Dal dibattito all’azione per uno sviluppo sostenibile

Pubblicato il 30 Gen 2009

Sul tema della Corporate Social Responsibility si possono distinguere almeno due diversi approcci: il primo rileva una forte attenzione al tema della responsabilità sociale e la intende come un fenomeno attuale nel quale la propria azienda non può esimersi dal capirlo e dal rendere esplicita una propria azione. Con la speranza di un ritorno di immagine (e di business) derivato dal fatto di essere una realtà “eco-sensibile”. Il secondo approccio è invece la conseguenza di una profonda riflessione (e di una conseguente revisione nella propria azione sul mercato) che parte da una presa di coscienza importante, da un’evoluzione culturale profonda che deriva da fatti evidenti e sotto gli occhi di tutti. Una riflessione che incomincia nell’individuo e investe le diverse organizzazioni nelle quali gli uomini vivono e si relazionano (e l’impresa è certamente una di queste) sul tema di quale rapporto sia possibile strutturare tra uno sviluppo sostenibile (intendendo con questo termine un equilibrio tra sviluppo economico, equità sociale ed ecosistemi) e la ricerca di una crescita economica secondo modelli diversi da quelli fino ad oggi conosciuti e consolidati.
Il senso di questo progetto di ZeroUno sulla CSR va ricercato proprio nella volontà di contribuire ad una conoscenza e a una “scelta di campo” che è nei fatti non più procrastinabile e che coinvolge oltre che le persone anche le imprese (nel nostro caso le imprese dell’Ict ma anche quelle che l’Ict lo usano) le quali sia attraverso la loro azione sul mercato sia attraverso la creazione di nuove tecnologie, tanto impatto, positivo e negativo, possono avere sugli equilibri economici ed ecologici del pianeta. Il tema è chiaro: si tratta di capire quale correlazione è possibile (e se è possibile) tra un’inarrestabile globalizzazione, una necessità di crescita economica sia per paesi già sviluppati sia per quelli in via di sviluppo e uno sviluppo sostenibile, intendendo quest’ultimo come un equilibrio che deve andare oltre la semplice accumulazione di ricchezza e crescita del Pil, per spingersi ad affrontare le grandi tematiche della gestione delle risorse del pianeta e delle persone che del pianeta ne fanno parte.
Non si tratta di tematiche distanti da noi, appannaggio di grandi organismi internazionali e di governi. Il problema ha ormai raggiunto la dimensione individuale e proprio da questa, con comportamenti quotidiani e strategie di impresa coerenti, bisogna partire per poter incidere e ottenere risultati.
L’unico linguaggio che negli ultimi due-tre anni i poteri economici hanno capito è quello a loro più consono: il profitto e le spese. Uno sfruttamento intensivo di territori e popolazioni, produzioni con emissioni di gas ben oltre il limite ecologicamente sopportabile hanno prodotto effetti che, sotto il profilo economico e dell’accumulazione di capitale, stanno recando danni incalcolabili. I costi dei danni causati da uragani, effetto-serra, flussi migratori sempre più difficilmente controllabili, la forte concentrazione, con lo sviluppo delle aree asiatiche, di popolazioni in aree urbane, seguendo la logica del possesso e del consumo, stanno rapidamente mettendo a dura prova le “ferree leggi” del profitto, aprendo il dibattito ad uno sviluppo (economico e di benessere diffuso) sostenibile (per territori, persone, ecosistema).
Le imprese, si diceva, sono partite. Il dibattito si è esteso rapidamente dalle grandi organizzazioni internazionali, dai convegni, dall’opera di sensibilizzazione sociale all’assunzione di responsabilità e ad un’azione da parte delle imprese. Imprese attente (per motivi di sensibilità o convenienza economica o ancora di appealing presso i consumatori) non più soltanto agli impatti sul territorio e sull’ambiente, ma anche ad attuare comportamenti e azioni di presenza sul territorio virtuosi, rispettosi del sociale e delle diverse componenti di cui vive l’azienda e il suo mercato (consumatori, dipendenti, fornitori); una responsabilità verso il sociale secondo modelli produttivi e gestionali attenti agli impatti sul territorio (salvaguardia e rispetto, minore inquinamento), sui dipendenti e collaboratori (disponibilità a logiche di qualità di ambiente di lavoro, di non sfruttamento di manodopera in paesi terzi e meno sviluppati), sui prodotti (ricerca della qualità, sicurezza, e prodotti che sono il risultato di impostazioni organizzative e produttive socialmente responsabili) e sui consumatori/clienti (coinvolgimento sempre maggiore nelle strategie di produzione e di qualità, ricerca di maggiore trasparenza e interazione). Non stiamo descrivendo il “libro delle fiabe” ma una cultura del benessere, del consumo responsabile e anche una questione di sopravvivenza che sta crescendo nella società in modo evidente.
In questo scenario la tecnologia e le aziende che la sviluppano e la diffondono giocano un ruolo fondamentale. Innanzitutto perché l’Ict è la prima industria mondiale in termini di Pil, e quindi già l’impatto che le tecniche produttive e distributive possono determinare sull’ambiente e sul lavoro delle persone è notevolissimo. Secondo perché l’Ict…è ovunque nella nostra vita. In aeroporti, ferrovie, banche, supermercati, energia, ospedali, automobili e ancora nei sistemi produttivi di ogni tipo di manufatto, tutto vive grazie al supporto dell’informatica (e all’intelligenza dell’uomo). Nei data center di questi organismi e imprese arriveranno, dai fornitori, sistemi costruiti con componenti a risparmio energetico; verranno pensati, anche in un’ottica di minori costi, nuovi disegni di architetture di data center meno esigenti sotto il profilo del consumo; la distribuzione e l’utilizzo di potenza di calcolo verrà erogata in modo più razionale. Insomma, il cosiddetto Green IT è la risposta pratica, proveniente dal mondo delle tecnologie Ict, alla necessità di una migliore razionalizzazione delle risorse energetiche e di un minore impatto sull’ambiente. Verso un modo migliore, più equilibrato, di vivere sulla nostra terra.

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