Agli albori della digitalizzazione, John von Neumann, uno dei padri della teoria dell’informazione, ha definito l’evoluzione tecnologica un “progresso in continua accelerazione”. Guardando indietro, è facile rendersi conto che il tempo che intercorre tra eventi rilevanti dell’evoluzione tecnologica ed economica si sta progressivamente riducendo. Se non ci si fa trovare pronti, magari perché si è trascurata l’importanza di un’innovazione che non è stata in grado di decollare in un certo momento storico, l’effetto che tale innovazione avrà sugli incumbent, appena verrà trovato il giusto modello per applicarla, sarà «disruptive».
L’innovazione è accelerazione
Il modello tradizionale di innovazione (che può facilmente essere descritto come un «tubo») ormai fatica a tenere il passo con contesti in rapida e profonda trasformazione. Se un’organizzazione si limita a sviluppare qualcosa al suo interno, produrlo e offrirlo ai propri clienti sul mercato, il suo successo dipenderà essenzialmente da cosa si introduce nel tubo, la sua efficienza intrinseca e la capacità di raggiungere il mercato verso cui è puntato, tuttavia il rischio che si deve assumere per ridurre il tempo di attraversamento diventa sempre meno sostenibile.
Le tecnologie digitali hanno reso possibile un modello diverso, che non si limita a creare e portare sul mercato un qualche tipo di prodotto o servizio, ma permette ad attori diversi, interni ed esterni all’organizzazione, di creare e consumare valore attraverso una piattaforma che li metta in comunicazione. La scelta di posizionarsi come owner di una piattaforma richiede un modello di business totalmente nuovo, in cui non si gestisce più un tubo con cui portare i propri prodotti o servizi sul mercato, ma si rende possibile l’utilizzo della propria tecnologia, messa a disposizione tramite la piattaforma stessa, per creare prodotti o servizi nuovi e per aprire canali di comunicazione verso i propri clienti. Questo cambia anche i fattori critici di successo, che sono ora legati alla capacità di attrarre entrambe le tipologie di utenti, chi crea e chi consuma innovazione, dando vita a un «effetto rete» che alimenti il circolo virtuoso su cui si basa il successo di una piattaforma.
Abilitare il cambiamento, nascondere le complessità
Una piattaforma è prima di tutto uno strumento potente per abilitare, all’interno di una stessa azienda, una nuova flessibilità e capacità di risposta ai cambiamenti che avvengono nel contesto di riferimento. Una piattaforma fornisce ai team interni gli strumenti per nascondere la complessità dei livelli sottostanti (hardware, software, dati, ecc.) e per accelerare quindi il proprio processo di innovazione.
Un ruolo chiave per questa trasformazione è giocato dal Cio, che ha già compreso da tempo la potenza dell’approccio a piattaforma per le architetture IT e deve essere in grado di portare questa esperienza anche nei layer di business, in cui le tecnologie digitali sono ormai diventati il principale fattore abilitante.
Quando l’approccio a piattaforma non si limita ad essere un acceleratore dei processi di innovazione interni, ma diventa il principale elemento di innovazione del modello di business, l’effetto si vede anche all’esterno dell’organizzazione. Il più semplice esempio è il Marketplace, il cui valore è rappresentato dalla capacità di mettere in comunicazione il mondo dei clienti con un ecosistema di fornitori. In questo caso, il modello di business per gli attori dell'ecosistema è determinato dal marketplace stesso, che non lascia spazio a reale innovazione da parte degli stakeholder. Si pensi ad esempio a Uber. È una piattaforma in quanto mette a disposizione dei potenziali autisti la tecnologia e la capacità di raggiungere i clienti che hanno bisogno di spostarsi. I modelli previsti, tuttavia, sia quello per loro “tradizionale” del trasporto di persone alternativo al taxi sia quello innovativo della consegna del cibo a domicilio, sono stati definiti da Uber stessa. Non sono innovazioni provenienti dall'ecosistema.
Affinché un marketplace abbia successo, sono fondamentali due elementi:
- l’effettiva capacità di far scalare rapidamente il numero di utenti e di transazioni, motivo per cui i Marketplace di successo si trovano prevalentemente nel mondo B2c;
- il corretto modello di distribuzione del valore tra i diversi attori coinvolti, che deve rendere sostenibile la piattaforma stessa, ma al contempo facendo in modo che sia attrattiva per produttori e consumatori rispetto a canali alternativi.
Il modello del marketplace B2b ha invece avuto una lunga storia di insuccessi (Bizbuyer, Chemdex, Textilesolution, ecc.) e nel passato diversi attori hanno scelto di modificare la propria strategia indirizzandosi verso modelli di business diversi come la fornitura di servizi più tradizionali. Oggi, però esistono anche mercati in cui la scalabilità è possibile anche in contesti B2b: si pensi alla Cina e all’India, dove marketplace B2b come Alibaba, IndiaMart, Trade India, ecc. riescono a ottenere risultati significativi.
Ma limitare le opportunità di un modello di business basato su una piattaforma al solo Marketplace è decisamente riduttivo. L’esempio più eclatante dell’ultimo decennio è Apple, che con la piattaforma di iOS e l’App Store ha trasformato un’innovazione puramente tecnologica – un device, che nelle prime generazioni non brillava certo per prestazioni – in un’innovazione di modello di business che ha realmente rivoluzionato il valore dei dispositivi mobili per gli utenti. Gli anni successivi hanno mostrato come la scelta della piattaforma tecnologica viene guidata dalla forza che l’ecosistema che la circonda è in grado di esprimere, prima ancora che dalle sue caratteristiche funzionali.
Dando la possibilità ad attori esterni di costruire soluzioni innovative a partire dai servizi della piattaforma stessa, questi hanno creato funzionalità, servizi, contenuti – indipendenti o complementari ad altre offerte – che hanno infinitamente superato ciò che Apple ha mai immaginato di inserire all’interno dei suoi dispositivi.
Ma affinché una piattaforma abbia successo, deve essere caratterizzata da:
- la presenza di interfacce aperte, che mettano a disposizione dell’ecosistema servizi e dati accessibili secondo meccanismi standard, sia che si tratti dei sensori a bordo di un dispositivo sia degli Open Data che può esporre una Pubblica Amministrazione;
- un’architettura modulare, in grado di nascondere la complessità sottostante che caratterizza la piattaforma, e permetta quindi di rendere più veloce ed economica la realizzazione di idee innovative;
- un ecosistema vivace da entrambi i lati, che sfrutti le opportunità offerte dalla piattaforma quale abilitatore dell’innovazione, sia aperto a sperimentare nuove idee e sufficientemente numeroso da permettere di raggiungere la massa critica necessaria a determinare il successo di un nuovo modello.
Chi è in grado di perseguire una visione che lo porti a essere l’abilitatore di nuova innovazione è davvero nelle condizioni migliori per giocare un ruolo di primaria importanza nel contesto attuale. Si pensi a Intel, la piattaforma tecnologica su cui è stata costruita la rivoluzione dell’informatica e che è rimasta sulla breccia per decenni. Intel, dopo anni di successi, non ha saputo cogliere il crescente interesse verso device meno potenti ma sempre connessi e con una reale capacità di utilizzo in mobilità rispetto al notebook tradizionale. Invece chi sarà in grado anche sfruttare al meglio il punto di vista privilegiato che il ruolo di owner della piattaforma offre sui nuovi trend di innovazione che si affacciano sul mercato, saprà affrontare anche il momento in cui si verificherà il prossimo cambio di paradigma.
* Andrea Gaschi è Associate Partner, P4I – Partners4Innovation |