Una recente survey condotta da McKinsey lo scorso dicembre intervistando oltre 1.400 executive a livello mondiale evidenzia che, nonostante ci siano aspettative di deterioramento del quadro economico nei prossimi sei mesi, la maggior parte delle imprese ha pianificato, nel breve termine, di assumere e di aumentare gli investimenti nella ricerca di personale e formazione, più che in acquisizioni, ricerca e sviluppo o in macchinari e beni. Uno scenario generalizzato, anche se più accentuato nei paesi emergenti. L’attenzione al benessere delle risorse umane anche in Italia è confermato da un aspetto curioso come il “maggiordomo aziendale” già adottato da alcune grandi aziende a Roma e a Milano. Si tratta di un nuovo servizio messo a disposizione dalle aziende pensato per aiutare i “colletti bianchi” sempre più stressati a svolgere piccole ma indispensabili incombenze quotidiane come fare la spesa, portare abiti in lavanderia, prenotare viaggi o spettacoli, svolgere pratiche amministrative, pagare multe, ecc. Al di là di queste tendenze generali ci
Partendo dalle criticità (vedi figura 1, box rosso), ci sono due elementi generali, come il “Breve periodismo” e l’entrata nel mondo del lavoro delle risorse nate negli anni ’80, che riguardano tutti i paesi, mentre il terzo, la sostenibilità del pubblico impiego, che si riferisce solo all’Italia.
Figura 1: Fattori che influenzano la gestione delle risorse umane (fonte: NetConsulting)
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Partiamo dal primo elemento. “Da un’analisi McKinsey risulta che secondo alcuni direttori del personale l’ancoraggio spinto soprattutto di alcune aziende americane al mercato borsistico ha ridotto le strategie aziendali ad azioni tattiche di breve periodo, fatto che impedisce di costruire strategie di business, organizzative, di processo e dunque anche di gestione e acquisizione di risorse umane di lungo respiro”, spiega Di Ruscio.
Il secondo aspetto riguarda l’entrata nel lavoro dei ragazzi nati negli anni Ottanta, ossia la generazione nata con il Pc prima e con Internet poi, caratterizzata dalla ricerca di un certo equilibrio fra vita e lavoro, non disposta a spendersi più di tanto sull’attività lavorativa, con una richiesta di retribuzione elevata, tendenzialmente infedele all’azienda subordinata alla forte identità soggettiva. “Tutti elementi che potrebbero tradursi anche in stimoli positivi, ma anche creare problemi nella gestione delle persone in azienda”, commenta Di Ruscio, che illustra il terzo warning, ossia il problema economico e di gestione delle risorse del pubblico impiego, che necessita l’introduzione di una serie di metriche e metodologie per misurarne efficienza ed efficacia.
Sul quadrato verde della figura 1, invece, sono riportati i driver che influiscono positivamente sull’evoluzione della gestione delle risorse umane. Innanzi tutto la complessità del contesto economico, la multipolarità (che vede protagoniste le grandi regioni economiche del mondo), la velocità, l’esigenza di incrementare la produttività, soprattutto per l’Europa, che comporta la necessità di dotarsi delle giuste professionalità e di nuove metriche e metodi di remunerazione e valorizzazione delle risorse stesse.
L’economia dell’interazione
Aumenta inoltre sempre di più l’economia dell’interazione. “Secondo un’analisi McKinsey le economie hanno come substrato non solo il concetto di produzione, ma soprattutto il concetto di interazione fra le diverse catene, ossia negoziazione, conversazione, conoscenza, collaborazione”, spiega Di Ruscio.
L’indice di interazione a livello mondiale sta aumentando e progressivamente passando dal 40% al 44%. Al di là degli organigrammi, le relazioni fra persone diventano estremamente importanti da monitorare e da utilizzare. L’informal employee network deve dunque diventare un oggetto che il direttore del personale deve intercettare, mappare, continuamente aggiornare con le nuove interazioni. Lo stesso vale per la catena estesa, ossia il social/business networking, le relazioni che si estendono al di fuori dell’azienda, verso clienti, fornitori, partner.
“L’ultimo punto, non banale, anche se spesso abusato, è quello dell’innovazione, particolarmente importante per la competitività”, aggiunge Di Ruscio.
Se questo è lo scenario generale, cosa stanno facendo le imprese? Si nota innanzi tutto un maggior orientamento al mercato, ossia maggior attenzione al cliente e all’innovazione, indotto dalla necessità di competere. Ma come si traduce questa strategia nell’azione rivolta alle risorse umane?
