Itfm: diffusione, criticità, aspettative

Quali sono le criticità di un sistema di It Financial Management? L’Itfm è ancora uno strumento marginale o è sempre più integrato in un disegno finanziario globale? Qual è la predisposizione all’analisi finanziaria di dettaglio da parte dei team Ict? Sono alcune delle domande alle quali hanno cercato di dare risposta i protagonisti della tavola rotonda che si è tenuta nell’ambito del Convegno "It Financial Management – scoprire, governare, riattribuire i costi dell’it", organizzato qualche mese fa da ZeroUno

Pubblicato il 27 Ott 2010

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Riccardo Baraldi, Cfo di Waste Italia e Consigliere Andaf, Annamaria Di Ruscio, direttore generale e partner di NetConsulting, Gianluca Gottardini, Ict Sourcing & Contract Manager di Autogrill, Severino Meregalli, Sda Professor e Responsabile Unità Sistemi Informativi di Sda Bocconi, Marcello Ortona, Software & Solutions Professional Services Lead di Hp, sono i protagonisti della tavola rotonda, coordinata dal direttore di ZeroUno, Stefano Uberti Foppa, che si è tenuta durante il Convegno It Financial Management – Scoprire, governare, riattribuire

i costi dell’It, organizzato da ZeroUno nello scorso giugno, in partnership con Hp e con il patrocinio di Andaf (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari). Il dibattito è stato ricco di interessanti approfondimenti, riportiamo alcuni dei momenti più significativi della discussione.

Uberti Foppa: Prof. Meregalli, quali sono le principali criticità di un sistema di Itfm cui è necessario prestare attenzione?
Meregalli: Possiamo raggruppare le criticità in due macro ambiti: finalità diverse ed errori di misura. Spinte dall’ottimizzazione dei costi, da un lato, e dall’economia di scopo, dall’altro, le aziende si trovano a dover convogliare in un unico sistema costi che richiedono misure diverse perché diversi sono lo scopo e le finalità che questi costi indirizzano. In primo luogo è quindi necessario conciliare queste differenti finalità: la prima, molto semplice, è quella della conformità fiscale in base alla quale i costi devono essere correttamente imputati nel bilancio civilistico; la seconda è l’esigenza di approcciare i costi It in una logica di controllo di gestione; la terza, inconciliabile con la seconda, è usare valori di costo per intrattenere la relazione con gli utenti utilizzando struttura dei costi e linguaggio che siano condivisibili da questi.
Molti sistemi di cost accounting rimangono a metà strada e non raggiungono né il risultato di capire il costo effettivo di un determinato servizio It né quello di farsi capire dagli utenti. A tutto ciò si aggiunge il fatto, non certo nuovo, che il business non utilizza un linguaggio univoco, ma più linguaggi in base alle finalità da perseguire e con le quali i sistemi amministrativi e contabili devono conciliarsi.
Il secondo macro ambito è una criticità tipica dei processi Ict, gli errori di misura macroscopici, un’ “invariante”, da quando nell’Ict si facevano solo pochi conti approssimativi e che si presenta anche se si utilizzano sofisticate suite di cost accounting e/o asset management. Errori che derivano dal non essersi posti in tempo domande fondamentali come, per esempio, “se sia corretto non rilocare il data center in zone periferiche meno costose” dimenticando “costi dormienti” e creando, di conseguenza, errori di ordini di grandezza importanti nella definizione del costo dei servizi It. Attenzione, perché talvolta gli errori di misura macroscopici hanno avuto preoccupanti conseguenze: su questi aspetti si finisce con il valutare le persone, l’efficacia della funzione, e talora la stessa capacità gestionale del Cio.

Uberti Foppa: Vediamo ora qual è l’opinione di un Cfo. Rivolgo la domanda al dott. Baraldi che, avendo ricoperto in passato anche il ruolo di Cio, ben comprende la problematica da entrambi i punti di vista. L’Itfm è ancora uno strumento marginale o va integrandosi in un disegno finanziario globale?
Baraldi: Il Cfo ha con il Cio un rapporto di “amore – odio”. Per lo sviluppo dell’attività finanziaria dobbiamo avere tutto sotto controllo, ma per quanto riguarda l’It non si riesce mai ad avere un’informazione tempestiva. Il costo per un investimento deve essere approvato secondo una serie di processi e fino all’esito siamo noi Cfo che portiamo il peso (finanziario) di un problema, del servizio It che lo risolverà e del fornitore esterno che lo offre. Alcune aziende utilizzano un approccio strutturato in Profit & Loss per i nuovi servizi It. Ma guarderei oltre il P&l dei soli nuovi investimenti: che succede di investimenti, conoscenze e licenze soppiantati dai nuovi processi? Ed è importante esplorare anche i costi latenti importati nei conti da nuovi sviluppi.

