L’Innovazione Digitale è una priorità per le imprese italiane e crescono di conseguenza, in linea con la crescita economica del Paese, i budget delle direzioni ICT a cui si sommano i budget per l’innovazione digitale di altre direzioni aziendali. È questa una delle good news degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence, a partire da una ricerca che ha coinvolto 271 tra CIO e Innovation manager di aziende italiane e multinazionali e Pubbliche Amministrazioni ed è stata completata sia da 12 interviste dirette ai CIO e Innovation Manager sia da 15 workshop interattivi che hanno coinvolto oltre 600 Manager.
Nel corso del 2018 si prevede un’accelerazione dell’incremento del budget ICT per oltre un’impresa italiana su tre (36%), con un tasso di crescita fra l’1,8% e l’1,9%. Si mantiene alta anche la percentuale di spesa ICT destinata all’innovazione, che si era assestata nel 2017 al 66% dei budget totali della direzione ICT. A trainare la crescita saranno soprattutto le grandi imprese, tuttavia anche le medie e le grandissime contribuiranno in modo significativo.
Per quanto riguarda le priorità di investimento nel 2018 al primo posto troviamo Big Data e Analytics, con il 43% delle indicazioni; al secondo posto la digitalizzazione e la dematerializzazione con il 34%; al terzo il consolidamento applicativo ed ERP con il il 29%, seguiti da sistemi di security e compliance, che, con il 28%, quasi raddoppia le preferenze rispetto all’anno precedente. Questa è probabilmente la conseguenza dell’entrata in vigore, a maggio di quest’anno, del Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR) (figura 1).
Who's Who
Mariano Corso
“Gestire efficacemente l’innovazione digitale significa ripensare l’organizzazione nel suo complesso, dalle strutture ai processi fino ai meccanismi di coordinamento – commenta Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy – Le imprese, nonostante si ritrovino spesso imbrigliate in inerzie organizzative e culturali, ostaggio di modelli operativi burocratici e lenti, si stanno impegnando in questa trasformazione, da un lato sperimentando organizzazioni interne collaborative, coinvolgenti e interdisciplinari, dall’altro aprendosi a un nuovo ecosistema di partner capaci di rispondere in modo flessibile e veloce al bisogno di innovazione”.
Una nuova organizzazione e ampliamento dell’orizzonte dei partner
La principale sfida organizzativa, in vista della trasformazione digitale è, per il 39% delle imprese intervistate, la necessità di sviluppare strutture, ruoli e capacità di coordinamento per gestire i processi di innovazione in una logica trasversale rispetto alle diverse aree aziendali. C’è dunque la consapevolezza che non basta nominare il Chief Innovation Officer o l’Head of Open Innovation per mettere davvero in atto l’innovazione, ma è indispensabile adottare modelli collaborativi e inclusivi che coinvolgano tutte le LoB. Al secondo punto, nel 33% dei casi, le imprese evidenziano la necessità di accouting, assessment e sviluppo di competenze digitali, che rappresenta la principale sfida per le direzioni HR. Al terzo posto viene riconosciuta dal 29% la necessità di coinvolgimento e ingaggio dei dipendenti nei processi di innovazione attraverso, per esempio, azioni di comunicazione e organizzazione di eventi, in particolare contest interni. La quarta sfida organizzativa indica la definizione di nuovi meccanismi di collaborazione per l’Innovazione con i fornitori tradizionali, per il 27%. Solo il 14% considera prioritario lo sviluppo di imprenditorialità interna, ma di fatto il 55% delle imprese intervistate dichiara di aver avviato azioni per favorire l’attitudine imprenditoriale al proprio interno, attraverso attività formative, innovation Lab, contest e hackathon interni.
L’innovazione digitale sta trasformando l’ecosistema degli interlocutori di riferimento per le imprese che cercano modalità di collaborazione più agili e veloci: ai tradizionali fornitori di tecnologie e servizi ICT si affiancano sempre più nuovi attori come startup, centri di ricerca, clienti guida e persino aziende non concorrenti.
