Il 30 marzo del 2009 Intel presentava ufficialmente gli Xeon 5500, la prima serie di processori costruiti sulla rivoluzionaria architettura Nehalem, un progetto che ha richiesto otto anni di sviluppo e che per la casa di Santa Clara (e quindi per tutto il mondo x86) rappresenta il più importante step tecnologico dal tempo del Pentium Pro. Esattamente un anno dopo, il 30 marzo 2010, Intel presenta la serie Xeon 7500, che comprende processori a quattro sei e otto ‘core’ (mentre tutti i chip serie 5500 sono quad-core, tranne un dual-core entry level), elevando le prestazioni delle macchine a livelli finora impensabili per un sistema x86. Come
Le tecnologie che caratterizzano la serie 7500 sono in parte le stesse della serie 5500, essendo comune l’architettura interna dei processori. Parliamo di Turbo Boost, che incrementa temporaneamente il clock dei processori su tutti i ‘core’ o su una parte di essi, in modo da sopperire a picchi elaborativi e aumentare la flessibilità operativa del sistema; di Hyper-Threading, che abilita l’esecuzione simultanea di due thread per core, quindi sino a 16 thread per ciascun processore 7500, e che quindi indirizza l’elaborazione parallela, e del sistema Power Gate, che riduce al minimo il consumo degli ‘idle core’, quelli che non stanno lavorando, e agisce inoltre su memoria e I/O controller, riducendone il consumo al minimo compatibile con il carico di lavoro in esecuzione. Infine, la tecnologia QuickPath Interconnect potenzia la capacità di gestione della Ram, che nei server a 4 socket (la configurazione presumibilmente più diffusa) può raggiungere un terabyte.
Inerenti all’architettura Nehalem sono anche le tecnologie di virtualizzazione Intel VT-x, VT-c e VT-d. si tratta di chipset che agiscono rispettivamente sui processori, sulla connettività e sulla gestione dell’I/O e permettono a processori serie 5500 e 7500 di raddoppiare la capacità di gestione delle macchine virtuali riducendo drasticamente, fino al 40% secondo benchmark VMmark e misure interne Intel, il tempo di latenza, cioè il tempo necessario per spostare la potenza di elaborazione del processore dall’una all’altra VM. A queste si aggiunge la nuova Intel VT FlexMigration, che abilita le VM alla migrazione ‘live’, cioè senza interromperne il funzionamento, su tutte le piattaforme Intel Core. Ciò permette di riutilizzare server già acquistati (non più vecchi di un paio d’anni, però) in pool di risorse virtualizzate per bilanciare i carichi di lavoro, sopperire a cadute di sistemi o supportare progetti di disaster recovery.