Come ogni anno, gli Incontri ICT di Finaki rappresentano un importante momento di confronto e riflessione all’interno della comunità dei CIO italiani sui grandi temi che vedono il ruolo fondamentale delle tecnologie nella trasformazione della nostra società. Oltre i confini della trasformazione digitale. Le sfide di un mondo in versione beta è il titolo dell’edizione 2017 che si focalizzerà su alcune parole chiave: giovani, competenze, cambiamento dei modelli di business, ecosistemi digitali, essere complementari al piano di crescita del paese. ZeroUno ne ha parlato con il Presidente del Comitato di Programma Dario Pagani, Executive Vice President Information & Communication Technology di Eni.
ZeroUno: Partiamo dai giovani: nel programma di quest’anno è stata data molta enfasi alla loro partecipazione al Convegno Finaki, perché e come si concretizza questa presenza?
Dario Pagani: Il tema di quest’anno nasce da una sollecitazione molto semplice: se riconosciamo che questi momenti di incontro e confronto tra domanda, offerta, analisti ecc. rappresentano un valore per la nostra comunità, dobbiamo riconoscere che c’è sempre stato un grande assente, i giovani appunto. Sono loro i protagonisti del mondo che verrà e non possiamo trovarci a discuterne (perché poi è su questo che verte principalmente il confronto in ambito Finaki) senza che siano presenti con le loro idee, le loro proposte, la messa sul tavolo delle criticità con le quali si scontrano. È per questo che, quando mi è stato offerto l’onore di essere presidente del Comitato 2017, ho accettato con molto piacere ponendo un’unica condizione: trovare un modo per coinvolgere i giovani. E non parlo solo delle startup o dei makers, che rappresentano movimenti già più organici, ma mi riferisco ai giovani che lavorano nelle nostre aziende, giovani uomini e giovani donne che hanno già maturato una minima esperienza lavorativa. Ho chiesto quindi ad ogni CIO che verrà al Convegno Finaki di coinvolgere un collega che possa rappresentare questo mondo. È importante capire cosa si aspettano ed è importante essere contaminati dal concetto di “diversity” che è fondamentale per condividere i differenti punti di vista, le varie modalità di approccio; un concetto che, per esempio, per noi in Eni è un vero e proprio asset aziendale.
ZeroUno: Il tema dei giovani è strettamente correlato a quello delle competenze. Secondo l’EU Digital Skill & Jobs, nel 2020 il divario tra domanda e offerta di competenze necessarie a sostenere la trasformazione determinata dall’Application economy raggiungerà in Europa le 756.000 unità. Questo è solo uno dei tanti dati che ci indicano un gap tra esigenze del mercato e competenze disponibili e questo vale sia lato dipartimento ICT sia lato LOB. Al di là della carenza di skill specifici (data scientist in primis, ma anche sviluppatori ecc.) cosa non dovrebbe mancare nel bagaglio di competenze di un giovane che entra in azienda oggi, nei sistemi informativi o in altra area aziendale?
Pagani: Lo scorso anno a Finaki abbiamo parlato di macchine intelligenti, macchine in ausilio all’attività umana, che potenziano il nostro sapere e queste macchine andranno a sostituire alcune specifiche competenze, ma quello che le macchine non faranno mai sono i lavori creativi, la capacità di fare networking, di essere empatici, di lavorare in squadra. Le macchine consentono di scalare verso l’alto nella conoscenza, ma è sempre l’uomo al centro. Fatta questa doverosa premessa, oggi abbiamo bisogno sia delle competenze tradizionali (a partire dal classico sviluppatore, per esempio) sia di quelle più nuove (che non sono solo il data scientist), ma anche di una maggiore capacità di esecuzione, guidata da una nuova logica dell’errore [vedi risposta alla domanda seguente – ndr]. Competenze nelle quali è indispensabile andare oltre la formazione tradizionale tecnologica innestando elementi di discipline umanistiche e considerando i sistemi come avviene nelle discipline olistiche. E soprattutto abbiamo bisogno di contaminazione: tra il mondo dei sistemi informativi e quello del business, lavorando sempre più insieme e sperimentando nuovi modelli organizzativi, e tra le varie discipline perché essere “informatici” oggi significa anche saperne di sociologia, di economia …
Per questi aspetti penso sarà molto interessante l’intervento di Idriss J. Aberkane, studioso di neuroscienze, ma anche sociologo, economista e che sarà uno dei keynote speaker del Convegno, parlandoci di “Economia della conoscenza: il nostro nuovo rinascimento”.
