Come organizzare l’azienda per l’innovazione? È questa la domanda alla quale Vijay Govindarajan, professore di International Business e Founding Director del Centre for Global Leadership al Tuck School of Business del Dartmouth College, ha cercato di dare una risposta nel corso del Top Management Forum organizzato qualche mese fa da Knowità. Nel numero di marzo di ZeroUno avevamo presentato la prima parte dell’intervento del professore, focalizzata sul pensare ed eseguire progetti di innovazione; in questo articolo ci concentreremo invece sugli aspetti organizzativi.
Partiamo… dalla conclusione: eseguire l’innovazione è anno dopo anno esercizio quotidiano durante tutto un ipotetico ventennio, 2010-2030, considerato da Govindarajan come il periodo di riferimento in cui un’idea si trasforma da innovazione a nuovo “business as usual”. È un periodo nel quale serve una gestione “orchestrata a livello non inferiore al Ceo”, fra “due” aziende totalmente separate ma in crescente contesa di risorse tra loro, CoreCo (core business company) per il business as usual e NewCo per l’innovazione.
La sfida è dunque concentrata sul governo della contesa tra CoreCo e NewCo sulle risorse comuni e consiste nel far coesistere organizzativamente una CoreCo, che deve essere operativa, produttiva e vincente, con una NewCo su cui si vuole e si deve progressivamente investire nel ventennio 2010-2030. Ci aiuta a seguire il percorso tracciato da Govindarajan la figura 1 nella quale il professore sintetizza gli elementi su cui focalizzarsi per competere nel presente e nel futuro.
Figura 1 – I focus per competere nel presente e nel futuro
(cliccare sull'immagine per visualizzarla correttamente)
Abilitare organizzativamente l'innovazione
Per pensare all’organizzazione, il primo passo è la rivisitazione critica del proprio Business plan strategico 2010 nella quale bisogna concentrarsi su due attività: a) i tre progetti e iniziative strategici per competere nel presente (box 1 di figura 1) e ridurre il gap di performance con la concorrenza (attraverso reenginering, ristrutturazione, operational excellence, best practice, benchmarking); b) iniziative, studi e progetti per competere nel futuro (i box 2 e 3 della figura 1), che invece eliminino l’innovation gap, il che equivale a reinventare, con il proprio modello di business, se stessi. L’obiettivo è l’hegeliano “et et” (la sintesi progressiva tra tesi e antitesi) e non l’“aut aut” di Kierkegaard (la scelta esclusiva di uno degli opposti) fra innovazione ed efficienza, fra inventare nuovi business sostenendo contemporaneamente l’eccellenza giornaliera nel core business. È indispensabile perfezionare in modo incrementale metodologie dalle Best practice del presente, ma in contemporanea inseguire e testare idee e discipline nuove per le New practice atte ad eseguire l’innovazione, con il fine di ottenere elevate performance anche per il futuro.
"Eseguire" l'innovazione
Ma cosa vuol dire e come si misura il “performare” nel futuro? È il secondo passo di Govindarajan che si ottiene con una moltiplicazione: idee nuove moltiplicate per i loro test/esecuzione. Di idee bisogna averne, e di buone; l’esecuzione è testarne la validità. Idee brillanti non testate non servono, né serve l’eccellenza nell’eseguire in mancanza di idee. In una scala da 1 a 10, tra le maggiori corporation mondiali, Govindarajan dà un voto medio di 6 alla generazione di idee e di 1 al test della loro validità. Generare idee è più facile e “sexy” (con visibilità e onori); è nell’eseguire i test che sta il consumo di risorse e di tempo, un lavoro oscuro, che dà il via ai conflitti fra vecchio e nuovo. Alla radice si confonde creatività con innovazione, che è sì ideazione, ma è anche test se l’idea può aver successo, se può essere commercializzata, se e in che limiti è scalabile a livello business. E per chiarire meglio il concetto, il professore invita a cercare su Google “innovation man”. In cima alla lista proposta dal motore di ricerca, compare un video spot di Ibm Global Service che, nel promuovere i propri servizi per “eseguire l’innovazione”, centra il punto: spunta un omino vestito da Superman con la lettera I (anziché S) sul petto e tutto soddisfatto spiega agli astanti che I sta per Innovazione, declinabile in Immaginazione, Ideazione, Incubazione, Invigorimento; ma alla domanda “e l’Implementazione?” va in crisi: “Acc…, ecco cos’ho dimenticato!” e scappa via.