Per quanto riguarda la seconda domanda, partirei da un dato emerso da una recente indagine realizzata da Andaf, dalla quale si evince che il 43% dei Cio o dei responsabili informatici riporta al Cfo e che la percentuale tende ad aumentare. La situazione è comunque diversa a seconda della dimensione aziendale. Nelle Pmi spesso non vi è Cio; il Cfo interloquisce al più con un tecnico che si interfaccia con il fornitore e redige un reporting che mostra se i costi rimangoano entro le previsioni. Nelle grandi aziende c’è invece un team che lavora su strumenti di valutazione di Roi, definiti sulla base della strategia per i progetti di investimento stabilita dal Cda; in questo caso, il Cio è parte integrante del team. Che poi l’interazione fra le due funzioni Cfo e Cio debba svilupparsi ulteriormente è indubbio.

Dal pubblico: L’attribuzione oggettiva di un servizio It dipende da una chiara individuazione dei driver delle varie componenti del costo (per esempio spazio, infrastruttura, network locale o geografico, supporto sistemistico, ecc.). Vorrei chiedere al dott. Gottardini di quali di questi elementi avete tenuto conto e in che modo nel realizzare il modello di Itfm implementato in Autogrill.
Gottardini: Ipotizzando strutture infinitamente flessibili, il tema è identificare quei driver utili a portare il costo sul servizio specifico e, di ritorno, ad agire sulla struttura It (per esempio riallocando server di cui il servizio ha meno bisogno). Ci siamo concentrati sui driver che conosciamo bene (infrastruttura fisica, contratti, risorse umane) e che consentono di essere tanto precisi quanto basta a governare il 70-80% dei costi, in modo da riallocarli se lavorano su servizi a basso valore. L’obbiettivo non è mai stato portare tutte le risorse su tutti i servizi, bensì portare sui servizi più richiesti il 70-80% di risorse pregiate.
Per quanto riguarda i macro errori… speriamo proprio di non averne fatti, allocando a una voce di bilancio costi non pertinenti: il nostro modello Itfm è costruito con una dialettica che coinvolge l’It, il Cfo, la Direzione Pianificazione Strategica di Gruppo e i fiscalisti. Questa impostazione dovrebbe consentire di prendere decisioni in cui l’addebito del costo è la leva per una buona decisione complessiva. Certo, qualsiasi modello di business può celare situazioni “dirompenti”: un fornitore, per esempio, può fare dumping per rendere competitivo un servizio che in realtà costerebbe di più. Fa parte dell’economia complessiva il fatto che, in un momento temporale, geografico e/o societario, non si raggiunga il limite assoluto di efficienza. Bisogna mantenere la capacità di leggere correttamente i numeri, saperlo fare nel loro contesto, interpretando a fondo e in modo incontrovertibile il significato di un dato, prima, per esempio, di smantellare strutture locali di It o cambiare outsourcer.

Uberti Foppa: Dott. Ortona, come vendor che dialoga con molte aziende, qual è il suo parere sulla predisposizione all’analisi finanziaria di dettaglio da parte dei team Ict?
Ortona: Credo che la governance It e, al suo interno, la valutazione dei costi nonché la giusta attribuzione al business siano oggi al centro dell’attenzione di molte aziende. E’ un ambito nel quale si aprono grandi opportunità per i vendor It e le società di consulenza: sia nelle tradizionali attività di manutenzione sui sistemi esistenti, sia nella valutazione di progetti innovativi, come per esempio il cloud, il faro è sempre puntato su costi ed efficienza. La forte concorrenza sul mercato spinge a ridurre i costi e, allo stesso tempo, a innovare e svilupparsi senza acquisire nuove risorse perché l’innovazione è quella che costa di più. Quindi le aziende, soprattutto quelle grandi, puntano a tener sotto controllo e ridurre i costi ricorrenti dell’It per liberare risorse da destinare all’innovazione. Per questo serve loro un

sistema di controllo dei costi efficiente ed efficace. Come ricordava il prof. Meregalli, un sistema Itfm deve rispondere a finalità diverse. È allora importante avere strumenti che permettano di disporre di tutti i dati necessari, per utilizzarli poi in base a queste finalità e aggregarli per il bilancio civilistico o per il controllo di gestione o per comunicare con gli utenti. Si possono perseguire due strade utilizzando strumenti che nascono appositamente per collezionare i dati elementari (per esempio soluzioni di Project Portfolio Management) o strumenti orientati a fare attività di reporting (come soluzioni di Bi) facendo comunque un’integrazione di soluzioni diverse e federando informazione da più data base.

