Per quanto ci capiti spesso di incontrare aziende in grado di vantare uno o più primati nel proprio settore di attività (e questo perché lo scoprire come l’It può contribuire a creare e mantenere una particolare eccellenza è tra i principali obiettivi dei nostri ‘casi utente’), trovarne una che possa dire di essere il numero uno a livello mondiale nel proprio campo non è cosa di tutti i giorni. Soprattutto se si tratta di una realtà italiana. Questo è però il caso di Amplifon, società nata a Milano nel 1950 per l’importazione e commercializzazione di apparecchi acustici e che oggi è la maggiore organizzazione al mondo al servizio di chi ha problemi d’udito. E mai come in questo caso ‘servizio’ è la parola giusta, perché proprio sui servizi resi all’utente si basa il modello di business che sin dalla nascita ne ha caratterizzato l’approccio al mercato.
L’apparecchio acustico è infatti solo un componente dell’offerta Amplifon. La sua qualità, frutto di una ricerca tecnologica tenuta sempre all’avanguardia (nel 1966 fu la prima a introdurre in Italia dispositivi interamente digitalizzati, di minime dimensioni e massima qualità del suono), è ovviamente fondamentale, ma ciò che fa la differenza è la capacità di instaurare con chi è debole d’udito un rapporto di fiducia finalizzato al recupero della sua capacità di comunicare e socializzare. Questo rapporto nasce da vari fattori, tutti non facili da creare e mantenere. In primo luogo, c’è la collaborazione con la classe medica, con attività di ricerca, formazione e informazione scientifica veicolate da una divisione dell’azienda e lo sviluppo di strumenti otologici (linea Biomedica) a supporto della pratica clinica. Poi ci sono gli audioprotesisti, professionisti qualificati e costantemente aggiornati; poi c’è ancora una presenza capillare sul territorio, che permette alla società di essere letteralmente vicina all’utente; infine c’è il fatto che ogni applicazione è individualmente personalizzata: essendo i problemi d’udito diversi da persona a persona, i dispositivi vanno impostati sugli specifici parametri di ogni singolo utente, attività nella quale Amplifon si è specializzata.
Vista come oganizzazione, Amplifon è oggi un Gruppo multinazionale con sede centrale a Milano e presenza in 14 paesi tra Europa e Nord America; è quotata dal 2001 alla Borsa di Milano; ha un giro d’affari globale di circa 700 milioni di euro e conta, sempre a livello globale, circa 7.000 collaboratori. Se si eccettua la costituzione, nel 1992, di Amplifon Ibérica, lo sviluppo internazionale della società è avvenuto sempre per acquisizioni: in soli tre anni, dal 1998 al 2000, Amplifon acquista ben sei società concorrenti, cinque europee e una americana, quasi tutte leader di mercato nei rispettivi paesi. Nel 2001 entra in Medio Oriente tramite una joint-venture con il maggiore Gruppo egiziano di apparecchi acustici e in Ungheria con l’acquisto di una società locale. Nel 2002-2003 estende la penetrazione sul mercato Usa acquisendo altre due società e raggiunge, sempre per acquisizione, la completa copertura del mercato olandese. Nel 2005 acquista due società tedesche (di cui una nella ex Ddr), entrando in questo grande mercato, nel luglio 2006 acquisisce la società leader di settore nel Regno Unito, il secondo mercato mondiale, e nel luglio 2009, ultima in ordine di tempo, l’azienda leader belga.
In questa ridda di acquisizioni, che in pochi anni ha realizzato una struttura distributiva che comprende circa 4.000 punti vendita nel mondo, con centri controllati in modo diretto e altri gestiti in franchising, il compito prioritario dell’It Amplifon è chiaramente l’integrazione dei sistemi informativi delle società acquisite. Come ci spiega Massimiliano Gerli, Corporate It Director (nella foto in alto): “Si tratta di realizzare un consolidamento, sia strutturale sia applicativo, tale da implementare un modello coerente di portfolio applicativo e portfolio di servizi tecnologici”. La funzione It (che conta più di 90 dipendenti ed è strutturata ‘a stella’, con un centro Corporate che definisce le strategie ed eroga i servizi e più centri delocalizzati presso i vari mercati) segue un modello di governo e controllo centralizzati per le soluzioni erogate alla rete distributiva. Che sono di tre tipi: applicazioni PoS (point of sales) per la gestione delle attività del punto vendita; di Crm (fondamentale, visto il modello di business basato sul servizio di cui si è detto) e di back office (tramite l’Erp aziendale). Si tratta di ‘esportare’ questo modello in tutte le realtà che vengono man mano a far parte del Gruppo, con una suddivisione di compiti tra attività svolte a livello centrale e attività, come ad esempio l’help desk, delegate ai presidii locali.