Open Innovation: se la conosci continui a utilizzarla
In Italia il numero di imprese che adotta consapevolmente e in modo sistematico approcci di Open Innovation (ossia il basarsi, per fare innovazione, non solo su idee e risorse interne, ma ricorrendo a strumenti e competenze tecnologiche che arrivano da fonti differenti quali, ad esempio, startup, università, istituti di ricerca, fornitori, ecc.) è ancora limitato, ma chi lo fa ne è soddisfatto. Dalla ricerca risulta che il 28% delle imprese intervistate dichiara di adottare approcci di Open Innovation per la gestione dell’Innovazione Digitale; il 7% di questi lo fa da più di 3 anni. Il 32% delle imprese ha in programma di farlo, mentre 20% dichiara di non essere interessato e nella stessa percentuale di non conoscere il fenomeno. La buona notizia è che, degli oltre 250 rispondenti, nessuno che abbia utilizzato l’Open Innovation l’ha poi abbandonata.
Fra le imprese che adottano iniziative di Open Innovation, il 23% segue il modello di innovazione aperta che incorpora stimoli esterni di innovazione all’interno dei processi (Inbound Open Innovation). Fra queste, il 73% sviluppa collaborazioni con università e centri di ricerca, il 56% svolge azioni di startup Intelligence, il 49% realizza call for ideas e contest, il 34% compie azioni per la ricerca di partner su fornitori tradizionali o conduce hackathon, datathon (i team che partecipano all’evento lavorano per 24 ore consecutive per studiare e analizzare i dati relativi a un caso, utilizzando le tecniche di analisi più avanzate) e appathon (in questo caso i team lavorano allo sviluppo di un’app per uno specifico settore o attività), mentre soltanto il 14% fa crowdsourcing (figura 2).
Who's Who
Stefano Mainetti
“Qualunque sia la strategia adottata è importante lavorare in modo virtuoso con centri di ricerca e startup in una logica di open innovation”, suggerisce Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence e CEO di PoliHub, mettendo in guardia da un approccio troppo informale e sperimentale, accettabile all’inizio ma non in grado nei fatti di far evolvere l’innovazione dell’impresa.
Quali modelli concreti per favorire l’innovazione?
Andando su casi concreti si vede che viene posta grande attenzione al coinvolgimento di tutte persone dell’azienda nelle logiche di innovazione e nello sviluppo di imprenditorialità fra i dipendenti, ma solo in alcuni casi si è scelto di creare un’unità dedicata.
È il caso di Edison che ha giocato soprattutto nello sviluppare l’imprenditorialità all’interno dell’azienda. “Abbiamo chiamato tutti i dipendenti a una call for ideas, con la scommessa che si avrebbe avuto l’opportunità di realizzare le idee proposte. La risposta è stata sorprendente (1200 persone coinvolte per 77 progetti) con il risultato che sono stati selezionati 4 progetti che sono stati sostenuti e finanziati per produrre nuove attività ora in fase di implementazione”, riferisce Emilio Palomba Procurement ICT &general Good di Edison.
La consapevolezza che i dipendenti sono il principale asset aziendale ha spinto Agos (Gruppo Credite Agricole) a creare da zero la funzione innovazione che riporta alla direzione generale. Su base volontaria sono stati coinvolti i dipendenti per lanciare idee di nuovi prodotti: ne sono state proposte 200 che saranno selezionate. “Per poter esprimere un pensiero di innovazione è indispensabile un clima di fiducia che consenta alle persone di esprimere idee, di sbagliare, di sviluppare una capacità imprenditoriale”, sottolinea Gabriella Scapicchio, responsabile Innovation Lab di Agos, secondo la quale le maggior difficoltà sono nel cambiamento di mindset dell’azienda per comprendere i tempi veloci dell’innovazione e la necessità non rispettare le procedure.
