Dal confronto con alcuni utenti avuto nel corso di due “tavole rotonde di redazione” organizzate da ZeroUno, a Milano, con la collaborazione di Hp, nel primo dei due appuntamenti, e Akhela nel secondo, sono emerse alcune interessanti indicazioni sulla coniugazione del modello cloud di erogazione dei servizi It con le esigenze delle linee di business aziendali. Nel corso del primo incontro l’attenzione si è maggiormente focalizzata sugli aspetti legati alla flessibilità promessa dal modello cloud, mentre nel secondo appuntamento il focus è andato su tematiche come affidabilità (dei sistemi e dei provider) e sicurezza.
Va tuttavia sottolineato che, trattandosi di un fenomeno in divenire, gli aspetti sui quali molto spesso ci si sofferma sono legati alle criticità in essere, alle aspettative, alla definizione dei confini di un modello non ancora del tutto chiaro, oltre, naturalmente, agli impatti che tale fenomeno potrà avere sulle organizzazioni aziendali (non solo del dipartimento It).
Valutazione del fenomeno…
Parliamo cioè di un modello di accesso a servizi It distribuiti sulla rete secondo la formula “pay per use” sulla base di precise necessità, anche se non pianificate e prevedibili. “Per inquadrare questi concetti in Hp usiamo il termine ‘Everything as a service’, per sottolineare come tutto possa essere fruito come servizio, nella logica di utilizzare qualunque tipo di risorsa, sia essa infrastrutturale o applicativa, semplicemente richiedendola a chi ce l’ha e avendola a disposizione in tempi brevi (e solamente per il tempo o per l’uso necessari)”, precisa Gonzales.
“C’è una notevole attrazione verso il cloud perché per una volta i driver per l’adozione sono chiari. Sono molto evidenti i vantaggi ottenibili; la visione è meno limpida, invece, sui rischi perché benché si sia raggiunto un livello ottimale di ottimizzazione delle infrastrutture It, c’è
“Analizzando il fenomeno credo ci si debba soffermare su una prima domanda: quali sono le origini di tale fenomeno? Uno, la grande disponibilità di potenza di calcolo. Due, il business sempre più legato al Web. Spinte verso il cloud sono la ricerca di maggior efficienza dell’It oltre che uno sgravio di responsabilità e operazioni che però non possono non tener conto dei
“Siamo in fase di test ma è un fenomeno non frenabile – asserisce Francesca Gatti (nella foto a destra), direzione sistemi informativi area planning quality security di Bticino -. Vedo il cloud come metodo di standardizzazione di un modello che cambia le regole con le quali si fa uso della tecnologia. Anche l’Erp, di fatto, è risultato un modo per uniformare un modello (di business), non senza difficoltà e lunghi percorsi di adattamento. Personalmente vedo dunque il cloud come elemento di risposta di una esigenza di normalizzazione di un’area di business. Con il cloud “acquisto” un modello organizzativo efficiente, governabile, monitorabile per utilizzare il linguaggio del business stesso. Per esempio, un’azienda che procede soprattutto con acquisizioni, fusioni, ampliamenti delle tipologie d’offerta, può scegliere, anziché faticare con continui progetti di integrazione e processi da standardizzare in continua revisione, di ricorrere al cloud non solo per l’utilizzo dell’It necessario a supportare le nuove condizioni di business, ma anche come ‘modello di standardizzazione, di razionalizzazione’ delle aree di business coinvolte”.
…e passi di avvicinamento
Sugli approcci possibili sia Hp sia Akhela suggeriscono di dotarsi, in una prima fase, di un modello ibrido in cui alcuni servizi saranno realizzati in casa (generalmente quelli riguardanti gli ambiti più strategici e più mission critical per l’impresa); altri servizi possono andare verso l’outsourcing o il modello SaaS; laddove la standardizzazione e le modalità di utilizzo diventano elementi decisionali importanti nella fruizione dell’It, si può iniziare a ricorrere a servizi in modalità di cloud computing.
Organizzazione aziendale: quale impatto su persone e ruoli?
