Movimenti tellurici

Pubblicato il 13 Apr 2010

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Non si può realizzare nulla di davvero efficace se prima non si ha la visibilità del percorso principale e se non si è capito cosa le persone vogliono per essere più efficaci e soddisfatte nel loro lavoro. Partendo da questa considerazione il direttore di ZeroUno offre una breve sistematizzazione di alcuni fenomeni emergenti, tra questi il cloud.

Sarebbe davvero sbagliato guardare al cloud computing come alla “killer application” che finalmente arriva a risolvere tutte le esigenze di flessibilità, contenimento di costi e capacità di risposta che tanto viene ricercata dai sistemi informativi (o dovrebbe esserlo) attraverso l’erogazione di servizi It sempre più “business value”.
È sbagliato perché, come ormai i numerosi “innamoramenti tecnologici del passato” dovrebbero averci insegnato, non esiste una risposta univoca; quella esclusivamente tecnologica non è una strada percorribile. Soprattutto quando si tratta di architetture e sistemi, la scelta è sempre figlia di un compromesso-integrazione con l’esistente (il legacy), che è costoso da mantenere, certo migliorabile, ma intanto funziona e va considerato. Così come va considerato tutto ciò che non è tangibile e quindi, ahimé, ancora più difficile da capire e razionalizzare: le persone e il loro modo di lavorare. In sintesi: non si può realizzare nulla di davvero efficace se prima non si ha la visibilità del percorso principale (leggi condivisione delle business strategies aziendali) e se non si è capito cosa le persone vogliono (leggi demand management continuo e strutturato) per essere più efficaci e soddisfatte nel loro lavoro.
Vogliamo quindi tentare una breve sistematizzazione di alcuni fenomeni emergenti, tra questi il cloud, rapportandoli allo sviluppo organizzativo e competitivo dell’impresa e, al suo interno, all’evoluzione dei sistemi informativi. E lo facciamo focalizzando l’attenzione su tre soggetti: le persone che operano nei sistemi informativi e nelle diverse Line of business; le architetture (modelli e applicazioni) a supporto del loro lavoro; i fornitori e il loro sforzo di declinare in nuovi linguaggi di relazione con gli utenti, nonché in nuove modalità di approccio e di go-to-market orientati all’erogazione di maggiore valore, quello che è il loro sacrosanto obiettivo finale: vendere.

Le persone, queste sconosciute
Ciò verso cui i sistemi informativi tendono, quantomeno nel loro disegno tecnologico e organizzativo ideale, è la messa a punto di un insieme di soluzioni architetturali, di sistemi e di applicazioni con un forte orientamento alle esigenze di business. Devono cioè poter dare risposte efficaci e rapide, in termini di applicazioni e servizi, strettamente correlati alle esigenze operative dei diversi utenti aziendali, dalle line of business al top management, possibilmente riuscendo ad integrare nell’“identità aziendale”, sempre attraverso soluzioni e servizi, sia i propri fornitori sia i clienti. Se più avanti vedremo rapidamente quali risposte possono esserci oggi sul fronte delle scelte architetturali, due parole vanno spese in relazione all’organizzazione dei sistemi informativi e delle persone che li compongono.
Se davvero si vuole dare ai sistemi informativi l’obiettivo di supportare e incidere sempre di più sulle strategie di business aziendali, strumentale a questo percorso è l’attivazione di una stretta relazione con i differenti utenti aziendali, per capire cosa vogliono, quando lo vogliono, come lavorano, cosa si aspettano dall’It per lavorare sempre meglio. Tutto ciò non può essere, all’interno dei sistemi informativi, una semplice “tendenza comportamentale o culturale”, ma deve riversarsi in una riorganizzazione del data center con una struttura di competenze che la società di analisi di mercato Forrester ascrive a due macro ambiti: il Business Enablement e l’Operational Excellence. Sono due segmenti professionali di un unico insieme, l’organizzazione dei sistemi informativi, all’interno dei quali bisogna saper assegnare con precisione competenze e ruoli. Nel primo caso, nel gruppo dedicato al Business Enablement, inserito pienamente nell’organizzazione business, devono farne parte quelle figure, a partire dal Cio (che peraltro coordina anche la seconda area, quella dell’Operational Excellence) vicine all’interpretazione delle esigenze di business e demandate a sviluppare relazioni con i diversi stakeholder nonché a mappare le esigenze operative e strategiche dell’impresa sulla tipologia di soluzioni e servizi It erogati. Sono, oltre al Cio che sovraintende le due “anime”, le persone del demand management con una “vista business”. E quindi dedicate alla gestione del portfolio servizi, alla gestione del cambiamento, alla gestione e programmazione dei progetti insieme alle Lob, al “marketing IT”, cioè alla “evangelizzazione”, presso gli utenti, del rapporto tra tecnologia e utilità/efficacia per il business, alla gestione, quando possibile, della riallocazione dei costi It alle diverse business unit sulla base dei servizi utilizzati, e così via. Skill tecnologici ma vista business.
La “vista” Operational Excellence, invece, vede profili altamente competenti garantire nelle diverse attività dei sistemi informativi quell’eccellenza operativa che deriva da scelte tecnologiche e architetturali costantemente allineate alla Business Enablement; e skill per analisi e implementazione di architetture “service oriented”, sulle tecnologie emergenti, sulle strategie di integrazione, sulla governance e manutenzione, gestione di progetti, attività di formazione degli utenti finali, tutte in stretta correlazione con la “vista strategica e business” che coordina le diverse attività.

