Le grandi ondate evolutive nella storia umana hanno quasi sempre avuto come elemento acceleratore la diffusione di una tecnologia di riferimento che ha sovvertito la struttura organizzativa del lavoro e della società. È stato così, ad esempio, nel decennio 1763-73 con lo sviluppo della macchina a vapore, invenzione che ben si addiceva ad un’applicazione di tipo industriale. Un’applicabilità così evidente che procurò profonde modifiche nei più disparati ambiti merceologici. Nacquero così le fabbriche, si determinò un radicale ripensamento della civiltà rurale, fino alle nuove forme di organizzazione scientifica del lavoro e della produzione teorizzate da Taylor nei primi del Novecento, quando la potenzialità di questa tecnologia, gli enormi vantaggi produttivi ad essa associati, rischiavano di essere sottoutilizzati se non mettendo mano ad un’adeguata riorganizzazione del processo produttivo delle industrie (la divisione del lavoro, organizzata nella catena di montaggio, fondamento del pensiero tayloristico).
La macchina a vapore, simbolo della rivoluzione industriale, era una tecnologia che automatizzava la forza fisica di persone e animali. Ha impiegato decenni a diffondersi e a modificare le strutture organizzative sociali e del lavoro. Attorno ad essa si sono modellati nuovi stili di vita e di pensiero: pensiamo soltanto ai cambiamenti culturali e allo scambio di conoscenze, all’epoca, legati allo sviluppo della ferrovia.
Più o meno negli anni a partire dal dopoguerra (con le prime applicazioni informatiche durante il secondo conflitto mondiale – il processo di decrittazione della macchina di Lorenz, usata dai tedeschi per proteggere la corrispondenza tra Hitler e i suoi capi di stato maggiore) viene datato l’avvio di una terza rivoluzione industriale, dove l’informatica diventa pervasiva nella sua applicabilità soprattutto come elemento di automazione del lavoro intellettuale, ottimizzando il calcolo e la gestione contabile attraverso l’elaborazione.
Oltre un secolo perché la rivoluzione industriale cambiasse i modelli sociali ed economici; solo 70 anni perché si sviluppasse un’informatica “di automazione” delle capacità di calcolo. Ma cosa sta avvenendo oggi con l’informatica che utilizziamo tutti i giorni nella nostra vita e nel nostro lavoro? Cloud, IoT, intelligenza artificiale, fruizione pervasiva di applicazioni in ogni luogo e in ogni momento da mobile, realtà aumentata, connessione globale sempre e ovunque stanno cambiando la curva evolutiva umana, la struttura economica e i criteri competitivi dei mercati (così come accadde nella rivoluzione industriale).
Dove vogliamo allora portare la vostra attenzione con questo breve excursus tecnologico-sociale degli ultimi 250 anni? Vogliamo finalizzare una riflessione che sarebbe bello condivideste tra colleghi, tra voi e i ragazzi e le ragazze che incontrerete, tra voi e i vostri figli: l’ingresso dell’innovazione digitale in una nuova fase di maturità tale per cui vengono impattati alla radice i modelli economici, produttivi e sociali-relazionali consolidati, presuppone lo sviluppo di una “cultura di contesto” che avrà bisogno di nuove competenze integrate, non solo scientifiche, proprio per valutare, ottimizzare, indirizzare, tradurre e mitigare gli impatti della rivoluzione digitale sulla società, sull’economia e sulle singole persone. Considerando inoltre, aspetto non presente nello sviluppo delle precedenti rivoluzioni industriali, che le risorse del pianeta stanno esaurendosi. Ciò significa che dovranno essere trovate declinazioni sostenibili allo sviluppo e che i campi di applicazione “human centric” della tecnologia potrebbero essere un obiettivo imprescindibile.
Ecco perché lo sviluppo tecnologico, perché non diventi sterile e pericoloso, non potrà più prescindere da una sua corretta declinazione nei vari ambiti che costituiscono l’essenza della persona: il piano psicologico, filosofico, etico, sociale, emotivo, con mille sfumature e particolari valutazioni in rapporto a quanto la tecnologia cambierà sempre di più abitudini e visioni attorno alle quali le persone hanno strutturato le proprie organizzazioni, l’economia, lo studio, il lavoro, la società in cui vivono.
Di esempi cominciamo ad averne numerosi. Questioni etiche legate allo sviluppo del mondo del lavoro, al cambiamento del rapporto uomo-macchina, con la nascita di nuove competenze (e l’estinzione di professionalità consolidate e tradizionali) frutto proprio di questa sempre maggiore simbiosi a seguito dell’introduzione di tecnologie digitali sempre più intelligenti. La prospettiva di Industria 4.0, con le sue grandi sfide, tipo quella, tutta italiana, di ripensare il nostro modello artigianale innovativo, fatto di intuizione e di fantasia, di qualità, tipico della nostra industria e dei nostri distretti, anche all’interno di un percorso digitale imprescindibile, senza però cedere alla standardizzazione e all’appiattimento che sta spesso dietro un processo di digitalizzazione. O anche la costruzione di servizi e prodotti sempre più a misura del singolo utente, delle sue specificità, esigenze ed abitudini, cosa che apre questioni di analisi dei dati (big data) e di privacy enormi. La robotizzazione della società (droni, sistemi di trasporto intelligenti, automobili driverless), con le implicazioni di sicurezza e ancora di privacy. E tutto il versante legato all’evoluzione delle normative e dell’organizzazione del lavoro derivato dall’affidarsi sempre più all’analisi e alle decisioni di sistemi che non hanno, nei loro algoritmi, la valutazione etica, la dimensione globale del problema, la sfumatura psicologica. Chi può allora colmare il bisogno di considerare tanti punti di vista diversi? Come creare le connessioni alla luce della conoscenza delle reazioni, della storia umana e di sentimenti quali la paura, l’orgoglio, l’ambizione, l’apparire e tantissimi altri tipici del nostro essere? C’è oggi a livello mondiale, curiosamente ignorato da quella culla del Rinascimento che è stata l’Italia, un recupero del valore umanistico in parallelo alla digitalizzazione della società. Negli Stati Uniti, le aziende più innovative e tech oriented cercano sempre di più “ingegneri integrali”, coloro che accanto alle discipline Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics) sappiano aggiungere la A di Arts (l’acronimo in voga è adesso Steam) proprio per cogliere gli elementi indeterminabili, al di fuori della scienza, ma pesantemente strutturati nella natura umana. E per questa ricerca di soft skills, devono immergersi in percorsi di poesia, pittura, filosofia. E se la prospettiva dello sviluppo tecnologico rischia di creare in futuro pericolose disuguaglianze fra le persone, ecco che accanto alle conoscenze scientifiche, sarà fondamentale la capacità di saper creare connessioni tra gli ambiti, interpretare la complessità, coagulare più saperi per svilupparli in prodotti e strategie con una nuova immaginazione.
La tecnologia sarà sempre più integrata e costruita attorno alla persona? Non posso allora permettermi di conoscere a fondo l’una perdendo di vista l’altra e la sua complessità.
Pensate soltanto a Socrate con il suo “So di non sapere”. Riconosceva che la conoscenza non era definitiva e proprio questo diventava stimolo continuo a conoscere sempre più cose. Niente male come impostazione per lo sviluppo di una nuova App…