Ucc, coinvolgere i giusti interlocutori aziendali

Dotare l’impresa di una struttura di comunicazione unificata che renda possibile
il "collaborative working" ad ogni livello, sia all’interno dell’organizzazione sia nel rapporto con partner e clienti, non è più un programma che l’It possa valutare in prospettiva ma un qualcosa che va fatto quanto prima possibile se non si vuole perdere competitività. Parliamo allora con analisti, fornitori e soprattutto con chi ha già fatto esperienza, delle opportunità dell’Ucc e delle criticità cui occorre essere preparati per avviare un progetto di successo 

Pubblicato il 06 Ott 2008

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Le tematiche relative alla collaborazione e comunicazione unificata (Ucc) hanno trovato più volte spazio su queste pagine. Talvolta in relazione ai temi del Web 2.0 e dell’impresa flessibile e real-time, dei quali sono una infrastruttura abilitante, e altre volte per trattare vantaggi e criticità dei progetti Ucc in quanto tali ed esaminare gli sviluppi delle tecnologie coinvolte. Questo mese ne parliamo in quanto l’Ucc è stata oggetto di un evento ZeroUno del ciclo “Incontro a cena con gli utenti” tenutosi qualche mese fa a Milano. Di questo evento, cui hanno partecipato con domande e interventi numerosi Cio, It manager, Hp (partner del progetto) e responsabili di linee di business, e di quanto più significativo ne è emerso diamo in queste pagine una sintesi a beneficio di tutti i lettori.
Come ha esordito Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, nel presentare i temi dell’incontro, “le aziende hanno sempre avuto delle soluzioni di comunicazione, il problema è capire come renderle unificate e come razionalizzarle in funzione di meccanismi di collaborazione che devono in qualche modo dare un servizio e portare un valore all’organizzazione e, in ultima analisi, alla strategia dell’impresa”. Ciò è reso necessario dalla crescente complessità ed articolazione organizzativa delle imprese stesse; in parte intrinseca alle dimensioni ed alle attività del business, in parte complicata dalle frequenti operazioni che, sulla spinta del mercato e della concorrenza, intervengono sul modo in cui le imprese sono organizzate: fusioni e acquisizioni; aperture e dismissioni di linee di business; delocalizzazioni di strutture e attività e così via. Alla luce di questi fatti, “quello che sta emergendo con sempre maggiore chiarezza – ha proseguito Uberti Foppa – è la necessità di soluzioni a supporto di una collaborazione strutturata sia all’interno all’azienda sia nel rapporto tra questa e i propri partner e clienti”. Ai Cio spetta quindi d’individuare quali siano i percorsi da compiere alla ricerca di quelle soluzioni che (senza ovviamente perdere di vista i problemi di budget) siano in grado di realizzare, attraverso la gestione unificata delle comunicazioni, dei meccanismi di collaborazione efficienti e flessibili. “Portando anche – osserva Uberti Foppa – quell’evidenza di vantaggio che è d’importanza primaria non solo per convincere le controparti della convenienza e necessità dei relativi progetti, ma anche per riaffermare il ruolo dell’It e dei Cio nel loro governo”

Reti aziendali e complessità delle relazioni
I concetti esposti sul quadro generale di crescente complessità delle relazioni intra ed extra aziendali in cui si colloca una strategia di Ucc, sono stati ripresi da Riccardo Zanchi, partner