Gianandrea Bertello, Responsabile Marketing Divisione Corporate, BNL Gruppo BNP Paribas, sottolinea che l’approccio seguito è “riorganizzare il disorganizzato, portando l’innovazione dentro le LoB, che devono seguire l’attività ordinaria facendo al tempo stesso innovazione. Non si è dedicata una direzione specifica all’innovazione, sui cui l’azienda investe il 3%. Perché tutto funzioni serve fare network e molta imprenditorialità”.
Particolarmente complessa l’innovazione per Falck Renewables che ha creato un nuovo modello di business, di operatore energetico nelle rinnovabili, a partire dal business dell’acciaio. “L’obiettivo era trovare una modalità efficiente di gestione delle energie rinnovabili andando a creare un’economia di scala per estrarre massimo valore dagli asset energetici – sottolinea Marco Cittadini, Head of Client Services – Siamo di fatto una startup interna con lo scopo di creare una piattaforma capace di estrarre il massimo valore dove gli strumenti digitali abilitano l’efficientamento della gestione degli asset”.
Carlo Garuccio, Head of Strategy di Sisal ricorda le fasi alterne che la sua azienda ha attraversato, con prodotti con una vita di 30-40 anni e nuovi prodotti, come il gaming, con cicli brevissimi. Oggi è un player nel settore dei pagamenti che ha contribuito ad un aumento del 50% del fatturato. Ciclica anche l’organizzazione dell’innovazione ora come unità esterna alle Lob ora riportata all’interno con vantaggi e svantaggi in entrambe le scelte. Attualmente è prevista una Digital factory interna, unità dedicata ai sistemi di pagamento che in pratica è una sorta di startup interna.
Anche quando le startup non sono direttamente partner delle aziende per l’innovazione, i loro modelli culturali e organizzativi entrano in azienda.
Quali modelli di collaborazione con le startup?
Di fatto solo il 38% delle imprese oggi ha collaborazioni già attive con le startup; il valore sale al 63% se si considerano le grandissime imprese e si contrae al 21% per le medie. Il numero si può considerare basso ma è in crescita rispetto allo scorso anno dell’8%; inoltre il 23% delle aziende dichiara che avvierà a breve una collaborazione. Di contro ben il 27% non è interessato. Fra le imprese che non hanno ancora lavorato insieme a una startup, l’80% indica come principale ostacolo la mancanza di risorse e di condizioni che permettano all’azienda di focalizzarsi su questo tipo di fonte di innovazione, mentre il 51% lo addebita a una scarsa preparazione e strutturazione delle diverse funzioni aziendali per affrontare la collaborazione.
Fra le possibili modalità di collaborazione, il 54% delle imprese utilizza le startup come fornitori a cui richiedere un prodotto o un servizio una tantum, mentre il 37% ha intrapreso partnership in ricerca e sviluppo con startup per la co-creazione di prodotti o servizi. Nel 19% dei casi sono previste partnership commerciali legate ai nuovi modelli di business e nel 19% si tratta di una logica di fornitore di lungo termine, mentre nel 13% nascono per la co-creazione di innovazione nel modello di business (figura 3).
Un esempio di partnership è quello fra Satispay e Vivigas che intende integrare i servizi della startup fra le modalità di pagamento disponibili per i propri clienti: la collaborazione tra l’impresa e la startup in questo caso si trasforma nel modello “fornitore di lungo termine”.
Satispay è un network di sistemi di pagamento indipendenti che può essere usato per trasferimenti di denaro P2P, per acquisti nei punti di vendita o on line, per donazioni a organizzazioni no profit attraverso piattaforme mobile.
“Abbiamo iniziato la collaborazione con Satispay grazie alla partecipazione all’Osservatorio Startup Intelligence”, ricorda Andrea Mirandola, Chief Information Officer, di Vivigas, sottolinenado che la collaborazione con una startup ha un importante impatto a livello di cultura e che, nell’esperienza della sua azienda, ha aumentato la consapevolezza della direzione che “si può innovare in modo nuovo”.