Poco più di un anno fa, Forrester pubblicava uno studio dal significativo titolo “Is Cloud Computing Ready for the Enterprise?”. Basato su interviste a più di una ventina di fornitori di tecnologia e di soluzioni coinvolti nel fenomeno e ad un numero più limitato ma ugualmente significativo di utenti di applicazioni e servizi erogati attraverso questo modello, lo studio giungeva a due fondamentali conclusioni. La prima era che il cloud computing avrebbe rivoluzionato non solo il data center del futuro, ma la stessa funzione It delle imprese nel modo di lavorare, di organizzarsi e di fornire servizi al business. Pertanto non poteva assolutamente essere ignorato dai Cio, ma andava seguito e considerato nelle opzioni per il sourcing dei servizi It. La seconda era che, allo stato delle cose nella primavera del 2008, il modello proposto dal cloud computing non era ancora in grado di soddisfare i criteri di fornitura di servizi It di una grande impresa. Adatto per una start-up o una medio-piccola azienda rappresentava un passo ancora troppo grande per le organizzazioni maggiori. Ma sappiamo che l’It evolve in fretta. Sempre più in fretta. E se gli eventi stanno pienamente confermando la portata rivoluzionaria del cloud computing nei confronti dell’It, dopo un anno ci sembra che il grande punto interrogativo posto da Forrester sulla sua applicabilità nell’impresa, anche se non è affatto scomparso, stia perdendo d’intensità per diventare, come in una dissolvenza cinematografica, un semplice punto fermo.
Gartner definisce il cloud computing come “un modello di elaborazione dove risorse It elastiche e massicciamente scalabili sono rese disponibili come servizio a più clienti esterni attraverso le tecnologie internet”. Si tratta quindi ‘soltanto’ di un modello alternativo di provisioning di risorse It, ma è un modello che cambia radicalmente il modo in cui gli acquirenti di soluzioni e servizi It si relazionano ai venditori e il modo in cui questi ultimi forniscono i loro prodotti. Porta infatti a un processo di industrializzazione dell’It che cambia (cambierà) il modo con cui la maggioranza delle imprese approccia l’erogazione dei servizi al business abilitati dall’It. Questo processo è già in atto: se guardiamo alla virtualizzazione, all’orientamento ai servizi, all’internet e alla convergenza delle reti su Ip, alla standardizzazione delle infrastrutture e ad altri elementi d’innovazione, vediamo che vanno tutti verso il superamento dei limiti dati dai tradizionali modelli di fornitura hardware e software. Il ‘cloud’ alimenterà un’economia basata sulla fruizione ‘a consumo’ di risorse (dallo storage alla capacità di calcolo fino alle stesse applicazioni) che finora si sono dovute acquistare, ammortizzare, mantenere e sostituire secondo contratti di fornitura e/o licensing destinati a cambiare per sempre. Come si diceva, è una rivoluzione. E come ogni rivoluzione presenta rischi e opportunità.
Materia ancora fluida, il cloud computing necessita di alcuni chiarimenti riguardo alcune idee correnti che, come osserva Gartner (e come avevamo scritto sulla ‘cover story’ di ZeroUno lo scorso giugno) in parte nascono da malintesi e in parte dall’interpretazione che i vari vendor fanno del ‘cloud’ a seconda dei vantaggi o dei pericoli che questo modello di provisioning può rappresentare per il loro business. Ricordiamo allora che il cloud computing non è né un’architettura né un’infrastruttura, ma un modello di rapporto tra fornitori e consumatori di servizi. Ciò implica che vi si potrà arrivare con approcci differenti, ma non che ogni vendor, per quanto grande sia, potrà creare un suo ‘cloud’, dato che tutti forniranno i loro servizi tramite la rete pubblica. Così, i servizi SaaS e IaaS (Software-as-a-Service e lnfrastructure-as-a-Service) che oggi si vanno sviluppando non sono cloud computing, anche se molti diventeranno servizi ‘cloud’. E infine, non tutti i servizi It confluiranno nel cloud computing né questo farà sparire le reti private, perché, come giustamente osserva Gartner, vi sono molte applicazioni speciali che non possono viaggiare sul Web e molte altre che speciali non sono ma esigono livelli di sicurezza, o di prestazioni, che non possono essere supportati né tanto meno garantiti dalla rete pubblica.
Si è accennato ai processi d’innovazione nell’It che portano al superamento dei classici modelli di relazione utente-fornitore verso un’economia basata sulla disponibilità di risorse non possedute ma fruite come servizio. Nel caso del cloud computing i ‘megatrend’ che lo rendono possibile sono tre: l’orientamento ai servizi, la virtualizzazione e, come è ovvio, l’Internet. La service orientation fornisce i concetti in base ai quali una risorsa It viene fornita, nel senso che non si compra nulla se non è correlato a un preciso servizio. La virtualizzazione è lo strumento che permette all’infrastruttura di diventare elastica e supportare compiti estendibili a richiesta. Internet, infine, è quel fenomeno che tutti conosciamo e che ha portato alla funzione sociale e al consumo di massa dell’It.
Rispetto all’evoluzione prevista per questi tre fenomeni, Gartner attribuisce a quella del cloud computing un’isteresi (cioè una costante di ritardo temporale) che permette di stimarne a sua volta lo sviluppo. Costruisce così una curva che pone la fase di più rapida crescita nel quinquennio 2008-2012 per rallentare nel triennio successivo e giungere al ‘plateau’ di maturità dopo il 2015. Siamo quindi agli inizi della fase di ‘boom’, ed è il momento dove i player interessati ad avere un ruolo preminente in quello che si configura con un mercato ricco di opportunità devono giocare le loro carte.
