MISANO ADRIATICO (RN) – Si può fare di una propria passione un’attività che aiuti il business? Certamente sì, e il poter coniugare lavoro e piacere è alla base di molte delle sponsorizzazioni, o almeno delle più durature e di successo, che alimentano lo sport. Nel caso di Aruba.it (vedi box) però, la passione per le moto da competizione, e specialmente le Ducati, di Stefano Cecconi, Ceo della società, non si è tradotta in una sponsorizzazione ma in una scuderia. La Aruba.it Racing Ducati è infatti proprietà della web company, anche se i responsabili del progetto e sviluppo tecnico dipendono da Ducati Corse e la gestione delle gare (box, logistica…) è affidata a un team specializzato. Ed è per questo che, anziché nel ronzio dell’aria condizionata degli uffici di Bibbiena, ci troviamo a intervistare Cecconi nel ruggito dei bolidi Ducati presso i box del circuito di Misano, alle prove del Gran Premio Riviera di Rimini, settimo gara del Mondiale Superbike.
Who's Who
Stefano Cecconi
ZeroUno: passione a parte, ci può dire quali altri obiettivi hanno portato alla partnership con Ducati e quali risultati sta avendo?
Cecconi: Stante la necessità d’avere visibilità non solo in Italia ma in Europa, ci serviva uno strumento di respiro europeo. Avendo notato una sovrapposizione tra gli appassionati di motori e chi lavora nell’Ict abbiamo esplorato il settore con l’idea di fare un team nostro. In Superbike ciò si può fare e i suoi eventi sono internazionali. Con Ducati ci si è trovati in sintonia, per cui s’è fatto un team che la rappresenta ufficialmente ma dove noi abbiamo un ruolo diretto. I risultati ci sono: il brand in Europa si fa conoscere e può supportare il crescere della proposta.
ZeroUno: Ducati è anche cliente/utente dei vostri servizi?
Cecconi: Sì, ma il rapporto è del tutto libero. Nel senso che loro usano quei servizi che giudicano i migliori per i loro scopi e noi, naturalmente, facciamo del nostro meglio per essere prescelti, ma senza alcuna forzatura.
ZeroUno: Avete annunciato il nuovo data center di Ponte San Pietro (BG), che quando sarà a regime sarà il più grande in Italia. Qual è la vostra strategia sulle infrastrutture?
Cecconi: Non eravamo costretti a costruire un nuovo data center. L’abbiamo fatto per avere il pieno controllo sull’erogazione dei servizi. Poi, avendo realizzato una struttura più grande delle nostre necessità abbiamo cominciato a condividerla con i clienti. A Ponte San Pietro noi usiamo solo tra il 15 e il 20% dello spazio, il grosso è in colocation. Sulla scelta del posto, al di là delle buone strade e dell’abbondanza d’acqua, tanto d’avere una nostra centrale idroelettrica all’interno del sito, il motivo principale è lo stare vicini ai clienti del Nord che devono far interventi o avere personale in loco. Inoltre, dalla Brexit in poi l’offerta data center si è spostata sul triangolo Parigi, Francoforte, Milano e il ruolo della Lombardia è cresciuto tanto da dare un’occasione a chi si appoggia a centri di altri Paesi per tornare in Italia.
ZeroUno: Riguardo i servizi coud, come si orienta e dove intendete spingere la vostra offerta?
Cecconi: Nei mercati dove non siamo presenti con nostro personale la proposta è il cloud pubblico. Invece, soprattutto in Italia ma anche dove abbiamo nostri data center, come in Francia, nella Repubblica Ceca e, tra un paio di settimane, in Polonia, va bene il servizio di cloud privato, che per chi abbia strutture on-premises o in colocation è un passaggio piuttosto facile e che noi stessi aiutiamo a fare.
ZeroUno: Secondo alcune indagini, le infrastrutture cloud sono più usate per applicazioni proof-of-concept o per il testing che per la produzione. Qual è il vostro punto di vista?
Cecconi: La stragrande maggioranza dei sistemi da noi gestiti sono di produzione. Per lo sviluppo e il test proponiamo il cloud pubblico perché conviene al cliente. Lo sconsigliamo invece per lo staging (area di transito tra l’Oltp e l’Olap usata per le operazioni di Etl su tabelle e dati – ndr) perché lì è meglio avere un ambiente il più possibile simile a quello di produzione.
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Fondata nel 1994, Aruba è oggi la prima società italiana per i servizi Web ed è alla testa di un gruppo che tramite diverse società è presente in sei paesi europei. Ha quattro linee di business: servizi di hosting e dominii; servizi cloud; Pec e servizi certificati e soluzioni di Data Center. Conta circa 700 dipendenti e revenues (2016) stimate sui 110 milioni di euro. Nel settembre scorso è stata tra i fondatori del Cispe (Cloud Infrastructure Services Provider in Europe), associazione impegnata per la sicurezza e trasparenza di gestione dei dati sul cloud.