“Punto focale su cui soffermarsi a ragionare è il ruolo dell’It visto come il filtro tra il business, inteso come conoscenza dell’azienda e quindi anche della sua complessità (ruoli, processi, relazioni e interazioni, ecc.), e l’impatto tecnologico sull’organizzazione”, interviene
“In ambito cloud, il tema organizzativo sarà fortemente destabilizzante – aggiunge Penzo -. Se in un’azienda ho 100 figure di database manager, nel momento in cui porto i database aziendali on the cloud, 10 addetti li riqualifico, 10 li sposto in altre funzioni… e gli altri? ”.
Servono pratiche di change management
“Come in tutti i cambi radicali e fortemente impattanti, sia che si parli di progetti It o di altra natura – suggerisce Gatti – servono politiche e pratiche di change management consolidate che, a mio avviso, nel caso di scelte cloud oriented devono essere guidate e gestite dal dipartimento It (non a caso in Bticino il dipartimento si chiama direzione organizzazione e sistemi)”.
“Il Cio conosce i processi di business – sostiene ancora Tiretta – e conosce gli scenari tecnologici grazie ai quali supporta il business della propria azienda. I responsabili It dovrebbero quindi essere in grado di anticipare, governare e controllare le strategie evolutive dell’azienda. Dal mio punto di vista, il cloud è una tematica strettamente It; siamo noi figure It a sapere se una tecnologia può aiutare o meno il business. L’azienda chiede innovazione tout court, non chiede una specifica scelta tecnologica; siamo noi a dover capire se e quali scelte tecnologiche fare per rendere la nostra azienda più performante. Certo è che gli impatti del cloud sul modello organizzativo aziendale potrebbero essere trasversali e toccare anche altre linee di business, dalla gestione risorse umane al dipartimento legale; ma anche aree come la produzione, il commerciale o il marketing”.
Fiducia, parola magica!
“Nei suoi contratti, Google si impegna a rispettare tutte le regole internazionali in tema di privacy e sicurezza, ecc. Ma di certo, sono io Cio, o io azienda, che mi devo fidare delle loro garanzie. Per i fornitori di servizi cloud il non rispetto di queste garanzie è di fatto una ‘pecca’ di business; per me azienda fruitrice, invece, significa danno grave; la bilancia è un po’ spostata a sfavore delle aziende”, sostiene Penzo.
Anche se si tratta di un paradigma nuovo, Bottero invita a riflettere sulla forza raggiunta da Salesforce.com: “Anche se non parliamo di cloud vero e proprio ma più di Software as a Service – spiega il manager di Akhela -, la fiducia raggiunta da questa azienda la dimostrano i numeri, dato che è in continua crescita e allarga il parco clienti di anno in anno”.
“Per arrivare a quella fiducia/affidabilità di cui parliamo – interviene ancora Bottero – un ruolo importante lo gioca la contrattualistica all’interno della quale è sempre bene prevedere forme di governance, audit e controllo del provider da parte dell’azienda che fruisce del servizio”. “Ma senza standard, anche in questo caso si deve un po’ sperimentare”, fa riflettere Perfetti. Sono d’accordo con questa visione anche Fermi (nella foto a destra) e Calabresi che però sottolineano come per poter contare su garanzie contrattuali senza andare troppo “allo sbaraglio” con le sperimentazioni sia fondamentale conoscere a fondo il proprio It e sapere esattamente cosa serve tecnologicamente all’interno della propria azienda.
Sicurezza e integrazione
“Il cloud porta con sé il tema della propensione del rischio: investo sul cloud per ridurre il livello di rischio che devo affrontare – sostiene Penzo -. Esattamente come in Gabetti abbiamo scelto di esternalizzare la sala ced, potremmo scegliere il cloud perché qualcun altro si assuma il rischio che tutto funzioni, oltre all’onere del mantenimento delle risorse. Tuttavia, il trasferimento del rischio non è sufficiente. È assolutamente fondamentale focalizzare l’attenzione sulla sicurezza e l’affidabilità dei dati”.
