguati collegamenti).
Oggi, alla vigilia di una nuova fase di sviluppo dei modelli economici e sociali grazie alla rivoluzione digitale, il soggetto Stato non solo non può più esimersi dal giocare una partita di primo piano e di impostazione strategica, ma deve essere esso stesso soggetto attivo in grado di coagulare le migliori energie dell’innovazione. E da queste, avendo una visione che abbia sempre al centro elementi di miglioramento sociale, etico e di qualità di vita delle persone, trarne poi benefici, strutturali ma anche economici, da ridistribuire al Paese. Senza questa visione, saremo sempre l’Italia dell’emergenza e delle infinite rincorse.