Il Rapporto 2010 dell’Osservatorio Enterprise 2.0 della School of Management del Politecnico di Milano s’interroga sul livello di maturità delle soluzioni collaborative e sulla qualità dei progetti sinora adottati in Italia. Provocatoriamente, gli autori accusano le imprese che si rivolgono verso queste soluzioni di essere affetti da una specie di Sindrome di Peter Pan, promotrici di soluzioni che si rifiutano di crescere passando da una fase sperimentale a una piena integrazione nei sistemi aziendali. Ne abbiamo parlato con Rosario Sica, uno dei fondatori di OpenKnowledge, per commentare i temi del report.
Un fenomeno in crescita
OpenKnowledge ha avuto il merito di promuovere il primo grande convegno in Italia sui temi delle soluzioni collaborative in azienda, l’International Forum on Enterprise 2.0 (vedi negli Appuntamenti). Due anni fa, in collaborazione con l’Università dell’Insubria, aveva portato in Italia Thomas van der Vaal, esperto internazionale di social tagging e inventore del termine folksonomy: “La categorizzazione delle informazioni generate dagli utenti mediante l’utilizzo di parole chiave (Tag)”, come recita Wikipedia, primo esempio di costruzione della conoscenza in maniera collaborativa. L’anno scorso, nella cornice dell’Assolombarda, fatto emblematico che sottolineava la crescita di rilevanza del tema, si è trattato di raccontare e riflettere sulle prime esperienze italiane.
Ora il fenomeno è ulteriormente cresciuto e si è consolidato, e di questo darà atto il Forum di quest’anno. Già questo percorso dà conto di un processo di maturazione, “ma ormai non si tratta più di spiegare che cosa è”, dice Sica, “Facebook, diventato un fenomeno di massa anche in Italia [dai 16 ai 18 milioni di utenti a seconda delle fonti, ndr.] ha fatto più innovazione in due anni che Ibm in dieci. Certo, c’è un forte problema generazionale, stiamo parlando soprattutto dei manager di domani, quelli che vanno dai 16 ai 22-25 anni, ma il percorso è iniziato”.
È sicuramente un fatto generazionale, e abilitato da un’evoluzione tecnologica, quello delle applicazioni 2.0, social e conversazionali; ma è anche un fatto strutturale.
La turbolenza economica che caratterizza questo decennio, frutto di una globalizzazione disordinata e complicata da una crescita asimmetrica nel protagonismo delle grandi organizzazioni rispetto ai governi, configura un ambiente a complessità crescente.
L’impatto sulle imprese, in primo luogo quelle esposte alla concorrenza internazionale, rischia di essere devastante: gli eventi imprevedibili si moltiplicano, i tempi di reazione si accorciano drammaticamente, tutta l’organizzazione viene esposta a sollecitazioni tanto improvvise, quanto violente. “Per far fronte a queste situazioni, tecniche come il social tagging aiutano le forze di vendita a reagire con una velocità impensabile prima”, osserva Sica; “questo si può oggi misurare con metriche precise, ci si può calcolare il Roi, e tutto diventa comprensibile anche dai non nativi digitali”. Il social tagging, indicizzazione collettiva dei contenuti, aiuta infatti a recuperare più velocemente i documenti e questo a sua volta ha un impatto sull’accelerazione del processo di vendita.
Figura 1 – Architettura dei nuovi sistemi informativi
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Il tema cruciale è organizzativo
L’Osservatorio mette in correlazione innovazioni It e modelli organizzativi. Su questi temi può aiutare il Social business design applicato ai processi. Si prenda ad esempio il processo di innovazione di prodotto: si collegano lungo le varie fasi strumenti social (instant messaging, blog per condividere documenti, wiki per la gestione delle attività) con indicatori a monte e a valle del progetto. A questi si applicano metriche legate allo sviluppo del progetto e si ottengono risultati eclatanti; Lago [design di mobili ndr], ad esempio, ha verificato che si è ridotto del 90% il tempo dedicato alle riunioni, si sono ridotti del 75% gli errori commessi nella definizione di alcuni passaggi progettuali. “I vantaggi sono misurabili, le riunioni servono a finalizzare le decisioni, non a discutere. Un teorico di questa metodologia è Samir Patel, che terrà un workshop a Milano” puntualizza Sica.
Sempre sul piano organizzativo è utile la Network Analisys a supporto dell’It. In questo contesto si fa l’analisi dei flussi informali di lavoro su ruoli e uffici, si rilevano sovraccarichi e colli di bottiglia; confrontandoli con l’organizzazione formale si possono rivedere carichi di lavoro o ridimensionare uffici. “L’analisi può essere ‘fisica’, misurando traffico, mail, interazioni, oppure con survey sulle persone, con un approccio più da social network, ma – avverte Sica – senza invasione della privacy delle persone”. A completare il quadro interviene l’Organization network analisys, che guarda l’organizzazione informale, e fornisce un supporto alla gestione risorse umane, stimolando la discussione focalizzata in community. Un aspetto particolare è legato alla value network analisys , focalizzata su ruoli e persone e su come si estrae valore dalle interazioni, come si ingaggiano le persone per modificare i processi rendendoli più efficienti. “Si individuano modelli di intervento che permettono di rinegoziare atteggiamenti non in linea con la strategia aziendale”, spiega Sica, “Verna Allee [presidente di ValueNetworks.com, ndr] ha costruito un’azienda su questo concetto”.