ZeroUno: Nel titolo del convegno si legge ”Le sfide di un mondo in versione beta”, definizione intrigante che sottintende un mondo in perenne trasformazione…
Pagani: Esatto. E questa è l’altra considerazione che ha guidato la definizione del programma di quest’anno. Parto da una piccola considerazione personale: se guardo ai primi 25 anni della mia vita professionale, vedo un’evoluzione lineare, senza grandi scossoni, con trasformazioni cicliche che avevamo tutto il tempo di analizzare, “digerire”, testare ecc.; gli ultimi 10 anni sono stati una sorta di frullatore, con trasformazioni, anche di portata dirompente, continue. L’accelerazione della trasformazione è tale che stiamo parlando di trasformazione continua e se la situazione è questa non possiamo avere, nei confronti della tecnologia, lo stesso approccio del passato. Con questa affermazione, mi rivolgo non solo ai colleghi dei sistemi informativi, ma anche (e forse soprattutto) alle persone del business: nella nostra precedente vita, noi come sistemi informativi abbiamo abituato il business al fatto che quando un’applicazione veniva rilasciata era robusta, sicura, iper-testata dove gli eventuali “bachi” venivano considerati un’onta da noi stessi prima ancora che per il business. Oggi un approccio di questo tipo è perdente. Se riconosciamo che oggi la vera capacità competitiva si misura principalmente in termini di agilità e velocità, dobbiamo avere la consapevolezza che è come se le nostre applicazioni fossero sempre in versione beta. Naturalmente questo non significa non porre la dovuta attenzione ad alcuni fondamentali dell’informatica, ma alcuni di questi fondamentali sono cambiati, prima fra tutti la cultura dell’errore: l’importante non è non sbagliare mai, l’importante è avere un’organizzazione e un’infrastruttura tecnologica che mi consentano di capire il più rapidamente possibile che sto sbagliando e, altrettanto rapidamente, mi permettano di sperimentare una nuova strada.
ZeroUno: Insomma, per fare un esempio: il sistema più affidabile non è quello che non subisce attacchi, ma quello che sa reagire nel modo più rapido all’attacco subìto…
Pagani: Certamente, e in questo la tecnologia e le metodologie (Agile, DevOps ecc.) ci aiutano moltissimo, ma bisogna avere la predisposizione mentale corretta. Le persone del business devono capire che se vogliamo affrontare le nuove sfide, non possono confidare nelle certezze, dal punto di vista tecnologico, del passato.
ZeroUno: Ed è questa la strada da percorrere per ridefinire i propri modelli di business? Ma qui si introduce un altro tema: si parla tanto di quanto le tecnologie digitali possano abilitare nuovi modelli di business, ma questi, nella maggior parte dei casi, devono anche potersi integrare con il business tradizionale di un’azienda. Come coniugare innovazione con business tradizionale?
Pagani: Questo è un tema importante che è trasversalmente presente nei workshop degli Incontri ICT 2017, ma sul quale ci siamo focalizzati nel primo, dal titolo “Servitization: the impact of Internet of Services”. Stiamo ovviamente parlando delle aziende che basano il proprio business su asset fisici perché è proprio per queste che la trasformazione è più complessa. E per coniugare innovazione con il mio business devo pormi alcune domande. Da un lato capire se posso trovare nuovi modi per approcciare il mercato: c’è un Airbnb o un Uber nel mio settore? Se non c’è, posso diventarlo io? Posso far leva sui miei asset fisici per offrire altro, “vestendo” il mio prodotto con una serie di servizi di valore per l’utente? Se non ci poniamo queste domande potrebbe pensarci qualcun altro e arrivare a sfruttare indirettamente i miei stessi asset per creare valore.
Dall’altro devo essere in grado di sviluppare un’azienda che possa sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia. Mi devo chiedere: le tecnologie di cui dispongo mi consentono di costruire un’azienda più moderna, innovativa? Mi permettono di sfruttare al meglio i miei processi di lavoro per un’azienda orientata alla velocità?
La cosa fondamentale è non sedersi mai sui risultati ottenuti. E poi bisogna avere una maggiore attenzione ai confini. Questa è un’altra parola chiave del convegno Finaki 2017. Ogni azienda ha la propria storia che deve essere mantenuta, salvaguardata, non si può buttare tutto, ma trasformazione significa anche muovere lo sguardo dal centro del nostro mondo (il core business tradizionale) alla periferia, per identificare quelle zone di confine dove la separazione tra “di qua” e “di là” si fa più labile e dove posso trovare opportunità interessanti. Volgere lo sguardo ai confini diventa oggi fondamentale per molteplici aspetti; per questo il termine “confini” è presente nel titolo di diversi Workshop: “Come si fa il digitale? Quali sono i confini?”, “I confini generazionali”, “I confini tra pubblico e privato”, “I confini della sicurezza nella tecnologia esponenziale”.