Un’opportunità e parecchio lavoro
In questo quadro organizzativo si inserisce la scelta di adottare, per quanto riguarda i circa 1.200 centri in franchising degli Stati Uniti, una soluzione applicativa erogata secondo il modello SaaS (Software as a Service). Come ricorda Gerli, “I punti fondamentali alla base della nostra decisione sono stati tre: in primo luogo volevamo dare ai negozi in franchising una soluzione efficace a supporto dei processi di marketing e di vendita, tale da costituire uno strumento di valore e di competitività; poi volevamo avere una piattaforma che definisse uno standard applicativo anche in realtà che per natura sono alquanto indipendenti; infine andava considerato il fatto che il modello operativo di una catena in franchising non presenta, per Amplifon, le complessità di una rete di negozi diretti”. Quest’ultima considerazione è quella che ha aperto le porte all’opzione SaaS. Infatti, dato che i franchisers hanno già proprie soluzioni di back office, non occorre che il software di supporto vendite sia legato all’Erp di Amplifon in una piattaforma integrata, tanto vantaggiosa quanto complessa. “Abbiamo potuto quindi pensare – prosegue Gerli – a una soluzione molto più flessibile e abbiamo trovato sul mercato americano un software già fatto su misura per il settore delle audioprotesi, che è esattamente il nostro business, e già fornito come servizio”. Si trattava di una soluzione realizzata dalla software house americana Sycle.net e distribuita come servizio sul mercato Usa.
Un colpo di fortuna quindi per Amplifon, che cercava esattamente qualcosa del genere? Diciamo, piuttosto, un’ottima opportunità, che però per poter essere sfruttata aveva bisogno ancora di parecchio lavoro aggiunto. “Un conto è infatti – osserva Gerli – gestire un paio di negozi e un conto è farlo a una dimensione e a un livello qualitativo di classe enterprise. Se il software, che integra soluzioni di Crm e sales automation in un’unica piattaforma, ci stava bene, non ci stava bene, almeno non al 100%, il servizio proposto”. Si trattava quindi di avviare un progetto per trasformare una soluzione basata su un pacchetto standard fruibile in SaaS in qualcosa che avesse tutte le caratteristiche di una vera soluzione aziendale. E per questo bisognava per prima cosa intervenire sulla logica del servizio, passando dall’originario modello ‘chiavi in mano’ pensato da Sycle.net per togliere ogni problema all’utente finale a un modello misto che lasciasse ad Amplifon, in qualità di utente enterprise e con tutti gli oneri derivanti da questa posizione, la decisione su alcuni aspetti importanti del servizio che intendeva offrire, a partire dalla scelta dell’hosting provider che avrebbe materialmente erogato l’applicazione agli utenti finali.
Il lavoro è stato svolto in stretta collaborazione con Ibm per la parte infrastrutturale e con Sycle.net per quella applicativa, con un’intesa tra i team italiani e americani che l’ha reso, come dice Gerli “davvero un bel progetto”. Si è identificato un sito primario a Long Island (New York), dove il software ‘gira’ e da dove viene erogato ai 1.200 negozi che ne sono utenti, e un sito secondario in Virginia destinato al backup e alle operazioni di disaster recovery. Si è quindi lavorato sulla soluzione in modo da ottimizzarla per l’erogazione dalle infrastrutture prescelte e soprattutto dotandola degli strumenti necessari a garantirne l’availability e il recovery secondo gli stessi parametri delle applicazioni business Amplifon. “In altri termini – precisa Gerli – nei confronti del fornitore del software noi ne siamo gli utenti e ne paghiamo l’utilizzo in una logica di servizio. Poi, mettendoci un tanto di valore aggiunto nelle misure di sicurezza dell’infrastruttura, allineate ai nostri standard, lo forniamo a nostra volta in logica di servizio ai nostri utenti. Il franchiser Amplifon riceve quindi un doppio servizio: quello base del pacchetto software e quello aggiunto della sicurezza”.
Il progetto, partito nell’autunno 2008 con la software selection, si è poi sviluppato nell’inverno 2008-2009 con il lavoro sulla parte infrastrutturale, dopo di che si è avviata l’implementazione della soluzione presso i negozi, che si è svolta molto rapidamente, con il 90% dei punti vendita, vale a dire più di mille utenti, operativi entro sei mesi. A parte quella quota, diremmo fisiologica, di casi che presentano difficoltà legate a situazioni inerenti il singolo PoS e che Gerli stima al 5%, veri problemi non ce ne sono stati. Assolutamente positivo poi il feedback da parte degli utenti “che percepiscono il valore della soluzione fruita e apprezzano i servizi, dagli strumenti di marketing a quelli per valutare i propri risultati e prestazioni, che la piattaforma consente di fare”.
Stimare oggi il ritorno economico dell’operazione è quanto mai difficile: “Si tratta di una soluzione ancora troppo giovane per raccoglierne i numeri. Ma – e qui Gerli cambia tono, marcando le parole – non è questo il punto del discorso. Io non penso infatti che il SaaS sia una scelta che porta necessariamente a un miglioramento economico. A mio parere, non è tanto su questo fronte quanto su quello dell’efficacia che se ne traggono i vantaggi. Comprare un servizio del genere chiaramente costa, ma offre una soluzione flessibile, dinamica e soprattutto veloce: 1.200 negozi in pochi mesi è un gran risultato”. Sul lato economico Gerli ha invece dei dubbi: “C’è il costo vivo di una soluzione sulla quale si può per giunta fare poco sul fronte dell’efficienza, non potendo agire sulle leve tradizionaliche portano a ridurne i costi o a incrementarne le prestazioni (bilanciando tra costi interni e costi esterni): la soluzione è quella e, al di la di una normale logica di negoziazione, o mi sta bene il prezzo oppure no. Ma se il discorso economico non è esplicitamente sostenibile, vi sono altre considerazioni da fare, come nel nostro caso l’opportunità di entrare su un mercato molto competitivo velocemente e con un’ottima soluzione. In due parole: è una scelta che ci costa, ma pensiamo di trarne un grande beneficio. Non è detto che la stessa scelta possa risultare valida in un contesto diverso”.