“Innanzi tutto, con la fine della logica del breve periodismo, atteggiamento tipico di una fase in cui la contrazione dei costi e l’efficienza fino allo spasimo avevano reso necessario un monitoraggio quasi giornaliero dei costi, con conseguenze negative ( in termini qualitativi e quantitativi) sulle risorse umane – risponde DiRuscio. – Superarata la fase della pura efficienza, l’orientamento al mercato si traduce in attenzione all’efficacia e dunque attenzione a tutti i fattori produttivi, primo fra tutti il fattore umano”. Ciò comporta il ritorno del termine “talento” e della sua gestione, che sta passando da una logica tattica a una strategica. La conseguenza è la strutturazione della gestione dei talenti, della loro motivazione, della creazione delle condizioni per il loro permanere in azienda.
Necessario inoltre un costante tuning tra le esigenze e la verifica di quanto esistente in azienda. Se esiste un gap è necessario colmarlo in tempo; di conseguenza la gestione delle risorse umane rientra sempre più all’interno della pianificazione strategica.
Altro aspetto importante soprattutto per le multinazionali, ma anche per aziende italiane con siti delocalizzati, la capacità di gestire la disponibilità delle risorse su scala planetaria.
“Alcune aziende colmano la gestione di shortage puntuali di competenze in un certo paese con risorse di altri paesi, che vengono spostate o, meglio, utilizzare a distanza”, sottolinea Di Ruscio.
Ma se l’impresa cambia, se deve operare in un mondo complesso, con velocità di cambiamento accelerate, sono necessari manager capaci di gestire la complessità e la mutevolezza e dunque coniugare vision e sostenibilità del business.
“Qui si apre un grande dibattito sulla capacità di ciascun paese di formare i manager, di avviare sia processi formativi all’interno delle aziende in una logica del learning by doing, sia individuare percorsi universitari e master che consentano di acquisire competenze”, precisa Di Ruscio. Ma si tratta di terreni entrambi di debolezza per l’Italia che non ha più scuole aziendali degne di questo nome e non ha ancora implementato percorsi formativi adeguati.
Gestione delle HR: Gli ingredienti
Per assolvere i compiti complessi fin qui elencati è dunque necessario strutturare una gestione delle risorse umane che contempli alcuni ingredienti come: la misurazione delle performance; la personalizzazione del percorso di crescita, per tenere conto dell’unicità della risorsa umana; la ricerca di leadership; un ambiente di lavoro e un’interazione fra colleghi sempre più friendly, per abilitare l’informal network, primo ingrediente per l’innovazione; ricercare attori protagonisti e non gestori/esecutori, per far partecipare le persone in modo intellettuale al proprio ruolo; promuovere la circolazione delle idee per sviluppare innovazione; sostenere un piano formativo coerente con gli obiettivi.
Se tutto ciò vale per qualunque impresa, per le organizzazioni che vogliono far diventare l’innovazione il Dna dell’azienda e delle sue persone, sono necessari alcuni sforzi in più, come: fare un maggiore e coerente uso delle tecnologie che supportano l’interazione (wiki, blogging, communities, videoconferencing); fare circolare le idee e rendere visibile la libera circolazione, dotandosi degli opportuni strumenti informatici; in questa fase si stanno abbattendo naturalmente le barriere che creavano limitazioni; assicurare che l’accesso e lo scambio di conoscenza e informazioni sia veloce e coerente; gestire lo shortage di specifici skill (sia con monitoraggio costante del gap, sia avendo la capacità di ricercare risorse anche dall’estero); reclutare sempre un certo numero di risorse appartenenti alle “nuove generazioni”; strutturare le employee informal network; essere sempre aperti all’esterno (fornitori, consumatori, opinion makers); motivare al risultato; condividere sempre con tutte le risorse l’essenza dell’azienda (i risultati, il posizionamento competitivo, le strategie); incoraggiare la diversità, comprendendone la ricchezza per l’innovazione; mescolare dunque le persone per età, etnia, esperienze lavorative in azienda o organizzative, formativa, di genere, demografica, geografica, culturale, di network esterne ed interne.
Il supporto delle soluzioni informatiche
Le innovazioni di cui abbiamo parlato sono processi di cambiamento generalmente dettati dal top management che i direttori del personale devono essere in grado di recepire, mettendo a punto gli strumenti di supporto, che le soluzioni It possono abilitare.
La tecnologia può in ogni caso svolgere una funzione importante, oltre che con le classiche applicazioni per l’amministrazione e la gestione del personale e con gli strumenti di produttività individuale e di collaborazione per i dipendenti, come abilitatrice dell’apertura dell’azienda, con gli employee portal, ad esempio, nell’ottica web 2.0.
