Analisi

Quel difficile passaggio dalla virtualizzazione al Cloud

Il salto verso la “nuvola” non è esente da rischi. Pesano la scarsa conoscenza degli strumenti di virtualization management e una mancanza di visione complessiva del ciclo di vita delle macchine virtualizzate. I consigli di Gartner e della School of Management del Politecnico di Milano

Pubblicato il 14 Gen 2013

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Gestire la virtualizzazione per ottimizzarla, soprattutto se la si vuole porre come un passo verso il Cloud Computing: è una sfida che si sta affacciando sul mercato e richiede attente valutazioni tecniche. Un recente rapporto di Gartner analizza quanto possa essere complesso e rischioso questo passaggio.

Per molti motivi: gli strumenti di virtualization management sono ancora una nicchia composita e poco nota; non tutti sono compatibili con il successivo passaggio al Cloud e quindi per l’azienda si apre il rischio di dover raddoppiare gli investimenti.

Insomma, è il momento di guardare a quello che offre il mercato, in queste categorie di strumenti, e pianificare una (eventuale) roadmap di adozione, verso il Cloud.


Solo il 5% delle grandi aziende italiane gestiscono in modo corretto le risorse virtualizzate
Situazione nascente e intricata, anche secondo le ricerche della School of Management del Politecnico di Milano: «adesso anche tra le grandi aziende solo alcune (il 5%) sono in grado di gestire nel modo corretto le risorse virtualizzate di cui dispongono, avvalendosi di tool di gestione ed automazione che permettano di attivare risorse – e misurarne l’utilizzo ed il costo – per il business», spiega Alessandro Piva, responsabile dell’Osservatorio Cloud & ICT ad a Service del Politecnico. «L’offerta sta facendo nell’ultimo anno, in Italia, grandi sforzi proprio nella direzione di far vedere come funzionano questi tool ed i vantaggi che danno».


Come muoversi? I consigli di Gartner
Nell’ultimo rapporto Gartner dà alcuni consigli su come muoversi. Quelli generali sono di considerare non solo le piattaforme x86, ma anche Unix e i mainframe, “tutti questi devono rientrare ina strategia”, si legge.

Bisogna poi preoccuparsi di gestire l’intero ciclo di vita di una macchina virtuale. Ad alcune aziende possono però servire funzioni aggiuntive, che spesso non sono incluse negli strumenti di virtualization management ad ampio raggio: quelle per il monitoraggio, il back up, l’ottimizzazione di altri hypervisor.

L’azienda dovrà scegliere quindi, per esempio, se prendere strumenti per un monitoraggio generico (che si occupano delle risorse virtualizzate come di quelle fisiche) oppure se scegliere prodotti più specifici per la virtualizzazione.

Un’altra scelta: prevedere come si intenderà passare al Cloud prima di averne effettivamente bisogno. Ci sono alternative, per esempio: la piattaforma di gestione del Cloud deve essere integrata in quella per il virtualization managing o essere una funzione aggiuntiva?

Non si può evitare questa riflessione. «Nella maggior parte dei casi, la virtualizzazione è il primo passo verso il Cloud. Per abilitare quello privato o per sfruttare i benefici derivanti da quello pubblico», dice Piva.

«Tuttavia, spesso le aziende virtualizzano senza essere consapevoli di quali siano i passi successivi della roadmap verso il Cloud. Anche perché molte aziende hanno iniziato a virtualizzare ancor prima che si parlasse di Cloud».


Tanti silos di risorse virtualizzate
Secondo uno studio del Politecnico, il 47 per cento delle aziende italiane e ora alle prese con le prime fase di consolidamento e virtualizzazione, senza una precisa strategia.

Ne risulta la presenza contemporanea di differenti silos di risorse virtualizzate, spesso realizzati utilizzando strumenti (hypervisor) differenti. Questo limita la possibilità di consolidamento dell’hardware e la gestione dinamica dei carichi di lavoro. Il 5 per cento del campione non usa affatto la virtualizzazione.

Il 43 per cento delle aziende sta sviluppando progetti sistemici di razionalizzazione e consolidamento delle macchine virtuali e quindi è attrezzato per passare al Cloud privato senza traumi.

Ma solo il 5 per cento è in una situazione ottimale, «essendosi dotato di strumenti di governo corretti per rendere automatizzata l’erogazione delle risorse; e può quindi cogliere appieno i benefici del Cloud sia pubblico sia privato», dice Piva.


Nuove competenze IT per gestire il cambiamento
Il motivo è che questo percorso implica «nuovi investimenti, nuove competenze IT, ma anche un processo di trasformazione dei ruoli e della relazione con il business e di gestione del cambiamento».

Se abbiamo silos (isole) di risorse diversamente virtualizzate, dobbiamo fare lo sforzo in più di migrarle in un unico contesto.

«Significa capire in quale contesto sono state virtualizzate e su quale piattaforma; capire se posso fare il porting senza doverle ad esempio riscrivere da zero, e piano piano migrarle».


Verso il Cloud a piccoli passi
La tendenza internazionale è di andare per piccoli passi: il Cloud privato è vissuto come la naturale evoluzione della virtualizzazione; quello pubblico invece viene adottato con lentezza e prudenza, si legge nel recente rapporto IDC Worldwide Virtualization Services 2012.

Secondo IDC, il modello privato cementerà la fiducia delle aziende nella tecnologia Cloud e questo poi le incoraggerà a provare alle nuvole pubbliche.

Insomma, «le aziende italiane, nel complesso, sono ancora ai primi passi sulla strada della “virtualizzazione consapevole”», dice Piva, ma anche all’estero non ci sono grandi pionieri. Gli esperti però cominciano ad analizzare il problema e a fornire istruzioni per affrontarlo al meglio: la roadmap verso una buona virtualizzazione, e quindi un buon Cloud, sembra ormai tracciata.

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