Storage 2.0

Processi di archiviazione nell’era dei Big Data? Aziende italiane conservative (con qualche sorpresa)

Il 76% delle aziende gestisce ancora tutti processi di archiviazione in modo proprietario e 4 aziende italiane su 10 confermano di avere grosse criticità rispetto a Volume e Vulnerabilità innanzitutto. Ma c’è anche chi sceglie l’hybrid cloud. I dettagli in una survey esclusiva, condotta da NetworkDigital4

Pubblicato il 18 Ott 2016

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I processi di archiviazione sono l’altra faccia della Digital Transformation. Di fatto è la crescente informatizzazione aziendale che ha portato le organizzazioni a dover gestire una quantità di informazioni a capacità infinita, spingendole a fronteggiare il tema del Big Data Management. In che modo? A partire dal problema noto come delle 5V, iniziando dal Volume e dalla Vulnerabilità, prima ancora della Varietà, della Variabilità e della Velocità.

Le informazioni, infatti, sono preziose e vanno tutte gestite, il che significa archiviate, analizzate, protette e rese accessibili nei tempi e nei modi corretti. Come lo fanno? Quasi 8 aziende italiane su 10 preferiscono una gestione dello storage in house ma, sorpresa, il 18% ha sposato modelli di hybrid cloud e il 6% si è affidato interamente alla nuvola.

Gestione dell’informazione nei processi di archiviazione

Lo rivela una survey condotta da NetworkDigital4 in collaborazione con Tech Data Azlan. I ricercatori hanno intervistato un campione di 300 aziende del Nord e del Centro Italia, operanti in tutti i settori, e sono riusciti a mappare con molta precisione le problematiche, le strategie e gli approcci che caratterizzano i trend. A rispondere un panel di CIO e responsabili dei sistemi informativi operanti per lo più in aziende di medio-grandi dimensioni. Sono loro ad aver aiutato gli analisti a capire meglio non solo in che percentuale impatta il tema della gestione dei dati rispetto ai processi di archiviazione ma anche, più in dettaglio, quali sono gli aspetti percepiti come davvero prioritari. Alla domanda se la gestione dei dati e dei processi di storage possa rappresentare una criticità ben 6 aziende su 10 hanno risposto di no.

Il 40% di organizzazioni che hanno risposto di sì ha permesso un’analisi di dettaglio, che ha permesso ai ricercatori di costruire una gerarchia diversificata rispetto alle problematiche da affrontare. Al primo posto troviamo la quantità di volumi da gestire, indicata dal 33% del campione. Al secondo posto, con il 16% di risposte, viene indicata la sicurezza e la gestione delle policy associate alla protezione e alla conservazione dei dati e alle compliance normative.

“S” come Storage, ma anche come Sicurezza

La sicurezza, in tutte le sue sfumature, occupa le menti dei responsabili aziendali. Rispetto alla gestione dei processi di archiviazione, infatti, al terzo posto il 14% delle aziende indica come problematica la gestione dei back-up. Business continuity e risk management vengono al quarto posto, con il 9% delle risposte. In realtà, quasi 3 aziende su 10 (28%) afferma di avere oltre a quelle citate, anche una serie di criticità diverse, che dipendono grandemente dalla tipologia di infrastrutture su cui poggiano i sistemi di riferimento.

Uno dei problemi con lo storage, infatti, è l’eterogeneità di macchine e di soluzioni supportate che ha portato le server farm a crescere in maniera piuttosto incontrollata e con un approccio addizionale, più che funzionale.

Il tema della sicurezza, infine, è stato scandagliato in maniera più approfondita, facendo emergere come la percezione dei rischio per tutte le 300 aziende intervistate ponga la posta elettronica al primo posto (80%). La classifica dei servizi che vengono considerati più a rischio di attacchi o minacce vede poi, con molto distacco, i device mobili (19%) seguiti dalla rete (18%), dai device fissi (9%), dai data base (7%) e da applicazioni e software (6%).

Gestione degli accessi multicanale, ma con cautela

Il tema della proprietà dei dati e del presidio del perimetro sono due elementi che ancora caratterizzano la cultura aziendale italiana, incentrata su un concetto di qualità e di ownership di un bene più che di qualità e fruizione di un servizio.

La paura di aprire lo storage a politiche di accesso e di condivisione più elastiche e collaborative è ancora lontana: poco più di 3 aziende su 10 (32%) consentono una gestione alle risorse di storage esclusivamente da dispositivi aziendali fissi mentre solo 5 aziende su 10 permettono un accesso sia da dispositivi fissi che da dispositivi mobili.

Rispetto alla tematica di un’evoluzione delle aziende verso lo smart working e verso modelli di filiera sempre più integrati, le risposte raccontano come solo il 6% delle imprese abbia autorizzato un accesso anche ai dispositivi di proprietà dei dipendenti e solo il 13% delle imprese intervistate conceda un accesso anche ai dispositivi dei collaboratori e dei clienti esterni autorizzati. Nei prossimi 12 mesi solo il 7% delle aziende investirà per favorire un accesso multicanale alle risorse di storage mentre un altro 7% investirà in soluzioni iperconvergenti. Si tratta di due dati emblematici perché fotografano un’imprenditorialità italiana a due marce, ripartita tra aziende conservative e aziende più innovative.

Quali sono gli investimenti previsti dalle aziende italiane da qui ai prossimi dieci mesi? Quali sono i brand di riferimento per le soluzioni di storage tradizionali e in cloud? Per conoscere questi e altri dati della ricerca, potete scaricare gratuitamente tabelle e infografiche cliccando qui

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