Questi strumenti generalmente multicanale e multidevice, non solo abbattono le barriere del Pc e della scrivania e consentono di creare community o blogging, ma istituiscono anche una relazione diretta tra impresa e singolo dipendente.
“L’impresa che si disintegra da un lato, si riconiuga e si riconfigura dall’altro”, commenta Di Ruscio.
E ancora, la tecnologia all’interno dei processi formativi può diventare una leva importante per il change management. Capitoli, questi, che avranno adeguati approfondimenti nei prossimi numeri.
Hr Access, il valore del capitale umano
L’It è ormai entrata anche nel settore delle risorse umane e, come per altre aree, diventa cruciale giustificare gli investimenti necessari. Hr Access Solutions, che opera in questo segmento di mercato, ha deciso di venire incontro ai propri clienti cercando di definire gli elementi necessari al calcolo del Roi (Return on Investment). Ha perciò affidato agli analisti di Cxp, società francese specializzata, una ricerca a livello europeo sui vantaggi derivanti dagli investimenti nel dipartimento delle risorse umane effettuati dai propri clienti. Riduzione dei costi di acquisto in ambito software del 40%, risparmi del 15-20% sui tempi di immissione dei dati sono gli elementi quantitativi più rilevanti emersi da alcuni casi aziendali presi in esame dalla ricerca; una maggior fidelizzazione, una più forte motivazione del personale e miglioramento dell’immagine del reparto risorse umane dentro e fuori l’azienda, sono intangibili altrettanto importanti rilevati dallo studio. Hr Access Solutions (Hras) è una multinazionale francese acquisita nel 2003 da Fidelity Investments (www.fidelity.com), uno dei maggiori fornitori di servizi finanziari e di previdenza sociale negli Stati Uniti. Specializzata in servizi per la gestione del personale, Hras è presente in 52 Paesi. In Italia è presente dal 2005 ed ha una strategia di crescita aggressiva: ha concluso, in 18 mesi, contratti con 25 grandi clienti, in diversi settori fra cui Banking, Insurance e Retail fornendo servizi a circa mezzo milione di addetti. Il management intende incrementare il fatturato da 2 a 6 milioni di Euro con la previsione di assumere 60 addetti nei prossimi 2 anni e investire in R&s. In termini di offerta, Hras propone software e servizi per la gestione globale delle risorse umane lungo l’intero arco della loro vita, lavorativa e non; si va dai cedolini delle paghe al budgeting e pianificazione, al recruitment e valutazione, a prodotti finanziari e servizi di retribuzione e di previdenza personalizzati. HRa Suite, un software multipiattaforma e servizi web è utilizzabile dalle aziende sia a licenza che come portale di servizi in outsourcing (il target è la grande impresa, da 700 adetti in su).
Cxp ha analizzato una trentina di clienti di Hrsa, scegliendo un ventaglio di applicazioni rappresentative del portafoglio d’offerta, e chiedendo loro quali erano i benefici percepiti a seguito dell’implementazione della soluzione.
Il calcolo del Roi si basa normalmente sul contenimento dei costi; è quindi un fatto puramente finanziario che valuta il ritorno sul capitale investito alla fine di un periodo. Applicare questa metodologia in ambito Hr è più complesso che in altre aree poiché il settore per sua natura è un centro di costo, non di profitto; svolge un ruolo di supporto ai dipendenti, quindi non è un generatore diretto di valore, ma contribuisce a creare valore per le altre funzioni aziendali, pur dovendo rispettare il criterio dell’ottimizzazione dei costi. Al contempo, la direzione chiede alle Hr di garantire un costante parallelismo tra le esigenze operative dell’azienda e gli skill dei dipendenti. Valutare quindi il Roi di un sistema informativo per le Hr deve considerare anche criteri qualitativi oltre che quantitativi. Tra questi ultimi, alcuni sono di facile rilevazione: riduzione del numero di chiamate all’ufficio del personale, processo di selezione più rapido, riduzione del tempo di immissione dei dati personali da parte degli addetti. I vantaggi qualitativi non sono meno rilevanti: maggior fiducia dei dipendenti, miglior immagine aziendale, migliori comunicazioni, maggior fidelizzazione dei dipendenti. Tutto ciò ha anche un impatto positivo indiretto sulla clientela. L’aspetto comunque più rilevante è la riduzione delle risorse impiegate in compiti meramente operativi, orientandole verso attività a maggior valore aggiunto, più aderenti al business, con impatti diretti su produttività ed efficienza dell’organizzazione. (A.S.)
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