ZeroUno: Questo tema dei confini, ci consente di introdurre quello degli ecosistemi digitali. Grazie alla digitalizzazione diffusa si sta assistendo a una importante trasformazione dell’azienda estesa in azienda piattaforma. L’impresa ‘guida’ diventa piattaforma digitale che lega e connette tutti gli attori della filiera con la nascita di veri e propri ecosistemi digitali…
Pagani: Il tema degli ecosistemi è fondamentale da diversi punti di vista. Non è un concetto nuovo ovviamente: la collaborazione per la condivisione di rischi e opportunità anche con competitor ha visto la luce in diversi ambiti, soprattutto quando l’impegno per la costruzione di asset fisici è particolarmente onerosa (pensiamo, nel caso di Eni, ai costi di realizzazione di un campo petrolifero e infatti da anni noi lavoriamo sempre più con la logica di joint venture con altre realtà del mondo petrolifero). La novità oggi è che questa collaborazione può essere messa in atto anche dal punto di vista informatico. Bisogna mettere ben a fuoco tutte le potenzialità dei servizi condivisi; il cloud rappresenta un grande abilitatore ma non si tratta semplicemente di questo. Pensiamo a tutti i servizi B2C che, grazie all’approccio IoT, possono essere forniti attraverso le innumerevoli “smart box” [contatore del gas, contatore della luce, rilevatori di gas, antifurti – ndr] che sono già nelle nostre case o che potranno esserci, ma che fanno esattamente le stesse cose (misurano e trasmettono dati). Non possiamo pensare di continuare a riempire le nostre case di questi “scatolotti”, dove peraltro non risiede il vero valore per l’azienda perché questo sta nel tipo di servizio che è in grado di offrire a fronte di queste misurazioni. Ma per riuscire a fornire oggetti in grado di comunicare con diversi sistemi, soprattutto in alcuni ambiti, la strada è ancora lunga: da un lato c’è tutto un problema di standard da affrontare, dall’altro deve evolvere un’infrastruttura digitale a livello di sistema paese. E qui c’è un grande ruolo che può avere la pubblica amministrazione: un passo importante è la definizione di un’identità digitale dei cittadini che abilita, per esempio, il rilascio di servizi sicuri con tutte le garanzie per la privacy. Il discorso è però molto più ampio e riguarda anche una nuova relazione tra cliente e fornitore che, raccordandosi proprio al discorso digitale, potremmo definire con un approccio che da transazionale diventa collaborativo.
Per comprendere il percorso verso questa trasformazione dei modelli e capire quali sono i punti di focalizzazione per la competitività delle aziende del nostro paese, Finaki ha invitato a parlare Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, che farà un intervento su “Conoscere il presente per progettare il futuro”.
ZeroUno: E veniamo ad un ultimo tema, ossia come la comunità dei CIO può essere complementare al piano di crescita del Paese. È un tema caro da tempo a Finaki. Gli argomenti sul tappeto sono diversi e ovviamente coinvolgono molte componenti della società, da quella politica a quella economica. Un mondo del lavoro sempre più volatile e complesso dove l’impatto delle nuove tecnologie è importante. Il difficile equilibrio tra una sempre maggiore collaborazione e condivisione e la necessaria protezione della privacy e, in generale, dei dati di cittadini e imprese. Qual è il messaggio che la comunità dei CIO pubblici e privati vuole lanciare per affrontare queste complesse tematiche?
Pagani: È chiaro che stiamo parlando di temi molto articolati dove non è possibile trovare un’univoca ricetta. Il messaggio che come CIO vogliamo lanciare si compone di tante parti: per affrontare la trasformazione abbiamo bisogno della diversità, della capacità empatica, relazionale e il sistema scolastico e accademico deve sviluppare percorsi formativi adeguati; inoltre, come dicevo, abbiamo bisogno di un’infrastruttura pubblica che supporti la digitalizzazione. Ma anche i fornitori di tecnologia devono fare la loro parte: per troppi anni l’Italia è stata considerata solo come un territorio nel quale vendere prodotti e soluzioni e non un luogo dove produrre conoscenza. È importante che i grandi vendor tornino a investire in Italia con centri di ricerca. Il nostro è un Paese che può offrire moltissimo in termini di capacità innovative e di creatività e la presenza di centri di ricerca rappresenta un volano importante per creare ecosistemi che possano ulteriormente ampliare queste capacità.
Naturalmente c’è tutto il grande tema del lavoro, con le sue criticità e incertezze e a questo proposito mi preme ricordare la presenza di un altro keynote speaker di eccezione, il sociologo Domenico De Masi che ci aiuterà a riflettere su “Il futuro del lavoro”.