di NetConsulting , che ha aggiunto come tale complessità vada ad impattare sulle reti aziendali con un peso che non è solo quantitativo ma di qualità: “dal banale telefono ai sofisticati sistemi di “business tv” passa molta differenza. Ma tutto ciò che sta in mezzo deve poter interagire con quello che lo ha preceduto e con quello che segue o seguirà. Per cui la complessità delle relazioni si declina nella complessità delle reti che queste relazioni vanno a supportare”. Da questa semplice constatazione nasce l’importanza di tracciare modelli di comunicazione che possano accorciare la catena di relazioni che esiste entro ogni organizzazione; un’azione che, nel contempo, osserva Zanchi: “va a ridurre l’importanza delle aree di conoscenza detenute da gerarchie aziendali a favore della conoscenza diffusa abilitata dalla collaborazione tra tutti i soggetti attivi all’interno di un ciclo produttivo”. Ma non sarà più la collaborazione di un gruppo di persone riunite in una stanza. Proiezioni derivanti da analisi svolte dal 2000 in qua, mostrano come entro il 2015 tenderà a sparire sia il lavoro individuale sia soprattutto il lavoro di persone operanti a contatto diretto, nello stesso luogo e nello stesso tempo. “Lavorare in luoghi diversi e a volte, anche per questioni di fuso orario, in tempi diversi, sarà il modello di riferimento”, continua l’analista di NetConsulting.
Per gestire questo cambiamento sfruttando l’aiuto che le tecnologie Ucc possono dare occorre in primo luogo classificare i processi aziendali ai fini della collaborazione, individuando quelli dove questa è più importante ed evitando concentrazioni di conoscenze e/o competenze che creino dei “colli di bottiglia” sul piano operativo. Poi, passando dai processi alle persone, occorre identificare le figure-chiave interessate e tracciarne un profilo che tenga conto sia di come e dove (considerando le tecnologie a supporto della mobilità) queste svolgano il loro lavoro, sia della loro propensione all’uso delle tecnologie. Questa non va affatto data per scontata, ed è uno dei fattori per la valutazione del necessario fabbisogno formativo.
L’analisi dei processi e la profilazione degli utenti sono i parametri che guidano il processo di selezione tra le molte soluzioni Ucc proposte dal mercato. Nella scelta però conta molto anche l’estrazione del fornitore, che, osserva Zanchi, “ha un tipo di approccio al problema che cambia radicalmente a seconda che provenga dal mondo delle telecomunicazioni piuttosto che da quello dell’It”. Chi viene dalle Tlc ha una visione che pone nel centralino il cuore e l’intelligenza del sistema, con directory e applicazioni calate nell’ Ip-Pbx, e tende a preservare una “user experience” consolidata. All’opposto, secondo la visione (che Zanchi chiama “Office-centrica”) dei vendor di matrice software, le funzioni telefoniche si portano in un’applicazione, la directory vive sul Pc e si comunica, oltre che in voce, anche per messaggi, e-mail e quant’altri servizi si vogliano aggiungere all’applicazione. Una vista, infine, da system integrator modifica ulteriormente il tipo di approccio, rendendo centrale un “communication server” destinato a gestire i canali di comunicazione e le modalità d’interazione tra questi e le applicazioni aziendali. È un approccio del quale, osserva Zanchi, è importante valutare gli impatti organizzativi, stante il ruolo dato all’integrazione di funzioni di comunicazione con funzioni applicative.

La telefonia come valore aggiunto
Un’esperienza concreta nel campo dell’Ucc è stata portata da Walter Brambilla (nella foto a sinistra), team leader

IP Telephony Western Europe di Roche. Realizzato al servizio di una strategia di rifocalizzazione del business del gruppo verso la ricerca avanzata e le biotecnologie, il progetto parte anni addietro, nel 2002, con l’abbandono dei centralini tradizionali e la conversione in tecnologia Ip dell’infrastruttura telefonica. “Un’operazione – ricorda Brambilla – dettata da due input molto forti da parte del business: riduzione dei costi legati alla telefonia e un estremo interesse per le potenzialità di sviluppo dei call center”. La realizzazione del progetto si avvantaggia di un requisito di tipo organizzativo che Brambilla definisce fondamentale: in Roche infatti i telefoni non sono di competenza, come accade di solito, dei servizi generali, ma dei Sistemi Informativi. “Questo ci ha permesso di vedere la telefonia non come una mera necessità ma come un fattore di cambiamento in grado di fornire un valore aggiunto al business”. Completata la migrazione alla nuova tecnologia, i passi successivi riguardano il potenziamento dei servizi. Si parte con l’unificazione delle directory, comprese quelle dei cellulari, e si passa quindi al monitoraggio delle chiamate in entrata nel call center in modo da verificare la qualità delle risposte, l’efficienza e l’efficacia. Nell’organizzazione dei Sistemi Informativi si definisce poi una separazione netta tra il primo supporto, delegato al classico help desk, e le attività di sviluppo e supporto di secondo livello, sulle quali si è potuto quindi concentrare il team guidato da Brambilla accelerando l’introduzione delle soluzioni e dei servizi richiesti dal business.
“Oggi, capitalizzando sulla conoscenza, sugli skill e sull’esperienza maturata negli anni, il team italiano varca i confini e si propone come centro servizi a livello corporate”. Un centro di eccellenza in grado di gestire un’infrastruttura di oltre 6.000 telefoni e 350 call center distribuiti su 15 siti, ed erogare servizi all’intera regione Emea, rispondendo nel giro di un paio di settimane alle richieste che nascono dall’espansione delle attività a nuovi paesi e nuovi mercati. Questo allineamento al business ha cambiato la natura stessa del team. “Non siamo più solo dei tecnologi”, conclude Brambilla. “Sono nati i profili dell’account manager, che propone e promuove i servizi al business, e quello del gestore del servizio stesso, che ne cura gli sviluppi e ne misura l’Sla”.