Un nuovo concetto di piattaforma tecnologica
Secondo la definizione che abbiamo dato, il cloud computing è un modello d’elaborazione dove le risorse It (elastiche e scalabili) sono rese disponibili agli utenti come servizio attraverso le tecnologie Internet. Ed è appunto su queste tecnologie, ovvero sulle modalità di accesso a servizi che possono spaziare dalla disponibilità di pure risorse d’infrastruttura ad applicazioni fino a veri e propri processi di business, che secondo Gartner (che ha dedicato a tema uno studio specifico: The Foundation for Cloud Computing Solutions), si focalizza gran parte dell’attività, e degli interessi, dei grandi player dell’It. Anche perché, è importante sottolinearlo, molte delle architetture e delle tecnologie del cloud computing si possono applicare anche all’interno di un’impresa per realizzare data center e ambienti applicativi più agili, flessibili e orientati al servizio.
Alla base delle soluzioni di cloud computing vi è quindi la realizzazione di una “Cloud/Web platform” (per Gartner “Cloud” e “Web” sono, in questo contesto, termini intercambiabili e anche noi li useremo come sinonimi) che provveda un accesso ‘programmatico’, vale a dire governabile, gestibile e sicuro, a quelle risorse It basate sulla Rete che fanno da base per comporre applicazioni e/o soluzioni di business. Una tale piattaforma potrà essere usata sia come infrastruttura software sulla quale appoggiare applicazioni tradizionali, sia come base per la creazione di soluzioni composite tramite tecnologie, architetture e strumenti di sviluppo web-centrici (come Soap/Wsdl, per esempio) e pratiche affinate dalle comunità aperte di sviluppatori. Nella sua forma più completa, una piattaforma Web “fornisce un framework per la creazione dinamica, per mezzo di modelli di sviluppo comuni e condivisi, di applicazioni composite e di servizi al business che coprono dominii organizzativi sia interni all’impresa sia esterni ad essa”. In altre parole, che sfruttano soluzioni e processi realizzati sia dalla funzione It dell’azienda sia da entità esterne ad essa. Infatti, una volta disponibili adeguati strumenti di governo gestione e sicurezza, queste soluzioni composite possono nascere assemblando pezzi realizzati da qualsiasi fonte: sviluppatori esterni (indipendenti o facenti parte dell’It di aziende partner), utenti interni (i cosiddetti ‘empowered users’) o addirittura clienti e fornitori.
Siccome il termine ‘piattaforma’ di per sé significa soltanto una qualsiasi cosa sulla quale costruire una qualsiasi altra cosa e nel mondo dell’It viene usato in una quantità di altri contesti (da ‘piattaforma hardware’ a ‘piattaforma applicativa’), dopo aver detto a che serve una ‘Cloud platform’ e cosa debba fare, vorremmo concludere spiegando bene dove si collochi nella sequenza che partendo dal microprocessore porta all’applicazione al servizio del business, nonché le cose che l’accomunano e quelle che la distinguono dalle tradizionali piattaforme It. Cercheremo di farlo evitando per quanto possibile ogni ‘tecnicismo’, in modo da aiutare soprattutto gli uomini del business a comprendere una tecnologia che pur non avendo effetti visibili e diretti sulle soluzioni che fanno marciare l’azienda, va comunque a rivoluzionare, come abbiamo detto, il modo con cui queste sono realizzate.
Per cominciare, la piattaforma cloud si colloca nell’area tra l’infrastruttura e le applicazioni. Tra quelle cose quindi (per dirla con Gartner) che sono di esclusiva competenza dell’It e delle quali non ci si deve preoccupare purché funzionino, e quelle per le quali invece l’It si deve relazionare con gli utenti perché sono destinate a loro e hanno un valore per il business. In quest’area si trovano i browser, che come sappiamo stanno tra l’application server e quelle che chiameremo applicazioni business (perché anche il browser è in realtà un’applicazione). Le tecnologie della piattaforma cloud s’inseriscono nella parte ‘bassa’ (o nascosta) del browser, quella che sta tra l’application server e l’interfaccia utente.
Questa collocazione rende evidente una cosa importante: che a differenza del concetto di ‘piattaforma’ più diffuso nell’It, che è legato e talvolta incorporato ad asset fisici (tanto che si parla di ‘piattaforma Wintel’, mettendo insieme sistema operativo e processore), una Web platform enfatizza l’idea di servizio virtualizzato, indipendente da ciò che vi sta sotto.
Le similitudini tra una piattaforma Web e una tradizionale stanno nel fatto di essere entrambe formate da set di interfacce e di strutture di base, di essere entrambe estensibili e di permettere la costruzione di soluzioni applicative, di avere entrambe un valore che è determinato da ciò che della piattaforma viene reso accessibile e infine (in conseguenza dell’accessibilità) di legare il proprio successo alla capacità di creare un ecosistema.
Ciò che distingue una Web platform da una tradizionale è invece il fatto di non essere una piattaforma stand-alone, per client o server, ma di essere distribuita e separata, nei suoi componenti costitutivi, da una rete (cioè lnternet); di fornire accesso a dati e risorse in modo flessibile, come risultato del contributo di una comunità; di essere infine, come si dice ‘consumer inspired’, cioè non solo orientata ma propriamente guidata dagli utenti. E scusate se è poco.