Architetture sempre più “service oriented”
Sta davvero accadendo una profonda trasformazione nel disegno architetturale dei sistemi informativi (movimenti tellurici). E il cloud è un elemento importante di cambiamento ma che di fatto giunge a supporto di quell’esigenza di flessibilità, time to-market e contenimento di costo che già si va manifestando negli ultimi anni. Il ricorso al modello “pay per use”, lo vediamo in questo ampio approfondimento di ZeroUno sul cloud computing, trova forme diversificate: private-public cloud, declinato per applicazioni, piattaforme e infrastrutture (Saas, Paas, Iaas). I problemi di security restano aperti ma sono risolvibili, mentre la scelta di ricorrere al cloud parte, ancora una volta, dalla valutazione, secondo parametri di flessibilità, rapidità e costo, di cosa tenere in casa e di cosa acquistare come servizio. Se poi il cloud determina ribaltamenti sul piano architetturale dei sistemi informativi, dell’organizzazione del lavoro e delle competenze delle persone, ogni azienda potrà trovare, sulla base della convenienza economica e della qualità di servizio che vuole erogare, la propria risposta. Il punto è un altro: come stanno cambiando i sistemi informativi verso questa funzione di centri erogatori di servizi “business value”? Si procede alla costruzione di ambienti informativi inevitabilmente misti: piattaforme hardware e software differenti ma sempre più integrate, ricorso a modelli elaborativi esterni pay per use come il cloud, ma anche sviluppo ed erogazione “in house” secondo modelli tradizionali o anche di private cloud; utilizzo di differenti servizi esterni da parte di vendor player sempre più “committed” con gli obiettivi strategici degli utenti finali. I data center devono poter implementare nuovi servizi senza problemi di compatibilità e riconfigurazione. E in questo senso abbiamo visto quanto stia giocando un ruolo centrale la virtualizzazione come strumento per la messa a disposizione di un’infrastruttura flessibile con pool di risorse destinate, attraverso software di management sempre più intelligenti e automatizzati, all’erogazione di nuovi servizi in tempi brevi. Si tratta di veri e propri “portafogli” di servizi condivisi utilizzati, al bisogno, dai diversi utenti aziendali e resi disponibili automaticamente e in modo flessibile grazie alla “filiera” servizi-applicazioni-sistemi-architettura.

Vendor IT: un difficile cambiamento
Due parole su un soggetto il cui ruolo in trasformazione avrebbe invece bisogno di un ampio approfondimento: i fornitori di tecnologia, con le loro esigenze di vendita e i loro modelli organizzativi e di go-to-market sempre stretti, da un lato, tra la necessità di erogare soluzioni di valore, interpretando le esigenze dell’utente, e, dall’altro, costretti al risultato economico a breve termine, un dualismo che non sempre è possibile conciliare. Ci piace chiudere questo editoriale riportando le parole di un manager di un fornitore di servizi che, a nostro avviso, dà la misura della sfida. Proprio pochi giorni fa parlavamo al telefono della trasformazione del ruolo del vendor e di come trasferire all’utente questa sua “propensione al cambiamento”. Ecco le parole: “È fondamentale che si venga riconosciuti come un interlocutore con cui condividere il percorso di sviluppo. Vogliamo poter raggiungere una dimensione di partnership nuova. Oggi tutte le aziende hanno numerosi fornitori e, in una modalità “a puzzle”, gli utenti possono governare una serie di servizi e soluzioni. Ma vogliamo far parte di quegli interlocutori, non numerosi, con i quali ha senso valutare le scelte tecnologiche in rapporto allo sviluppo strategico e di business dell’azienda. Del cliente conosciamo il business, le sue tensioni, le aspettative e i percorsi. Perché non deve essere possibile superare la logica della vendita reinterpretandola in funzione dell’efficienza, dell’efficacia e dello sviluppo del business?”. Anche qui, come vedete, i lavori sono in corso. Non tanto sul piano culturale (molti vendor puntano a questa dimensione di partnership) quanto, piuttosto, sulla loro effettiva capacità di definire modelli organizzativi e nuove competenze facendo “quadrare il cerchio” tra modelli di vera partnership e crescita, giustamente attesa, dei ricavi.

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