La barriera all’ucc: l’impatto sull’azienda
A trattare infine gli approcci e le criticità di un progetto Ucc viste dalla prospettiva del vendor e focalizzate sulle relazioni con gli utenti ha parlato Amos Ferrari (nella foto a fianco), worldwide Messaging &

Unified Communications Solutions Manager di Hp. Dopo aver ricordato che l’Ucc è un qualcosa “che succederà comunque, indipendentemente da quelle che saranno le scelte tecnologiche”, Ferrari ha brevemente esposto quelle che sono le principali barriere che ne frenano l’adozione: la difficoltà di razionalizzare le diverse visioni che dell’Ucc si hanno nell’impresa e nell’It tra chi ne privilegia il lato telefonia e chi il lato messaggistica; l’ulteriore confusione creata dalle diverse visioni proposte da vari vendor in relazione alle rispettive tecnologie; gli oggettivi problemi d’integrazione dei sistemi; i rischi per la sicurezza e la compliance normativa; la difficoltà di rappresentare i benefici ottenibili e, infine, le resistenze di chi teme, con l’Ucc, un’invasione di messaggi inutili sul tipo di quelli portati dall’e-mail.
“Il fatto è – osserva Ferrari – che l’Ucc è una cosa che guida il cambiamento nell’azienda, ma allo stesso tempo richiede all’azienda di cambiare”, con un impatto che coinvolge tutta l’organizzazione. Anche per questo è un lavoro che si deve e si può fare per passi; purché questi passi seguano un cammino frutto di una precisa strategia. In questo, secondo Ferrari e l’esperienza Hp, la media impresa è favorita rispetto alla grande, frenata dalla dimensione dei problemi organizzativi e d’integrazione.

Esperienze a confronto
Conclusi gli interventi in programma, il “via” alle domande ai relatori viene dato da Uberti Foppa, che chiede quale sia il “fattore scatenante” di un progetto Ucc: se le richieste del business piuttosto che il bisogno di riduzione della complessità. “Il bisogno da parte dell’It di semplificare e governare le tecnologie – risponde Brambilla – è il punto di partenza. Ma questa semplificazione va incontro anche ai problemi del business, che trova nell’Ucc una soluzione adatta a gestire, specie per quel che riguarda la comunicazione tra e con i dipendenti, i cambiamenti che si trova a fronteggiare”. Ancora Brambilla, e in risposta a domande del pubblico, prima identifica il maggior ostacolo interno allo sviluppo dell’Ucc nell’impatto che questo può avere sulla organizzazione aziendale, e poi espone le modalità di erogazione dei servizi all’utente: “Ci sono due direzioni possibili. La prima è dare all’utente i servizi su sua specifica necessità, come ad esempio per l’integrazione dei device mobili; la seconda è dare un “pacchetto tutto incluso”, ad esempio con i servizi necessari a supportare una nuova sede”.
Un punto che ha suscitato interventi vivaci da parte dei presenti riguarda il “salto culturale” portato dall’Ucc nell’impresa e il conseguente livello di accettazione degli utenti nei confronti di una soluzione che, a prescindere dagli eventuali vantaggi, ne modifichi il modo di lavorare. Il primo di questi interventi riporta l’esperienza di un’impresa che aveva realizzato, tre anni fa, un progetto di migrazione alla telefonia Ip partendo puramente da motivazioni di risparmio sui costi telefonici. Potendosi questo progetto definire di successo, con un buon ritorno d’investimento, l’It manager aveva deciso, un anno dopo, di capitalizzare l’infrastruttura realizzata estendendo il progetto secondo una vera strategia di comunicazione unificata. Il risultato è stato un fallimento. Si era infatti sottovalutato un problema di cultura aziendale: mentre i nuovi servizi relativi al telefono erano stati prontamente accettati, quelli successivi, che avevano un maggiore impatto sul modo di lavorare, erano stati rifiutati. Dieci sistemi di videoconferenza rimasero quasi inutilizzati perché coloro cui erano destinati preferivano continuare a viaggiare in aereo.
Questo intervento ha visto Zanchi e Brambilla convenire sulla necessità di valutare attentamente i cambiamenti che una certa soluzione tecnologica può dare nell’organizzazione e nei processi aziendali, e di coinvolgere preventivamente e progressivamente nella sua eventuale adozione gli utenti cui è destinata per smorzarne l’impatto. L’attenzione di Ferrari si è rivolta invece al fatto che il progetto sia partito con un approccio tattico, senza una strategia. “È possibile partire anche solo con una visione tattica, purché ci sia almeno una consapevolezza dei potenziali sviluppi che aiuti l’It a pianificare gli investimenti. Tanto più che per l’It il primo problema è proprio giustificare gli investimenti”.
Interessante infine la questione, posta sempre dal pubblico, sui rischi dell’integrazione in un progetto Ucc di forme di comunicazione e collaborazione spontanee e destrutturate come blog e wiki. Le risposte dei relatori, cui questa volta si è aggiunta quella di Uberti Foppa, hanno concordato, pur riconoscendo l’utilità per l’azienda di “metabolizzare” queste tecnologie, sulla necessità di introdurre efficaci sistemi di controllo e validazione delle fonti e degli autori.

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