Licenze

La virtualizzazione e il rebus delle licenze software

Per i CIO, decifrare gli schemi di pricing è un vero e proprio percorso ad ostacoli. Servono capacità di contrattazione, negoziazione, ma soprattutto una semplificazione da parte dei fornitori software.

Pubblicato il 27 Gen 2011

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Per i CIO, decifrare i modelli di licenza dei software in un ambiente virtualizzato è un vero percorso ad ostacoli.

Tradizionalmente le licenze software si sono basate sul numero dei processori o dei server. Ma la natura intrinseca della virtualizzazione impedisce di utilizzare lo stesso metodo arcano, visto che sullo stesso server possono girare più ambienti operativi.

In ambito server, gli esperti dicono che attualmente gli schemi di licenza proposti sono legati ai seguenti fattori:

  • L’hardware fisico sul quale gira la macchina virtuale (VM), determinato dal numero di CPU, core o socket
  • L’istanza fisica, con una licenza assegnata per server
  • L’hardware virtuale, determinato in base all’hardware emulato dalla VM (ad esempio le CPU virtuali)
  • L’istanza virtuale, determinata in base alla VM, l’ambiente virtuale o l’istanza dell’applicazione
  • Un ibrido di istanza virtuale a sua volta legato all’hardware sottostante
  • Il numero degli utenti, determinato in base al numero totale (o a quello massimo) degli utenti con accesso simultaneo

Come si nota, gli schemi sono diversificati e se il CIO forse non può contrattere i termini di utilizzo, può sempre negoziare sul prezzo o altri servizi.

Per esempio, anziché negoziare sugli hypervisor come Citrix Xen o VmWare vSphere, si può decidere di prezzare l’uso delle applicazioni non per processore, ma per i terabyte usati sul lato back end oppure sul numero di procedure per anno.

Il problema è che è difficile per i professionisti IT rimanere aggiornati sulle variazioni dei modelli di licenza. VmWare per esempio ha deciso di tariffare vSphere in base alle VM e non ai processori come in passato.

E se le cose sono già articolate sul lato server, figuriamoci quando si vanno a virtualizzare i desktop. Mancano punti di riferimento condivisi che permettano di capire il reale costo delle licenze, soprattutto quando si aggiungono i costi di manutenzione e di supporto. Si corre il rischio di arrivare a un modello tipo prezzo dell’elettricità: non ci pensi perché ne hai bisogno, ma poi i prezzi cambiano e non sai neanche il perché.

E quindi? Secondo Gartner, il trend è di definire licenze basate solo su metriche software quali istanze del sistema operativo, indirizzi IP, numero di CPU virtuali, utenti serviti e via dicendo. Le licenze ideali, secondo la società di analisi, devono essere agnostiche per quanto riguarda l’hardware (ed estremizzando anche l’hypervisor) .

E questo è un processo non facile. Molti fornitori software definiscono ancora le licenze desktop in base all’endpoint fisico. In un ambiente virtuale, ci sono utenti che magari hanno tre dispositivi diversi e che vogliono accedere all’applicazione virtuale da ciascun dispositivo. E ovviamente l’area acqusiti non vuole comprare 3 licenze per un singolo utente.

Alcuni analisti ritengono che il modello di licensing del desktop virtuale, alla fine sarà indipendente dall’hardware e basato sul numero di utenti o sul numero massimo di utenti concorrenti. La parola ora passa ai fornitori.

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