Il target: il modello di business rinnovato
Il terzo passo è un nuovo modello di business che si inserisca in una strategia realizzabile. Per Govindarajan due termini sono "sinonimi": modello e strategia. Sono reali se si ha la risposta a tre domande: chi sono i clienti; qual è la proposta di valore da fare; se è vincente l’architettura della catena del valore con cui si crea il valore che interessa. Dalle azioni per competere nel futuro (sempre i box 2 e 3 della figura 1) escono innovazioni del modello di business che cambiano la risposta almeno a una di queste domande. Ratan Tata con l’auto da 2000 euro e il Premio Nobel Muhammad Yunus con il microcredito hanno innovato su chi sono i clienti, da consumatori a nuovi consumatori, e il valore loro proposto; Dell, con i Pc, ha innovato l’architettura della catena del valore, trasformandola da distribuita tramite grossisti e dettaglianti in diretta all’utente finale; anche Apple con iPod è stato un “game changer” nell’industria della musica, innovando non il prodotto (musica digitale) e non la tecnologia (iPod è un media player portabile tipo i “walkman”, commoditizzato con iTune), ma il processo.
Nel core business (box 1) si opera con una “macchina” per l’esecuzione, che è un “motore di performance”, che sta nell’”azienda” CoreCo. Mentre l’innovazione del modello di business dovrà dotarsi di una “macchina” per l’esecuzione, che è un “motore di innovazione”, che “ho sempre trovato abbia per natura un’esecuzione fondamentalmente diversa da quella della CoreCo, per cui l’unica strada è collocare il modello di business innovativo in un’azienda altra da CoreCo, la NewCo appunto”, dice Govindarajan. È il suo quarto passo, quello chiave, supportato da un approfondito excursus sulla storia di successo del New York Times (vedi riquadro).
Cosa insegna l’esperienza “organizzativa e relazionale fra NewCo e CoreCo del New York Times?
– Lezione n.1: per aver successo con un modello di business diverso e passare con successo dall’idea alla scalabilità business, la NewCo ha tre sfide da vincere: dimenticare, prendere a prestito e imparare. Ora, se si vuole che la NewCo dimentichi, va tenuta separata dalla CoreCo; se si vuole che prenda a prestito, va tenuta assieme. C’è una tensione fra dimenticare e prendere a prestito; e naturalmente anche fra dimenticare e imparare. In sintesi sono il seme delle tensioni interne, quelle culturali, le più difficili e che chiedono l’attenzione costante del Ceo.
– Lezione n. 2: anche se la NewCo è una “startup” che gestisce una frazione del business rispetto alla CoreCo e non è profittevole, va vista come investimento paritetico alla CoreCo e con libertà di assumere sia dall’interno che dall’esterno.
– Lezione n. 3: la NewCo deve essere tenuta separata dalla CoreCo. Il motore di performance non può gestire l’innovazione, proprio perché in mano a persone “troppo” competenti in un business di efficienza, esperti nel rendere ogni task ripetibile e predicibile. L’innovazione è all’opposto, irripetibile e impredicibile.
– Lezione n. 4: NewCo separata non vuol dire isolata; deve poter prendere a prestito asset come brand, knowledge aziendale, relazioni con i clienti. Ma i due motori di performance e di innovazione hanno inesorabilmente ritmi diversi: nascono tensioni organizzative sulla richiesta di risorse, per definizione limitate, possibili cannibalizzazioni, mancanza di fiducia reciproca. Errori da evitare: prendere a prestito troppo; oppure, per risparmiare, condividere servizi di supporto (Hr o funzioni finanziarie/amministrative, o la stessa It: contabilità in comune tende a significare metriche comuni su motori di esecuzione con logiche diverse; Hr offrirebbe a tutti lo stesso pacchetto retributivo e gli stessi benefici). Ma l’errore peggiore viene da un Ceo che sottovaluti il governo quotidiano delle tensioni implicite al tenere in contatto CoreCo e NewCo per la presa a prestito di asset. Il compito del Ceo non è finito, ma inizia quando crea una NewCo: ogni giorno porterà conflitti e tensioni fra due entità differenti cui si chiede di lavorare assieme su “interfacce calde” che vanno da lui presidiate.
– Lezione n. 5: “le attività per competere nel futuro sono fonte di segnali deboli” (John Chambers, Ceo di Cisco, citato da Govindarajan). I segnali sul futuro sono sempre deboli. Ma è qui che torna il concetto chiave di “eseguire l’innovazione”: testare l’idea per rendere l’innovazione utile al business. Occorre amplificare il segnale, il che corrisponde a testare le ipotesi e convertirle in fatti che si apprendono. La regola d’oro è ridurre costantemente il rapporto ipotesi/fatti conosciuti normalmente alto, “testando, spendendo poco, imparando tanto”. In particolare tenere il costo del fallimento basso, in modo da poter permettersi di fallire “sovente, velocemente, economicamente”, acquisendo fatti che restringano il campo dei test successivi sulla via di un’innovazione scalabile, e con un business model praticabile.
– Lezione n. 6: se la NewCo va trattata come un esperimento, con incognite, piena di ipotesi da testare, è chiaro il criterio di valutazione del Ceo della NewCo: non sui risultati finanziari a breve, ma sull’apprendimento a risolvere incognite, e a monte, sulla realizzazione dell’intero processo di testare le ipotesi.