I fatti sono più o meno noti: il 16 gennaio Oracle e Bea Systems hanno annunciato un protocollo d’intesa secondo il quale la prima acquisterà il 100% delle azioni della seconda al prezzo di 19,37 dollari l’una, per un totale di circa 8,5 miliardi pagabili in contanti. Naturalmente, l’operazione andrà approvata dagli azionisti prima e dagli organi regolatori poi, ma ad oggi nessuno, né tra gli analisti né tra la stampa economica, prevede che questo iter, per quanto lungo (la fusione dovrebbe concludersi nella seconda metà dell’anno) possa presentare ostacoli di sorta. D’altra parte, si sapeva che Carl Icahn, il discusso “corporate raider” americano che con una quota del 13,2% è il maggior azionista Bea, aveva scalato la società, con 400 milioni di dollari, al preciso scopo di venderla e che Larry Ellison, Ceo Oracle, la voleva comprare. Era solo questione di soldi. L’ottobre scorso Oracle aveva offerto 17 dollari per share (6,7 miliardi), ma il board Bea aveva rifiutato sostenendo che le azioni della società ne valevano almeno 21. Ellison aveva detto che la sua offerta, il 25% in più della quotazione corrente, era il massimo che si potesse sperare e Icahn aveva minacciato (sul serio? Per finta?) di cacciare il board in blocco se non avesse dato l’ok. Alla fine il gioco ha pagato. Icahn ha guadagnato un sacco di soldi in più, ma Ellison ha raggiunto il suo scopo. Con l’acquisizione di Bea la casa di Redwood Shore si assicura infatti due grandi asset: una tecnologia di qualità e, soprattutto, una quota di mercato determinante in un settore chiave quale è quello del middleware per le applicazioni business-critical. Secondo gli analisti infatti il peso di Oracle+Bea la porta al secondo posto, dopo Ibm, nel mercato delle piattaforme applicative, venendosi a creare un sostanziale duopolio cementato dal comune interesse nel competere contro .Net di Microsoft e nel chiudere la strada ad ogni altro terzo incomodo. Con la fusione si rafforza inoltre la posizione di Oracle in varie aree geografiche e in particolare in Cina, mercato cui, secondo Gartner, la società punta parecchio e dove Bea, nel middleware, è il vendor principale.
Sul fronte dell’offerta, le soluzioni Bea presentano larghe aree di sovrapposizione con Oracle Fusion e sarà necessaria una certa opera di razionalizzazione. Ma è poco probabile che si arrivi ad un’offerta unificata, che sebbene facilitata dall’aderenza a standard aperti richiederebbe sforzi notevoli senza portare guadagni immediati. Come osserva Gartner, la manutenzione di alcuni prodotti, come Tuxedo e WebLogic Server, genera profitti cui non ha senso rinunciare. Mentre altri, come JRocket o la famiglia AquaLogic, possono essere integrati in Fusion e, data la qualità della tecnologia Bea, potenziarne le caratteristiche accelerando l’adozione del middleware Oracle sul mercato delle soluzioni di It governance in ambito Soa. È probabile che alla fine la scelta sarà di tenere separate per qualche tempo le linee d’offerta procedendo piuttosto ad una rapida integrazione delle strutture commerciali e dei modelli di vendita. In questo modo non solo gli utenti di entrambe le società sarebbero meno penalizzati riguardo gli investimenti fatti, ma non si perderebbe la presa sul mercato nei mesi a venire. Infatti, anche lasciando i clienti liberi di scegliere in relazione agli acquisti a breve termine, si potrebbero sfruttare le opportunità di cross-selling e up-selling che si possono presentare avendo un’offerta articolata su prodotti che, ricordiamo, sono integrabili tra loro. Non è una cosa facile, ma Oracle ha già dimostrato (pensiamo alla vicenda Peoplesoft e JDE) di saperci fare.
Oracle acquista Bea: un’ipoteca sul mercato del middleware
L’ha pagata bene, ma con la sua tecnologia, e soprattutto con il suo mercato, Oracle fa un passo avanti decisivo nell’area del middleware java-centrico, affiancandosi ad Ibm come vendor di piattaforme applicative per l’impresa. E agli utenti di entrambe le società si aprono nuove opportunità e prospettive
Pubblicato il 07 Feb 2008
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