MILANO – Vito Di Bari insegna Progettazione, Gestione e Innovazione dei Sistemi alla Facoltà di Ingegneria dei Sistemi del Politecnico di Milano e Corporate Image all’Università Bocconi. È un opinionista, autore di diversi libri tra i quali il recente “Web 2.0 – Internet è cambiato. E Voi?”, esperto in relazione alle nuove tecnologie e al loro impatto sul nostro futuro. ZeroUno lo ha intervistato per capire, secondo il suo punto di vista, come le moderne tecnologie stanno cambiando il modo di fare impresa.
“Grazie alle tecnologie di oggi si sta originando un nuovo modo di “fare” impresa, nel senso organizzativo del termine e anche dal punto di vista delle potenzialità che le imprese hanno sui mercati”, esordisce Di Bari. “Per questo è stata coniata anche un’espressione, quella di Enterprise 2.0, per riferirsi ad una realtà d’azienda che ha abbracciato con vigore gli strumenti ma soprattutto l’approccio del 2.0. Che non significa solo attivare alcuni servizi web di nuova generazione, ma vuol dire soprattutto ripensare la propria organizzazione alla luce di un approccio basato fortemente sulla collaborazione e sul dialogo”.
Significa soprattutto mettere le persone al centro del fare impresa. Non solo i capi, tutta l’organizzazione, attraverso un processo che identifica chi può essere coinvolto e generare valore su un determinato processo e che viene abilitato non solo a ricevere istruzioni ma anche a diventare parte attiva nella creazione di proposte, nuovi progetti, soluzioni. “Chi non riesce oggi a cogliere questa sfida rischia di ritrovarsi fra pochi anni con un’impresa rigida rispetto ad uno scenario flessibile. Non più in grado quindi di essere competitivo”, dice Di Bari.
Imprese consapevoli? Dipende dai mercati…
Il mercato statunitense è fortemente dinamico in questo senso. Nel libro “Web 2.0” Di Bari riporta il contributo di James Manyika che dirige McKinsey San Francisco. L’agenzia è stata una delle prime a porsi il quesito di quanto stiano avendo effettivamente impatto le nuove tecnologie del Web 2.0 nel mondo dell’ impresa. I dati riportati nel libro sono fortemente incoraggianti. Infatti, su un campione di 2.800 imprenditori di tutto il mondo presi in esame dallo studio dell’agenzia, emerge che ben il 35% conosce le nuove tecnologie 2.0. Di questi, ben il 77% sostiene che la propria impresa ha già imboccato in una qualche forma la strada tracciata da questa nuove fase del Web, con alcune punte in Paesi come Cina e India. “Parlare di un 35% può sembrare riduttivo e invece è un dato molto incoraggiante: nella prima fase di diffusione di una nuova tecnologia o una nuova tecnica, la curva di adozione cresce molto lentamente, prima di impennarsi in caso di diffusione massiva (successo della tecnologia sul mercato di riferimento) o di affossarsi”, precisa Di Bari. “In questo caso, assistiamo a un vero successo di adozione, in un ambito molto delicato come quello delle imprese, spesso poco propense a investire in tecnologie e tool che vadano a modificare radicalmente il proprio modo di fare impresa. Va poi considerato che i nuovi talenti, su questo ambito, sono paradossalmente i nuovi entrati in azienda”. E questo è un dato non di poco conto, perché se un’azienda decide di investire radicalmente su queste nuove tecnologie o tools, dovrà dare grande spazio e responsabilità alle new entry.
Italia: verso una “dimensione digitale” dei Distretti
“Per il nostro Paese vedo una grande sfida da raccogliere e da concretizzare”, dice Di Bari che specifica: “Le aziende italiane sono per lo più piccole se non piccolissime, come sappiamo. Eppure, questi 4,2 milioni di realtà aziendali assorbono l’81,7% degli addetti e generano il 58,5% del valore delle esportazioni e il 70,8% del Prodotto interno lordo. Insomma, fanno profondamente la differenza. E queste aziende, spesso troppo piccole per competere singolarmente sui mercati globali, che ormai è l’unico terreno di gioco possibile, hanno da tempo trovato il modo per superare i propri limiti, organizzandosi in organizzazioni territoriali verticali. Sono i Distretti: l’anima della nostra economia e della nostra produttività. I Distretti rappresentano oggi la maggior parte della produttività del nostro Paese: raccolgono le eccellenze del Made in Italy e le sanno valorizzare creando positive sinergie fra imprese che si occupano dello stesso prodotto/servizio. Ecco, il Web 2.0 abilita lo stesso tipo di processo, su una scala però anche più vasta. È in grado di raccogliere l’eccellenza attorno ad un unico progetto, in grado di far convergere la R&S di più imprese in un unico macro-soggetto. Se ci sarà la volontà, credo che per le Pmi nostrane possano solo che derivare benefici dal trasportare l’eccellente esperienza dei distretti verso una loro dimensione digitale”.
Quale futuro?
Abbiamo infine chiesto a Vito Di Bari, secondo la sua esperienza, come vede il futuro italiano ed europeo in relazione all’adozione tecnologica e alla spinta innovativa delle imprese e la risposta è stata incoraggiante. “Lo vedo molto reattivo. Si consideri che il numero di start-up europee che sono nate e si stanno sviluppando per creare progetti e prodotti 2.0 è notevole. C’è una vitalità enorme su questo tema e pare che l’Europa si sia mossa non dopo, come spesso accade, ma in contemporanea con gli Stati Uniti. È la stessa rete, del resto, che abilita questo rapido assorbimento di idee, modelli di business e di imprese. Credo quindi che, dopo questa fase pionieristica, l’elemento essenziale sia la corretta messa a punto di modelli di business per essere competitivi sui mercati. Il Web 2.0 permette oggi di creare imprese senza costi in partenza, salendo sulle spalle di un’ ottima idea e attaccandoci una piccola porzione di lavoro. Il passaggio successivo, però, è quello della maturità. Ora come ora molte start-up stanno entrando nella seconda fase ed è opportuno che si dotino degli strumenti giusti per affrontarla”, suggerisce in conclusione Di Bari. »