Il service management (Tivoli per Ibm) è la chiave per razionalizzare e risolvere un duplice problema di dilagante entropia nell’it tradizionale. In primo luogo, l’infrastruttura ridondante a basso utilizzo: per esempio 20.000 server utilizzati al 6% (citata una banca cinese) con ridondanze nei client, soprattutto un fattore anche 1 a 3 fra server in produzione e server in test, altrettanto hardware immobilizzato con modello di utilizzo totalmente anelastico, al punto che ci vogliono giorni se non settimane per approntare un delta infrastrutturale. In secondo luogo, la crescente molteplicità di configurazioni da mantenere (combinazioni di sistemi operativi, piattaforme, application server, database… e patch). Quindi, il primo passo, ancora “on premise”, è consolidare su standard sia l’infrastruttura (un Unix solo, magari un solo Solaris; uno o due database, un application server) sia lo sviluppo (basato su Soa con relativo service management presentato al cliente, dalla creazione, all’inventory per il riuso, alla delivery dell’applicazione-servizio). Il secondo passo è virtualizzare, con la piattaforma Intel (e Windows) o Unix. E scegliere quali Virtual machine mettere in un pool gestito con il service management. Il terzo passo è automatizzare: si crea un catalogo di servizi e se ne fa il provisioning: in una intranet si chiede al service management la virtual machine configurata che si vuole e in qualche minuto l’ambiente virtualizzato (a questo punto un cloud privato) ne alloca una istanza pronta all’uso. Se il pool di virtual machine è esterno, con connessione Internet sicura e performante, è un cloud pubblico.
Genesi di tre dominî con l’avvento del cloud
Pubblicato il 30 Apr 2010
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