Dal pubblico: Si ripete da tempo che per supportare strategicamente il business, l’It deve parlarne il linguaggio. Ma qual è la situazione reale oggi nelle aziende?
Di Ruscio: Ritengo che si possano identificare almeno tre livelli interpretativi. In primo luogo, per quanto riguarda la struttura It, è come se parlassimo di un’azienda nell’azienda: nel convegno di oggi abbiamo sentito parole chiave come costo, valore, competitività, parlato di Capex e Opex, di efficacia ed efficienza di una attività Ict che consente di fare margine. In secondo luogo, la struttura It deve rispondere ai propri clienti interni: è il tema del Demand Management, un salto di qualità e di competenze che non è nel bagaglio di tutti, per il quale servono percorsi evolutivi e che spesso suscita resistenze organizzative; la struttura di demand è una catena di trasmissione che genera performance formidabili, se funziona, ma se è troppo ancorata al business o al linguaggio tecnologico, la macchina applicativa non risponde. Infine, l’Ict fa innovazione non solo di processo, ma di prodotti e servizi, offrendone di nuovi. Un esempio emblematico è rappresentato dall’automobile che oltre a una vettura per il trasporto di merci e persone, è diventata uno dei più grandi servizi Ict: porta in giro 12 km di fibre ottiche, sei o sette sistemi “embedded”, e dipende da tutta una serie di servizi elaborativi, servizi di telemonitoraggio ecc.
Ben vengano tutti i ragionamenti sul tema del costo e su un linguaggio collegato alla visione del costo, ma chiediamoci anche dove vogliamo andare con l’Ict come azienda, a livello di business e di strategia aziendale. In pratica, nell’impianto di un conto economico non guardiamo solo al breve periodo ma al medio-lungo: oltre alle trimestrali con analisi del costo nel breve, principio sacrosanto per risparmiare, definiamo anche piani evolutivi, con budget quantomeno triennali. Piani che aiutino la “macchina” a dirci dove si è oggi e dove si vuol andare domani almeno per tre asset fondamentali: tecnologia, applicazioni e risorse umane. In modo che il modello di sourcing non sia visto solo come strumento per ridurre i costi, ma rifletta (e possa finanziare) scelte strategicamente evolutive di struttura.

Uberti Foppa: Prof. Meregalli, trovare la corretta visibilità di questi costi con le controparti è dunque un problema di capacità di linguaggio su più livelli con il business?
Meregalli: Di linguaggio e di comunicazione trasparente su come sono costruiti i costi, mostrando che non c’è “zavorra” ed esponendo le tante manutenzioni di tecnologie, il cui insieme è molto più innovativo del portafoglio progetti di molte aziende. Dividere Capex e Opex andava bene quando si inserivano nel Capex lo sviluppo in casa e nell’Opex i costi per la manutenzione dell’hardware; con Saas e Cloud ha sempre meno senso.
Sull’Ict al bivio fra i bit e conoscenza finanziaria, invece, non credo proprio che l’It debba acquisire tutte le capacità del business e viceversa, se così fosse si andrebbe all’ingerenza del “tutti fanno tutto”. Ci sono concetti fondanti di un’attività professionale che sono dominio dei professionisti di area; per il dialogo con loro c’è da acquisire un linguaggio, non una competenza comune. Il rischio è infilarsi in una terra di nessuno, con dei tecnici che non diventano né tecnici, né capaci di occuparsi di finanza. Invece, né il management deve capire tutto ciò che serve a far funzionare i Si, né chi si occupa di It deve capire tutti i misteri finanziari del Cfo: la risposta sta nel “trust”, la credibilità nel fare il proprio mestiere e la conseguente fiducia tra management e Si, che si traduce in delega. Quando un Cio dice al management che serve un dato asset It, il problema è di fiducia: o il management si fida e approva l’investimento oppure, se lo respinge, deve anche ritenere che il Cio non è più credibile e, quindi, ritirargli la delega. Insomma, trovare un linguaggio comune va bene, ma solo nella comunicazione; mentre è irrealistico immaginare che chi fa un altro mestiere diventi altrettanto bravo della controparte per “seguirla”.
Ortona: Condivido. Fatte salve le piccole aziende dove mancano Cio, Commercialista e Direttore Finanziario e c’è il “padrone” a interagire con le strutture, l’It ormai è “un’azienda nell’azienda”, per dirla con la dottoressa Di Ruscio, e sulla catena del valore ha processi critici e non critici: il Cio non parla al business, e il Cfo non deve conoscere il dettaglio, per i processi non critici, ma per quelli critici, il loro interscambio deve essere forte. In diverse realtà, per la cattura delle specifiche di realizzazione, si punta su persone di collegamento tra It e funzioni business: nelle aziende molto grandi con team di utenti che comprendono la tecnologia e dialogano con l’It; in quelle medio-grandi ci sono a fattore comune persone It che capiscono di business quanto basta a catturare le specifiche degli interlocutori, uno dei quali può essere un riporto del Direttore Finanziario.

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