Sulla spinta della mobility, il posto di lavoro flessibile e smart porta certamente importanti benefici in termini di produttività individuale, ma richiede anche un inevitabile cambio organizzativo e di natura culturale. Quali tecnologie e strategie occorrono quindi per abilitare correttamente queste nuove modalità operative? Il tema è stato affrontato durante il webinar “Il nuovo workplace: tecnologie e modelli per accelerare l’innovazione in impresa”, organizzato di recente da ZeroUno in collaborazione con Project Informatica (società che sviluppa e commercializza software di gestione) e VMware Italia.
“Un workplace intelligente – esordisce Valentina Bucci, giornalista di ZeroUno – permette di ottimizzare i processi, risparmiando, per esempio, su tempo e costi legati agli spostamenti delle persone, con benefici misurabili e percepibili nell’immediato. Offre inoltre, vantaggi indiretti, su cui c’è meno consapevolezza da parte delle aziende, come la possibilità di liberare e condividere la conoscenza (learning organization), favorendo il dialogo e nuove forme di collaborazione”. Se il digital workplace alimenta nuovi modi di lavorare e collaborare, quali sono però le criticità di implementazione? “L’It – conclude Bucci – si scontra con la necessità di scegliere le tecnologie giuste, offrire una user experience intuitiva e di qualità, mantenere governance e sicurezza, creare consenso, definire un disegno coerente ad ampio raggio”.
Smart working: come e perché
Nonostante le sfide, lo smart working sta generando sempre più interesse. Ma partiamo dall’inizio: cosa si intende per smart working? Lo chiarisce Laura Fasolo, Senior Consulter di P4I: “E’ una nuova filosofia manageriale, fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. È un’organizzazione del lavoro diversa perché richiede di mettere intelligenza, passando dall’activity management alla gestione degli obiettivi”. I pillar del lavoro intelligente sono:
- creazione di nuove policy organizzative,
- ricorso alle tecnologie digitali,
- revisione degli spazi fisici in azienda perché favoriscano concentrazione, collaborazione, comunicazione e creatività,
- cambio dell’approccio ai collaboratori da parte dei manager.
Tutti elementi sui quali lo smart working ha un impatto positivo. Tra le criticità d’adozione, invece, si rileva la necessità di definire un disegno coerente e obiettivi chiari al fine di generare commitment da parte dei vertici e dell’azienda tutta, con un approccio multidisciplinare e coinvolgendo diversi attori, tra cui: Risorse Umane e Comunicazione, Sistemi Informativi, chi si occupa di progettazione degli spazi, sindacati”. Altro suggerimento: il modello di smart working, pur traendo ispirazione da iniziative di altre organizzazioni, va personalizzato secondo le specificità aziendali e sulla base di un assessment preciso e articolato; è preferibile inoltre procedere per sperimentazioni e progetti pilota, che coinvolgano inizialmente target ristretti.
Tecnologie per il nuovo workplace
A latere delle criticità strategiche, Gianluca Giacchetta, Presales Consultant di Project Informatica, sottolinea le difficoltà sotto il profilo tecnologico: “Bisogna creare innanzitutto un’identità digitale unica per ogni utente, affinché possa muoversi in maniera trasparente e rapida tra contesti applicativi diversi, cloud e on-premise, senza la necessità di autenticarsi più volte”. Quindi c’è il tema della gestione dei dispositivi (con tutte le questioni legate al Byod) e della disponibilità da qualsiasi device di un ambiente di produttività personalizzato e univoco. Infine, c’è la questione della protezione dei dati: un uso promiscuo dei dispositivi privato-professionale può creare falle di sicurezza e diventa necessario separare i due ambienti.
“Oggi – si inserisce Luca Zerminiani, Senior Systems Engineering Manager di VMware Italia – è cambiato il modo di lavorare: le applicazioni non risiedono più solo localmente, i dispositivi sono molteplici, il workplace è diventato mobile… Ciò crea per l’It una complessità che deve essere governata. Si va in direzione del digital workspace, facilmente fruibile dall’utente e allo stesso tempo enterprise secure”. Secondo Zerminiani, usabilità significa accesso con single sign-on al proprio ambiente di lavoro e a un catalogo di applicazioni self-service da qualsiasi dispositivo e piattaforma. La gestione di app, Enterprise Mobility, identità e policy rientra infatti nelle funzionalità base di VMware Workspace One.
Sicurezza e controllo al centro
Ma se le tecnologie per il nuovo workplace sono pronte, gli addetti ai lavori sono ancora scettici rispetto all’effettiva adozione dello smart working, come evidenziano le domande pervenute tramite la bacheca online del webinar. Nell’occhio del ciclone ci sono i temi legati alla sicurezza. L’It teme innanzitutto una perdita di controllo, vista la tendenza delle Lob a scegliere le tecnologie in autonomia. “Per contrastare lo shadow It – suggerisce Giacchetta – bisogna fornire applicazioni e servizi enterprise che abbiano la stessa usabilità e funzioni di quelle consumer”. “Una soluzione – afferma Zerminiani – è appunto fornire a livello aziendale un catalogo che offra accesso rapido ad applicazioni enterprise analoghe a quelle consumer”.
Ma come si gestiscono l’Enterprise Mobility e le questioni legate al byod, bilanciando sicurezza e usabilità? “Innanzitutto – afferma Zerminiani – il primo elemento di semplicità è il single sign-on. L’utilizzo sempre più esteso di soluzioni multi-vendor e cloud-based oggi implica credenziali di accesso diverse per ogni servizio, con il rischio che l’utente poi si annoti userid e password in posti poco sicuri. Meccanismi di autenticazione unica garantiscono sia usabilità sia efficacia della protezione”. “In modo trasparente”, aggiunge Giacchetta, cosicché all’utente è nascosta (e quindi totalmente indifferente) la sorgente dell’applicazione e dei dati.