L’industria italiana non ha abbastanza cultura della protezione del proprio sapere tecnologico, sia esso tecnico e commerciale, lo hanno dichiarato Davide e Daniele Petraz, i titolari di Glp, l’azienda italiana attiva nel settore della tutela della proprietà intellettuale.
Le domande di brevetti l’anno scorso sono state poco meno di 10mila, +7,5% rispetto al 2012 il che rappresenta la conferma di un trend in crescita negli ultimi quattro anni, ma ancora molte meno di quante presentate nel periodo pre-crisi (-11% rispetto al 2006). Inoltre, nonostante i dati dell’Uibm (Ufficio italiano brevetti e marchi) descrivano una situazione di ripresa, l’Italia rimane però ben distanziata dai principali Paesi industrializzati europei e dai veri e propri colossi dell’innovazione quali Cina (1 milione e 100mila depositi secondo il Wipo nel 2015), Stati Uniti (589mila), Giappone (318mila), Corea del sud (213mila) e Germania (67mila).
In Italia quasi l’80% di brevetti, marchi e modelli sono depositati da aziende attive nelle regioni del Nord, mentre purtroppo a Sud la tutela della proprietà intellettuale è davvero poco praticata. Eccezione è il Lazio perché tante grandi aziende hanno una sede legale a Roma.
Tale scarsa propensione alla tutela intellettuale non dipende da una bassa capacità inventiva, ma in ogni caso ciò fa sì che le innovazioni, sia a livello di invenzione, di utilità o estetiche non vengano valutate compiutamente e non si proceda alla loro protezione, da un lato ignorando o sottovalutando i rischi di una mancata tutela, dall’altro non comprendendo i vantaggi diretti ed indiretti che una politica di tutela comporterebbe. Del resto, la brevettazione è strettamente legata agli investimenti in ricerca e sviluppo e a un legame maggiore tra università e industria. L’Istat ha rilevato che nel 2014 la spesa per R&S intra-muros (ovvero svolta direttamente dalle imprese, all’interno delle proprie strutture e con proprio personale) di imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni no profit e università ha sfiorato i 22,3 miliardi di euro con un significativo aumento rispetto al 2013 quando fu pari a circa 21 miliardi di euro. L’incidenza sul Pil è così passata da 1,31 a 1,38%, ancora però abissalmente lontana dai valori degli altri principali Paesi europei: 2,90% per la Germania, 2,22%per la Francia e 1,70 nel Regno Unito.
La questione culturale emerge anche dall’approccio che le aziende hanno verso la tutela della proprietà intellettuale.
«In Italia – hanno commentato i fratelli Petraz – questa tutela si applica quasi solo a prodotti che garantiscono già una redditività. I nostri imprenditori solo raramente ragionano sulla gestione della proprietà industriale in termini finanziari ed economici. Mentre approcciarsi alla tutela della proprietà intellettuale è un modo di gestire razionalmente la propria azienda con una programmazione di medio lungo periodo. L’Icc (la Camera di Commercio Internazionale) nell’Intellectual Property: Powerhouse for Innovation and Economic Growth 2011 ha confermato che – a parità di condizioni – un’invenzione brevettata ha un valore economico doppio rispetto a una non brevettata. Inoltre, Epo ed Euipo, i due principali enti europei che si occupano di brevetti e proprietà intellettuale, hanno determinato che in Europa il 42% dell’attività economica è generata da industrie ad alta densità di attività intellettuale».