È stato detto che quando sono in corso grandi cambiamenti, esistono anche grandi opportunità. Questo sembra certamente vero per il Cloud e la decennale ricerca di una maggiore apertura delle infrastrutture aziendali.
La disputa è di tipo logico: le imprese che intendono spostare i dati e le applicazioni dalle loro infrastrutture proprietarie devono adottare formati il più possibile aperti, l’unico modo questo per garantire la compatibilità con qualsiasi sistema o architettura incontreranno sulla loro strada.
Questa è certamente una buona notizia per la comunità Linux, che sta attivamente cercando di entrare a pieno titolo nelle implementazioni di cloud computing di fascia enterprise.
Red Hat, ad esempio, ha rilasciato la piattaforma di virtualizzazione Enterprise 3.0, che si rivolge alla stessa fascia di mercato degli hypervisor delle macchine virtuali di VMware e Microsoft. Il sistema di gestione della nuova versione viene eseguito come un’applicazione Java sotto la JBoss Enterprise Application Platform, dove è stato integrato con nuove caratteristiche quali il miglioramento delle funzionalità di auto-provisioning, il supporto allo storage locale e un sistema integrato di interfacce di programmazione (API) dei servizi Web RESTful.
La tecnologia in questione ha già ricevuto l’appoggio di alcuni dei più noti fornitori di Cloud di classe enterprise, del calibro di Intel, HP e Cisco. Nel frattempo, anche altre alternative open source stanno spuntando, qua e là, in diverse parti dello stack delle architetture cloud aziendali, come nel sistema operativo.
Piston Cloud Computing offre quello che sostiene essere il primo sistema operativo cloud basato sulla piattaforma OpenStack. La distribuzione Linux-based Piston Enterprise OS (PentOS) utilizza l’architettura proprietaria Null-Tier per coniugare capacità di elaborazione, storage e networking a livello di nodo, offrendo una maggiore scalabilità a costi inferiori rispetto a molte soluzioni proprietarie. Il sistema può essere implementato in 10 minuti e può accedere a qualsiasi ambiente OpenStack compatibile, come Rackspace, Dell e Amazon.
Un linguaggio comune
Il Cloud, ovviamente, è tutto incentrato sui servizi così sarebbe d’aiuto, per molti, dotarsi di una piattaforma aperta per integrare le architetture di servizio esistenti con quelle “sulla nuvola”.
Questo sembra essere l’obiettivo delle ultime iniziative messe in atto dall’Open Group: una nuova architettura di riferimento SOA e la Service-Oriented Cloud Computing Infrastructure Framework (SOCCI). L’idea è di sostenere un linguaggio vendor-neutral comune per colmare le lacune che molti servizi incontrano quando si cerca di coordinarli tra loro in un ambiente Cloud.
Attraverso una terminologia comune, i servizi dovrebbero essere in grado di operare all’interno di un universo più ampio, senza dover ricodificare e rimappare le singole architetture individuali. E, poiché la nube si basa su un’infrastruttura di rete a guidare ambienti dati dinamici, una maggiore apertura sulla “griglia” è del tutto giustificata.
Big Switch Networks ha pubblicato di recente una versione open source dell’OpenFlow Controller, come parte integrante dell’iniziativa Software-Defined Networking (SDN). Soprannominato Floodlight, il sistema monitora e gestisce i dati di controllo degli switch OpenFlow-compatibili in un ambiente server based, piuttosto che direttamente sullo stesso switch. Questa significa una miglior gestione centralizzazione e una distribuzione più efficiente dei servizi di rete. Il sistema è disponibile sotto licenza Apache 2.0 con Hadoop e OpenStack.