Figura 2 – Maturity Assessment Model
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Non solo efficienza…
L’Osservatorio indica che le aree più investite da progetti 2.0 sono Unified Communication & Collaboration ed Enterprise Content Management (90% degli intervistati), mentre meno sfruttata risulta essere la Social Network & Communication (57%).
La preminenza dell’UC&C è spiegata dall’efficienza che si può ottenere utilizzando applicazioni come Voip, sistemi di presence, istant messaging e supporto alla mobilità, soprattutto per aziende distribuite sul territorio o su scala internazionale, meglio se grandi imprese.
Anche l’Ecm è molto utilizzata, perché “i livelli di investimento della gestione di contenuti attraverso il social tagging o il crowdsourcing sono nettamente inferiori a quelli per l’intranet aziendale”, osserva Sica, “oltre ad avere livelli di utilizzo molto alti, sino al 98%, mentre le ricerche sulle intranet, comprese quelle di Gartner, parlano di tassi di utilizzo del 12-15%”. Tra l’altro, la facilità d’uso di strumenti social e il relativo basso investimento, paradossalmente possono rappresentare un ostacolo: il Cio ha difficoltà a spiegare alla direzione come si possano fare le medesime cose con un investimento molto più contenuto, e perché la intranet non venga usata.
… prima di tutto, ascolto
E questo ci porta a un’altra caratteristica del mondo di cui stiamo parlando: consente di mettere al centro il cliente o, detto in altri termini, impone di privilegiare l’ascolto.
Nel caso dell’utente interno questo significa progettare tenendo conto dei suoi problemi, individuando con lui le funzionalità utili, e poi mantenere le promesse. La sfida è far riconoscere il valore in strumenti offerti, che deriva dalla loro utilità, dalla capacità di risolvere i problemi. Se gli utenti partecipano e utilizzano gli strumenti è perché riconoscono valore nell’applicazione; è anche cruciale collegare il valore alla passione degli utenti. Vi sono persone nelle aziende che hanno grandi competenze e affezione ai prodotti e la trasmettono agli altri e all’esterno.
Altrettanta affezione e competenza è rilevabile nei clienti veri e propri; anzi, spesso ne sanno di più della rete interna sulle caratteristiche del prodotto. Coinvolgerli in community, valorizzando l’ascolto e la capacità di intrattenere un dialogo con loro è un vero valore aggiunto. “Le banche – ad esempio Intesa San Paolo – sono molto attive nella creazione di servizi strutturati di ascolto del cliente; si usano brand community con i clienti finali che si informano e discutono di un prodotto” è l’osservazione di Sica. La creazione di comunità ha anche un forte impatto sul marketing e sulla reputazione dell’azienda, si possono ad esempio utilizzare meccanismi di endorsement e prediction marketing; tutto questo è ottenibile con strumenti di social monitoring.
“L’utilizzo di strumenti SN&C, che sono una combinazione tra piattaforme e strumenti che hanno impatto sull’organizzazione aziendale, è più complesso”, avverte Sica. “In molti casi è persino possibile innescare effetti di disruptive innovation. Spigit è una piattaforma di “call for ideas”. Utilizza strumenti per spingere le persone a esprimere ed accogliere idee innovative. Vengono lanciati post per stimolare idee, poi si applicano tool per organizzare l’evoluzione delle idee gestendone lo sviluppo. È famoso il caso Wal-Mart che ha risparmiato 8 milioni di dollari accogliendo il suggerimento di un dipendente. Si trattava di spegnare di notte le luci accanto ai distributori automatici: semplice, ma efficace”.
Governance: tema delicato
Dunque, gli strumenti per attivare il cambiamento 2.0 in azienda ci sono. Quali sono i percorsi virtuosi per introdurli? “Partire con un pilota, orientato a ottenere risultati in tempi brevissimi, tre-quattro mesi per andare online con la beta, per conquistarsi la fiducia degli utenti. È fondamentale allearsi con i manager di linea perché sono quelli che “spingono” di più; il top management, anche se sponsorizza il progetto, ha timore di sbagliare e si rischia l’immobilismo” dice Sica.
“La governance è un tema delicato, si può lavorare nell’integrazione dell’attuale governance con informazioni derivanti dal mondo informale. Occorre però fare attenzione a non essere percepiti come destabilizzanti. Ripeto: partire con un pilota, dimostrare i risultati con numeri tangibili, quindi espandere. Vale il detto think big, start small, be fast. La velocità è cruciale: una volta i progetti si misuravano in anni/uomo, oggi in tre mesi l’applicazione deve funzionare” continua il fondatore di Openknowledge.
Parliamo comunque di un mondo che ha i suoi protagonisti nei venti-trentenni. Ne è la riprova che gli strumenti social per il top management non funzionano, ci sono progetti per top executive social ma puntano sulla compresenza, è un problema di sensibilità generazionale. Chiedo a Sica: quanto ha visto usare Twitter e FriendFeed nelle aziende? “Poco, pochissimo” mi risponde. “Vedo i miei collaboratori più giovani che per comunicare mi mandano messaggi sul messenger, poi su Skype, quindi su Linkedin. Per loro è naturale; sopra i 45 anni si usa la mail”.