Meritocrazia e certezza delle regole sono, a mio parere, i punti di partenza che il governo che verrà e la politica dovrebbero garantire.
Per riconoscimento del merito intendo premiare il risultato, valorizzare il talento e l’impegno. La valorizzazione del merito crea infatti contesti dove tutti noi possiamo realizzare le nostre aspettative, professionali e di vita, ed esprimere il meglio di noi stessi. Invece, nel nostro Paese, a fianco del debito pubblico, si sta sempre più evidenziando anche un “debito meritocratico” che limita le nostre capacità di competere.
Diversi indicatori ce lo confermano, sul terreno delle pari opportunità, della diversity, del sistema educativo, della capacità di attrarre i talenti.
Leggi tutti i contributi dei CIO allo Speciale Elezioni 2018
- Tecnologia, innovazione, imprese: cosa chiedere alla politica che verrà
Ma una competizione globale, basata sull’innovazione, necessita, oltre che di un sistema meritocratico, anche della certezza delle regole. È questo un elemento fondamentale per la generazione della fiducia, per attrarre e trattenere nel nostro paese risorse, siano esse finanziare (di cui si discute molto) sia di capitale umano, evitando così la fuga dei talenti e degli investitori.
Servirebbe, come molti sostengono, stabilità e continuità d’azione sulle direttrici più strategiche. Ecco allora che il vezzo nostrano di intitolare i provvedimenti con il nome del ministro di turno ne dà una doppia connotazione: da un lato positiva, per l’assunzione di responsabilità ma, dall’altro, estremamente problematica. Spesso, infatti, al governo successivo sembra nascere uno stimolo volto a cancellare il passato, senza una vera e propria valutazione nel merito del provvedimento, generando così discontinuità ed incertezza.
In realtà di tutto abbiamo bisogno tranne che cambiare le regole tra un tempo e l’altro della partita che si sta giocando. In questo modo, a causa di regole del gioco cambiate in corso d’opera, tutto diventa più difficile.
I provvedimenti come il Piano Industria 4.0, che già alcuni miei colleghi hanno citato nei loro interventi, sono positivi per la visione strategica; è se mai la parte attuativa a generare instabilità e incertezza. Si deve andare oltre la spinta sugli investimenti e sostenerlo nel tempo continuando la spirale positiva.
Al di là del marketing elettorale, sarebbe necessario guardare alla parte più alta della politica, pensando a quale società vogliamo avere e di conseguenza decidere come vogliamo procedere invece che mettere ogni volta in discussione quanto fatto in una logica di puro contrasto. Sarebbe anche il momento di superare il conflitto generazionale fra giovani in ingresso e i senior trattenuti al lavoro.
In questo contesto, cosa chiedere, come CIO, al nuovo Governo?
Parto dalla certezza che la tecnologia va avanti comunque e si sviluppa in maniera autonoma, indipendentemente dalla politica, ma sono assolutamente necessari progetti di politica industriale e finanziaria di ecosistema e di lungo periodo per agevolarne la diffusione. In assenza di questi, la tecnologia troverà altri luoghi con un terreno più fertile dove crescere.
Un esempio lampante viene dai tanti ragazzi italiani capaci che vanno in Silicon Valley o in altri contesti internazionali. Nonostante i nostri Politecnici non abbiano nulla da invidiare a Università e centri di ricerca internazionali, i ragazzi vanno all’estero perché in Italia non trovano un ecosistema adatto alle loro necessità, con un’analoga semplicità di accesso alle risorse. Ci serve dunque, anche per l’Italia, un ecosistema più maturo e moderno, con regole certe e accesso più facile. Ricordo che in Silicon Valley hanno creato dal nulla un ambiente attraente.
Non è però detto che si debba copiare quel modello: ne andrebbe comunque proposto un altro adeguato alla nostra realtà, che metta insieme scuole, università, ricerca, PMI… Andrebbe messo a punto un piano, a partire dalla visione di cosa vuole essere l’Italia, decidendo se vogliamo davvero essere protagonisti, in un mondo dove la tecnologia comunque avanza, o se vogliamo avere un ruolo solo sul lato della domanda.
Anche l’industria dovrebbe fare autocritica. Non possiamo chiedere solo al Governo di intervenire; anche altri attori privati devono fare la loro parte comprendendo che la velocità di trasformazione e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie richiedono nuovi approcci e nuove idee imprenditoriali. L’imprenditore italiano invece è spesso fermo a logiche nei fatti superate.
In conclusione, al governo che verrà faccio poche richieste e una preghiera: che tutto ciò venga rapidamente attuato e sostenuto da una vision che sia possibilmente chiara, semplice e comprensibile da tutti.