Le aziende italiane in marcia verso la trasformazione

Quali motivazioni, quali tecnologie, quale evoluzione dell’IT e quali competenze servono per l’innovazione del business in chiave digitale? Lo abbiamo chiesto all’amministratore delegato di EY, Donato Iacovone, che, a pochi giorni dal tradizionale EY Digital Summit di Capri, fa il bilancio di come si stia trasformando il panorama delle imprese italiane sotto l’impulso delle nuove esigenze di clienti sempre più digitali

Pubblicato il 04 Ott 2017

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Per aiutarci a comprendere come si stanno muovendo le aziende italiane del complesso percorso di trasformazione imposto da un mercato sempre più digitale, ZeroUno ha intervistato pochi giorni fa Donato Iacovone, Amministratore Delegato di EY (Ernst & Young) in Italia e Managing Partner dell’Area Mediterranea, che esordisce con una premessa: “La vera novità che registriamo, a partire dalla nostra esperienza, è che le aziende italiane stanno davvero mettendo in atto la trasformazione digitale, soprattutto su impulso delle richieste del mercato”.

ZeroUno: La trasformazione del business in chiave digitale viene dunque affrontata dalle imprese per non restare travolte o riescono a sfruttare le opportunità per trarne valore?

Donato Iacovone: Sono sempre più in aumento gli acquisti sul web e su piattaforma e-commerce, inoltre il consumatore preferisce il pagamento elettronico. Le aziende che non si attrezzano a riguardo rischiano di perdere non solo il cliente ma anche la loro quota di mercato. L’implementazione della tecnologia disponibile sotto la voce “customer experience” è di fatto guidata dal cambiamento che il cliente cerca nell’acquisto.

Ma c’è anche un secondo aspetto. La vendita e-commerce comporta un cambio di paradigma delle vendite, in termini, ad esempio, di marketing e di comunicazione, sempre più legate al web e, al tempo stesso, una crescente disponibilità di informazioni, che il cliente “lascia” nell’interazione online e che non sono invece presenti nella vendita in negozio. Le imprese sono consapevoli di questa evoluzione che pone sempre più il cliente al centro. Una recente ricerca EY mostra che solo il 15% dei business leader considera l’azionista di maggioranza il principale stakeholder da soddisfare, mentre il cliente assume un ruolo centrale: è un chiaro segnale di comprensione che il consumatore è cambiato e bisogna conoscerlo bene per non perderlo.

Tutte le aziende si stanno attrezzando: se il rischio è di perdere in pochi mesi significative quote di mercato, l’opportunità è guadagnare quote sui competitor se si anticipano investimenti sulle piattaforme e-commerce.

La maggior parte delle imprese si sta orientando verso una modalità mista online/offline, che consente al cliente di cercare il prodotto online, di vederlo nel negozio fisico e poi, eventualmente, completare l’acquisto online. Ciò comporta grandi investimenti.

ZeroUno: Quali sono le principali tecnologie a cui le aziende stanno guardando per mettere in atto questa trasformazione e quali le conseguenze per l’IT aziendale?

Iacovone: Da un lato vengono introdotte tecnologie di pura automazione dei processi (di amministrazione, finanziari, fiscali, di marketing, di comunicazione, di produzione) utilizzando robotica, intelligenza artificiale, software capaci di imparare. L’obiettivo è l’efficientamento grazie al software e alla connessione più facile fra macchine, fra macchine e persone, fra persone. Il risultato è l’abbattimento dei costi di produzione, della supply chain e dei processi di supporto. D’altra parte c’è l’altro grande filone, sempre più preponderante, delle tecnologie per sfruttare la crescente disponibilità di dati: un indicatore di questa tendenza è la crescita del mercato dei Big data che in Italia vedrà quest’anno volumi doppi rispetto a 3 anni fa, superando i 1.200 milioni di euro [fonte: analisi EY su dati Politecnico, ndr].

La lettura delle informazioni sul comportamento del cliente, resa più facile dalle tecnologie di analisi, rende possibile anticipare l’esperienza del cliente stesso, pianificare meglio e innovare i prodotti sulla base delle esigenze.

L’IT e, in generale, chi ha conoscenze tecnologiche diventa sempre più parte integrante del business e sempre meno può starsene chiuso in una stanza con un ruolo di supporto; deve invece essere coinvolto e integrato nel processo che va dalla produzione alla vendita, deve stare vicino al business non solo per poterlo supportare, ma anche per generare nuovi business. Tanto più il business lavora insieme all’IT, tanto maggiore è la possibilità di successo; tanto l’IT viene percepito come un supporto lontano, tanto meno si ottiene velocità di esecuzione e successo.

ZeroUno: Cambia la produzione, cambia il lavoro. Quali sono le nuove necessità in termini di competenze?

Iacovone: A questo punto della trasformazione digitale le competenze sono l’elemento più critico su cui tutti si stanno focalizzando. Si tratta di conciliare due esigenze: riqualificare le persone, incrementare l’occupazione giovanile (ancora troppo bassa nonostante i dati economici positivi) e rispondere, al tempo stesso, alla carenza di competenze.

Parlando con qualunque amministratore delegato emerge che il 30% delle persone va riqualificato e che manca almeno il 10% di persone, con competenze digitali e tecnologiche, che non si riescono a trovare sul mercato.

Questo significa che risultano inadeguati ai bisogni sia il sistema educativo italiano sia i modelli di formazione delle imprese, da aggiornare rapidamente. Altrimenti continueremo a contenderci le poche risorse competenti sul mercato con costi altissimi e senza soddisfare la domanda.

ZeroUno: Se la mancanza di competenze digitali sta diventando una criticità per la crescita delle imprese e per lo sviluppo del Paese, ci sono possibili risposte efficaci in tempi brevi?

Iacovone: Porto ad esempio quanto stiamo facendo come EY. Abbiamo rivisto tutti i nostri modelli di formazione e abbiamo sostituito i corsi che non generano più valore per le persone con modelli più sofisticati. Il nostro Master digital di 3 anni, per esempio, è quasi completamente basato sull’esperienza, grazie a sistemi aperti che coinvolgono l’Università e le aziende: la formazione non avviene più nel chiuso dell’aula ma si sviluppa con gruppi di persone che lavorano insieme e provengono dalle aziende e dall’università, ricercatori, sviluppatori ecc.

I costi sono elevati, ma i risultati sono enormi: si abbandona il modello tradizionale a favore di modelli di cooperazione che forniscono risultati significativi non solo in termini di apprendimento ma che propongono anche un modo diverso di reinventarsi e innovare.

C’è però un problema: delle 1500 persone assunte lo scorso anno, il 20% sono Stem [persone laureate in materie scientifiche, ndr], ma in queste discipline la richiesta supera spesso la disponibilità e le ragazze sono ancora una minoranza, così che risulta anche difficile rispettare il nostro commitment sulla parità di genere.

Come EY ci siamo impegnati in un progetto pilota scuola-lavoro rivolto alle scuole superiori per far toccare con mano l’innovazione, far capire che si possono svolgere attività interessanti e divertenti legate al digitale, che ci sono opportunità lavoro e compensi adeguati. L’obiettivo, a livello italiano, dovrebbe essere generare conoscenza sulle competenze di cui il Paese ha bisogno e condividerla con i ragazzi di tutte le età.

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