Chi ha già ‘una certa età’ ricorderà senz’altro la vicenda di 2001 Odissea nello spazio. Qui Hal, il computer di bordo della Discovery, decide di bypassare l’equipaggio umano ritenendolo inadeguato allo svolgimento della missione. Si parlava del frutto di apprendimento profondo (o deep learning) delle macchine. Allora era fantascienza…
Oggi molte delle capacità immaginate cinquant’anni fa, a partire dalla previsione di eventi e situazioni, sono presenti in soluzioni commercializzate. E quelle che ancora chiamiamo macchine si mostrano capaci di affrontare compiti tipicamente “di concetto” come e talvolta meglio dell’uomo.
Forse le macchine potranno un giorno pensare? No. O almeno, per essere sinceri, non lo sappiamo. Certo è che diventano intelligenti, e in fretta. Pensiero e intelligenza sono state per secoli associate e ritenute dono esclusivo del genere umano. Ora la tecnologia mette entrambe le idee in discussione. Se la base del pensiero, cioè la coscienza di esistere (cogito, ergo sum), è ancora solo nostra, quella dell’intelligenza, cioè la capacità di apprendere, che a sua volta genera i processi di analisi-deduzione e di sintesi-intuito, non lo è più. Le macchine imparano. Meglio: imparano ad imparare.
Apprendimento profondo: la macchina che impara
Il machine learning consiste nella capacità (umana) di scrivere algoritmi che anziché prevedere ogni possibile situazione forniscono regole, di norma basate su analisi statistiche e inferenziali. Esse incrociano i dati in ingresso e in memoria. E permettono alla macchina di eseguire un dato compito anche in caso di cambiamenti dell’ambiente e delle circostanze.
Così, il robot intelligente (non più con l’aggettivo tra virgolette) monta un pezzo anche se questo non si trova dove dovrebbe perché l’algoritmo di controllo anziché dare al braccio le coordinate attiva un riconoscimento visivo che cerca il pezzo in tutta l’area che il braccio può raggiungere. E se la macchina o l’uomo che porge i pezzi ripete più volte l’errore il robot impara (qui sta il punto) che quella è la nuova posizione e va subito a cercare il pezzo lì.
Ovviamente, il sistema che impara è complesso e costoso, ma si ripaga. Nell’esempio del robot, coglierne i vantaggi in fabbrica è facile, ma le potenzialità del machine learning si rivelano soprattutto in quei campi dove l’imprevisto è la regola, dalla logistica alla guida automatica fino alla medicina, dove una diagnosi basata non solo sui dati del caso ma anche su quanto appreso da casi analoghi è, davvero, vitale.
Oggi il machine learning sta evolvendo lungo una linea di ricerca basata sull’uso di reti neurali organizzate in più livelli di profondità, e per questo detto apprendimento profondo, che sta dando grandi risultati in molti campi diversi (ad esempio la lettura delle labbra, proprio come Hal sapeva fare). Ma il cui potenziale come forza di rottura nel cosiddetto modello di sviluppo occidentale, che lega business e qualità della vita in uno schema dalle infinite variabili, è ancora tutto da esplorare.
A cosa serve l’apprendimento profondo
L’istituto di analisi McKinsey, già qualche tempo fa, ha condotto una ricerca, che a sua volta fa parte del più ampio studio The Age of Analytics, volta a stimare l’impatto dell’apprendimento profondo sulla società sotto due chiavi di lettura.
Per prima cosa si è cercato di capire a quali problemi di business si possa applicare. Poi si sono valutate quali attività oggi svolte da risorse umane potranno essere affidate a macchine intelligenti e l’impatto sociale ed etico della intelligenza artificiale, specie riguardo l’occupazione.
Figura 1 – Combinazione degli strumenti analitici con le tecnologie di Machine Learning – Fonte: McKinsey Global Institute Analysis
Dove mettere al lavoro il sistema intelligente
La prima cosa che emerge dall’indagine è la quantità di settori dove il machine learning trova applicazione; in alcuni già creando un valore rilevabile, mentre in altri questo è ancora da scoprire.
