MILANO – L’idea ha iniziato ad affermarsi nel mondo anglosassone, le formule sono diverse, ma il concetto è uno solo: reperire risorse economiche sul Web. L’Osservatorio Crowdinvesting della School of Management del Politecnico di Milano ha presentato il primo report italiano che ha delineato questo nuovo fenomeno. Un fenomeno che si esprime in tre diverse attività, appunto, svolte online: l’equity crowdfunding, il lending crowdfunding e l’invoice trading. Nella prima, la raccolta di capitale avviene attraverso la sottoscrizione diretta sul Web di titoli partecipativi del capitale; nella seconda, detta anche social lending, gli investitori possono prestare denaro attraverso Internet a persone fisiche o imprese; la terza consiste nella cessione di fatture commerciali attraverso portali Web che selezionano le opportunità e sostituiscono il tradizionale sconto delle fatture attuato dalle banche.
“Nel Regno Unito sono partiti nel 2009, – ha spiegato Giancarlo Giudici, Direttore scientifico dell’Osservatorio – in quell’area la normativa era meno stringente che in Italia, dove solo recentemente la Banca d’Italia ha inquadrato anche i portali di social lending nell’ambito degli istituti di credito. Il ritardo italiano è dovuto anche a una minor dimestichezza con strumenti non tradizionali di raccolta, il che ne determina per lo più al momento, un utilizzo solo al fine di diversificare il portafoglio”.
La situazione italiana
Da quando in Italia l’accesso all’equity crowdfinding è reso possibile a startup innovative (purché, come stabilisce la Consob, la campagna sia veicolata su piattaforme autorizzate, al momento 19 e tra le più attive vi è StarsUp) si sono aperte interessanti prospettive. Per quanto non si possa parlare di cifre quali quelle del Regno Unito (in cui nel 2015 sono stati raccolti 332 milioni di euro), è interessante notare che nell’ultimo trimestre sono arrivate sul mercato 11 offerte, per una quota di 5,565 milioni; si stima dunque che entro l’anno si possa giungere a 9 milioni di euro.
Per quanto riguarda il lending crowdfinding a livello mondiale sono stati raccolti 25 miliardi di dollari (con la statunitense Lending Club che si è distinta in tale attività) mentre in Italia (dove sono attive Borsadelcredito.it, Prestiamoci, Smartika, Soisy ed è in arrivo Younited Credit) il totale dei prestiti erogati è pari a 28,3 milioni di euro, con una durata media dei finanziamenti tra i 30 e i 40 mesi e il tasso annuo nominale (Tan) di circa il 6%.
Infine, per l’invoice trading in Italia è attiva la sola piattaforma Workinvoice.it, ma ne stanno partendo altre due: Instapartners e Cashme. Questo mercato è ancora piccolo: sono solo 40 le imprese che hanno adottato questa soluzione per un totale di 220 fatture cedute, pari a un importo totale di 11 milioni di euro, a fronte di 20 investitori. Anche in questo caso bisogna guardare al Regno Unito per osservare numeri molto diversi: l’invoice trading oltremanica ha movimentato 325 milioni di sterline solo nel 2015.
“Per fare davvero decollare il social lending – ha concluso Giudici – occorrerebbe una modifica del regime fiscale; al momento, infatti, mentre le rendite in generale sono tassate al 26%, i proventi da queste nuove modalità di investimento sono da denunciare in dichiarazione dei redditi dove le percentuali arrivano a essere più alte. Inoltre, ci si aspetta che l’opportunità dell’equity crowdfinding sia estesa e non limitata alle startup”.