A due mesi di distanza dall’annuncio della vendita della parte di software ‘non core’ di Hpe a MicroFocus, per un valore complessivo di 8,8 miliardi di dollari [si parla in realtà di ‘spin-merge’ perché a fronte dell’acquisto di asset non core da parte di MicroFocus, Hpe acquisirà il 50,1% della nuova ‘merged company’, che manterrà comunque il nome MicroFocus – ndr], ad acque un po’ più chete analizziamo i retroscena di questa operazione che lascia ancora qualche dubbio, soprattutto sul piano della strategia Hpe.
Opportunità chiara per MicroFocus…
Per MicroFocus l’acquisto rappresenta senza dubbio un balzo in avanti per poter competere con player più grandi e meglio posizionati (pensiamo ad Ibm e Microsoft) ma anche con vendor specializzati come RedHat (non a caso negli ultimi due anni MicroFocus ha spostato l’attenzione su software più ‘redditizi’ e con una crescita maggiore comprando per esempio Suse, il numero due al mondo nella produzione di software Linux).
Stando alle parole dell’executive chairman, Kevin Loosemore, “la società prevede di migliorare i margini sugli asset acquisiti da Hpe [che lo ricordiamo sono le componenti software di Application Delivery Management, Big Data e Information Management, Security e It Operations Management – ndr] di un quinto già entro la fine del primo anno finanziario”.
Chiara dunque la strategia di MicroFocus, anche se qualche settimana fa lo stesso Loosemore si è lasciato scappare una dichiarazione: “Vedo l’operazione con Hpe un’altra opportunità per trarre profitto dal ‘vecchio’ software”, che ha portato l’analista di Peel Hunt (società londinese specializzata in operazioni di investimento finanziario), Paraag Amin, a scrivere sul Telegraph un articolo in cui dichiara: “MicroFocus attende che la tecnologia sia matura, attende che le imprese che si occupano di tale tecnologia vadano in declino per poi acquisirle e trarne profitto guidandone una nuova reddittività”.
Nulla di male in sé, ma certamente gli utenti che hanno una base installata di software Hpe inizieranno a chiedersi cosa potrebbe cambiare sul piano dell’evoluzione del software che si sono portati in casa.
… ma la strategia di Hpe qual è?
Sul fronte Hpe la situazione appare meno chiara, a partire dal fatto che sulla base di questa operazione sono stati ritenuti ‘non core’ software come quelli per l’analisi Big Data, l’Information Management e la Security che invece sono ambiti sui quali si registrano crescite costanti (sul fronte Big Data e Information Management gli analisti di Idc stimano una crescita annua media dell’11-12% ancora per i prossimi 3-5 anni; in ambito security, seppur con percentuali più contenute, la crescita prevista per i prossimi anni sia da Gartner sia da Idc è del 4% circa). Nelle note stampa rilasciate da entrambe le società, infatti, viene riportato l’elenco del software definito ‘non core’ che, come anticipato, passerà nelle mani di Micro Focus: Application Delivery Management, Big Data, Enterprise Security, Information Management & Governance e It Operations Management (molti di questi asset derivano dalla controversia acquisizione di Autonomy del 2011, fanno notare gli analisti di Forbes e Idc).
Hpe concentrerà i propri sforzi sul fronte del Software-Defined Infrastructure “non abbandonando del tutto il software che rimane uno dei pilastri della nostra nuova strategia”, fa sapere in un comunicato stampa la Ceo, Meg Whitman. “Abbiamo bisogno degli asset giusti per vincere nel nostro mercato target; andando avanti, lavoreremo per ampliare le funzionalità che abilitano e differenziano le nostre infrastrutture”. Ric Lewis, Senior Vice President del software-defined and cloud group di Hpe, ha poi fatto sapere in una nota che la società si suddividerà in tre gruppi strategici di lavoro: uno focalizzato sulle tecnologie software-defined e cloud, uno sulle infrastrutture data center ed uno su IoT ed edge technology.
Nonostante le chiarificazioni, il mercato non ha reagito molto bene all’annuncio: mentre le azioni di MicroFocus sono salite del 14,7%, quelle di Hpe sono scese del 4%. Non solo, la stessa MicroFocus ritiene che possa aumentarne i margini di circa 20 punti percentuali (dagli attuali 21% al 46%) in soli tre anni.
Insomma, lo scenario attuale è quello dei mercati finanziari un po’ in fermento ed il mercato della domanda in attesa, ma è la stessa Withman a fornire rassicurazioni parlando di “proseguimento del percorso di alleggerimento mediante lo smantellamento delle attività meno redditizie”, (anche se, per ora, guardando ai numeri di mercato il software non avrebbe dovuto rientrare tra queste) ed evidenziando come dopo le varie operazioni (divisione del colosso in due realtà, Hp ed Hpe, cessione della componente di servizi a Csc, cessione del software) “Hpe cresce più in fretta, ha margini più alti, maggiore cash flow ed una capitalizzazione più elevata del 40% (pari a 10 miliardi di dollari)”.
“Tutte queste operazioni potrebbero rendere particolarmente attrattiva Hpe sul mercato, aprendo le porte a possibili acquirenti”, si azzarda a sottolineare Charles King, Presidente e Principal Analyst di Pund-It, società indipendente di analisi e consulenza del settore It.
“Hpe ha capito che un coordinamento operativo per guidare contemporaneamente lo sviluppo hardware e software non funzionava. Dna, cultura e metriche erano difficilmente allineabili in gruppi di lavoro così disomogenei, anche dal punto di vista della proposta il cross-selling era debole”, è invece il commento di Philip Carnelley, Research Director European Software Group di Idc. “Con questa operazione MicroFocus viene catapultata nella ‘top ten’ mondiale dei produttori di software e diventa il software vendor europeo numero due (dopo Sap), dovrà quindi contare necessariamente sull’offerta e le competenze di Hpe per mantenere queste posizioni”.