Ciò dipende in parte dal fatto che alcune tecniche d’apprendimento profondo, come l’analisi regressiva o il clustering partizionale, sono note da anni e se ne conosce l’uso. Mentre di quelle relative al deep learning, come le reti neurali multi-layer, il reinforcement learning e gli algoritmi Q-learning, si sa la teoria. Richiedendo capacità di calcolo solo da poco disponibili non si è maturata la pratica necessaria al corretto impiego.
L’importanza dei dati
In ogni caso, c’è un fattore comune a tutte le tecniche d’apprendimento, ed è il volume di dati necessari all’addestramento, cioè alla costruzione del modello sul quale il sistema confronta i dati in ingresso e che questi stessi dati contribuiscono ad affinare. In breve, a rendere la macchina veramente “esperta”. Ciò crea il primo discriminante. L’apprendimento profondo è tanto più proficuo quanto più applicato in campi e situazioni dominate dai dati.
3 attività possibili
Il secondo discriminante è dato dal fatto che confrontando realtà rilevata ed esperienza acquisita, la macchina può svolgere tre attività sinora tipicamente umane. Classificare le cose; stimare e prevedere gli eventi; creare contenuti. Per fare un esempio parlando il linguaggio del business, in una società commerciale a queste tre cose corrispondono attività quali la segmentazione della clientela, l’organizzazione dei riordini, l’invio di mail di risposta per informazioni o reclami.
Le tecnologie di machine learning si possono poi combinare con altri strumenti analitici, come algoritmi di ricerca e sorting, tool per l’analisi di regressione, generatori di grafi e così via. L’insieme va a formare un sistema intelligente mirato per i più diversi impieghi in una quantità di settori: manifattura (manutenzione preventiva, produzione ottimizzata…); commercio (personalizzazione delle offerte, aggiustamento dei prezzi…); sanità (diagnosi, triage…); finanza (trading, scoperta frodi…) e altri ancora.
Il potenziale del deep learning
Secondo i fattori discriminanti individuati e attraverso interviste a cinquanta esperti di settore, McKinsey ha elaborato un grafico. Esso esprime il potenziale dell’apprendimento profondo in 120 possibili impieghi, selezionando i dieci più promettenti in 12 settori d’industria. Verso l’alto a destra si collocano gli utilizzi che combinano il livello stimato di opportunità con il volume e il tasso di rinnovo dei dati (quindi, indirettamente, con la complessità delle analisi e la potenza richiesta al sistema). In basso a sinistra, ovviamente, gli impieghi più semplici ma d’impatto minore.
Si può notare come le maggiori prospettive riguardino quattro grandi classi d’impiego dove oggi si vanno diffondendo le analisi sui big data. La personalizzazione di prodotti e servizi; l’analisi predittiva in tutte le sue applicazioni; l’ottimizzazione strategica della produzione e l’ottimizzazione in tempo reale della distribuzione e logistica.
In effetti, è intuibile come, la realizzazione di una soluzione di big data analytics fornisca una piattaforma dove risulta più facile, diremmo quasi naturale, implementare un sistema intelligente.
Figura 2 – Potenziale del deep learning in 12 settori di industria – Fonte: McKinsey Global Institute Analysis
Uomo e macchina: verso una coopetition?
Secondo obiettivo della ricerca McKinsey era, come s’è detto, il potenziale del machine learning nell’automatizzare attività oggi svolte da impiegati e operai. Per far ciò, ci si è serviti di una lista di 2.000 attività lavorative definite dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti. Esse sono state classificate in base a 18 “capacità” richieste per poterle fare. Il rapporto tra le doti richieste per una data attività e le sette per le quali un sistema di deep learning risulta più adatto [1]dà un’idea del grado al quale quell’attività si potrà automatizzare.
Per fare un esempio, un venditore deve, tra le altre cose, ricevere i clienti. Per far ciò gli occorrono capacità fisiche (si deve muovere), sociali (deve entrare in relazione) e cognitive (deve saper tutto su cosa e come vendere). Ebbene: allo stato attuale della tecnologia la macchina ha almeno la metà delle capacità necessarie sul piano cognitivo. Risulta in svantaggio perché non ha le mani e non può sorridere, solo sul fisico e sul sociale.