“Un problema legato a scelte cloud viene da privacy e normative – solleva Ballabene -. Oggi la rete Internet è matura ma come si pone il cloud con le normative (per esempio quella dell’amministratore di sistema)?”.
“Noi siamo un istituto di credito. Per noi la cultura della sicurezza è un must e siamo ancora più rigidi di altre realtà – porta ad esempio Davide Fermi, responsabile architetture tecnologiche di Banca Popolare di Milano -. Nella nostra realtà abbiamo ancora ambienti mainframe per cui non solo è presto per parlare di cloud ma è presto anche per parlare addirittura di ambienti distribuiti. Credo comunque che il punto più critico sia dato, come si diceva, dalla fiducia che si ripone nel fenomeno. I sistemi di home-banking, ormai, consentono agli utenti di fare operazioni di qualsiasi tipo direttamente dal proprio Pc proprio attraverso il web, in tutta sicurezza”.
“Condivido – interviene Wolter -. Nel mondo bancario il quadro normativo esiste e la fiducia è stata raggiunta (accediamo ai conti da Internet e anche se effettuiamo transazioni online via web, ci fidiamo). Nel cloud manca il quadro normativo perché è un fenomeno ancora in via di definizione”.
“Sicurezza deve quindi, in questa fase di crescita del fenomeno, significare anche capacità dei vendor di proporre ai clienti soluzioni in modalità cloud tecnologicamente sicure, integrate nel sistema informativo del cliente e con una garanzia di partnership e supporto adeguati”, afferma Uberti Foppa.
“La nostra crescita esponenziale ci ha portato nel tempo ad affidarci a un provider di servizi non più solo tecnologici ma anche applicativi, con una scelta di software on demand sempre più estesa (la posta elettronica non è più un asset ma è già da tempo fruita al nostro interno come un servizio) e l’aspetto più critico che abbiamo affrontato è stata proprio l’integrazione applicativa – racconta Luigi Pignatelli (nella foto a sinistra), responsabile sistemi informativi di Sara Lee Italy -. Noi abbiamo delle tematiche di trattamento del dato, della privacy e della sicurezza tipiche da multinazionale e di gestione complessa (per esempio, a livello architetturale si è scelto di avere un approccio sincrono al dato, perciò il dato deve essere residente e utilizzabile dall’applicativo centrale – gli altri applicativi, anche web, che utilizzano lo stesso dato devono recuperarlo dall’applicativo host; non ci possono essere dati ridondanti). La sicurezza è dunque l’elemento che ha influito maggiormente sulle nostre scelte e il motivo per cui a oggi abbiamo optato solo per il private cloud”.
I protagonisti delle due tavole rotonde di ZeroUno
Questi i manager che hanno partecipato alla tavola rotonda “Sistemi informativi: nuova flessibilità e cloud computing”
_Paolo Ballabene, Responsabile Sistemi Informativi di Tnt Global Express
_Antonio Bottero, Direttore Commerciale di Akhela
_Antonio Calabrese, Amministratore Delegato di Rippols
_Davide Fermi, Responsabile Architetture tecnologiche di Banca Popolare di Milano
_Stefano Perfetti, Responsabile Service Line Corporate di a2a
_Carlo Wolter, Amministratore Delegato di Tecnimex
Questi i manager che hanno partecipato alla tavola rotonda “Cloud Computing: sicurezza e affidabilità di un modello
in via di diffusione”
_Paolo Fornasari, Vice Direttore Generale Tecnologie e Gestione Sistemi di Lombardia informatica
_Francesca Gatti, Direzione Sistemi Informativi – Planning Quality Security di Bticino
_Lorenzo Gonzales, Business Consultant Technology Services di HP
_Matteo Penzo, al momento dell’evento It planning & technologies manager di Gabetti e attualmente Technology Director in Frog Design
_Luigi Pignatelli, Responsabile Sistemi Informativi di Sara Lee Italy S.P.A
_Alessandro Tiretta, Responsabile Sistemi Informativi di Leroy Merlin Italia