Ma saper vendere è uno dei compiti più difficili da automatizzare. Esaminando le 2.000 attività di cui s’è detto, si è rilevato che sono solo quattro (e McKinsey non dice quali) quelle dove non serve alcuna delle capacità del machine learning e che pertanto non possono essere svolte da macchine. Per quanto la cosa sia sconcertante, non c’è da esserne sorpresi. Saper distinguere le forme e comprendere il linguaggio naturale occorre, sia pure a livelli diversi, in quasi tutte le attività umane. E le macchine imparano a vedere, ascoltare e parlare.
Cosa avviene ora
Ciò non significa che ci sostituiranno dall’oggi al domani, ma sottolinea il fatto che il machine learning si può applicare, come s’è visto, quasi ovunque.
Secondo una precedente ricerca della MGI il 45% di tutte le attività si potrebbe automatizzare già con le tecnologie in essere. E stante gli sviluppi attesi, specie nella comprensione del parlato, questa quota è destinata a crescere.
Figura 3 – Esempio di attività automatizzabili grazie al Deep Learning – Fonte: McKinsey Global Institute Analysis
Fiducia, etica e occupazione: ecco i grandi nodi da sciogliere in ambito deep learning
A mettere in dubbio quelle che il Leopardi chiamerebbe “le magnifiche sorti e progressive” dell’automazione intelligente, vi sono però seri problemi. In primo luogo, il deep learning ha un difetto di fondo, ed è che i modelli di apprendimento non sono visibili. La ricerca lavora a creare sistemi più trasparenti. Ma oggi come faccia esattamente una rete neurale a prendere le sue decisioni non si sa.
Ciò non solo ne sconsiglia l’uso in casi, come la concessione dei prestiti, dove la trasparenza è (o dovrebbe essere) doverosa, ma mette in crisi la fiducia nel sistema, specie se prende decisioni contrarie all’intuito e all’esperienza umana.
La questione etica
Poi c’è la questione etica. A parte gli scenari distopici stile Minority Report (il film di Steven Spielberg dove, in un mondo tecnologicamente avanzato ma molto invasivo, la polizia si basa su un complesso sistema cognitivo per impedire gli omicidi prima che essi avvengano, arrestando i potenziali “colpevoli”. Il sistema però non è infallibile e si rischia l’arresto di innocenti). Vi è il fatto che i modelli di apprendimento profondo sono costruiti sul mondo reale.
Un mondo che è sessista, razzista e pieno di altri pregiudizi che tramite gli algoritmi di apprendimento il sistema finisce per far propri. Autorevoli figure dell’AI ed enti come la Responsible Robotics Foundation si sono posti il problema, ma la risposta coinvolge troppi elementi e soggetti per essere vicina.
Il tema occupazionale
Infine, c’è il rischio per l’occupazione. È chiaro, per ciò che fin qui si è detto, che il machine learning avrà un enorme impatto sulla forza-lavoro. Non è la prima volta che capita una cosa del genere. Negli ultimi cinquant’anni l’automazione industriale ha ridotto gli operai dal 25% al 10% della popolazione attiva. Sinora nuovi lavori hanno sostituito i vecchi. Ma oggi non sappiamo né quali posizioni sostituiranno quelle perse né se ciò accadrà a un ritmo sufficiente ad evitare gravi crisi sociali ed economiche.
Come fare
Quando si creerà una volontà diffusa tra settore pubblico, settore privato e strutture formative in grado di attivare la complessa interazione necessaria a rendere queste forze sinergiche e non contrastanti. Allora la rivoluzione dell’automazione intelligente avverrà senza vittime. Non sarà facile, ma quando si affaccia un fenomeno che rompe col passato l’esperienza insegna che non c’è alternativa.
[1] Al fine di sistematizzare le applicazioni del machine learning sono state individuate sette capacità per le quali, allo stato attuale e prevedibile nel medio-breve termine della tecnologia, questo risulta adatto. E cioè: percezione sensoriale; percezione dei ruoli e delle emozioni umane; comprensione del linguaggio naturale; espressione in linguaggio naturale; riconoscimento di schemi e forme note.