Il business si fa sempre più social

L’edizione 2011 del Social Business Forum  ha registrato un notevole incremento della penetrazione delle applicazioni social nelle imprese, soprattutto multinazionali. Che diventano più trasparenti, coinvolgenti, agili

Pubblicato il 20 Set 2011

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Salire sulle spalle dei giganti per interpretare il presente, questa la strada scelta da Rosario Sica (a sinistra), partner e co-fondatore di Open Knowledge ed Emanuele Scotti (a destra), fondatore e Ceo della stessa azienda, in apertura della quarta edizione del Forum dedicato alle applicazioni web 2.0 nelle aziende.

I processi collaborativi stanno cambiando radicalmente il modo in cui i mercati funzionano e il modo in cui le aziende creano valore. Occorre, oggi, maggior velocità di decisione, maggior reattività; è necessario recuperare efficienza e competitività. Come si può farlo, liberando creatività e intelligenza, messi a disposizione dalla Rete, superando i vincoli delle burocrazie e le vischiosità organizzative?
Con umiltà, per rispondere a queste domande, Scotti e Sica si fanno aiutare da giganti del pensiero, Gregory Bateson e Paul Watzlavick della Scuola di Palo Alto, filosofi e sociologi come Paul Feyerabend, Humberto Maturana e Francisco Varela, e poi tanti altri, sino a Rita Levi Montalcini e Italo Calvino. Informatici, filosofi, sociologi, scienziati, economisti, scrittori, patrimonio dell’umanità, a segnalare che nulla è completamente nuovo e per essere innovativi è importante salvaguardare il meglio della tradizione, “mettere nello zainetto il sapere che ci determina”.

La conferenza
Dunque un evento consolidato, 1.400 iscritti e 800 persone stabilmente insediate nelle sale del Marriott a Milano: 4 anni fa, nell’aula magna dell’Università dell’Insubria, a

Varese, eravamo poco più di 150. Molti degli speaker di allora sono tornati regolarmente: Laurence Lock Lee (a sinitra), esperto di knowledge management e intellectual capital e partner di Optimice, Luis Suarez (a destra), Community Builder & Social Computing Evangelist di Ibm, Norman Lewis (a sinitra, sotto), Chief Innovation Officer di OpenKnowledge, o si sono aggiunti per strada, come Samir Patel (a destra, sotto), Founding Partner di Sovos Group.

Molti gli sponsor, anche tecnologici, ma a differenza di altre convention, anche questi hanno affrontato temi orizzontali, di scenario, come nel caso di Andrew Gilboy, vice president Enterprise 2.0 Oracle Emea, o sono “embedded” in un caso utente, come la piattaforma Telligent comparsa in una slide della strategia sulle community di Dell.

Come è cambiato il mercato
È cambiato molto il contesto in cui si muovono oggi le imprese. La velocità delle trasformazioni indotte dalla globalizzazione induce tensioni nelle organizzazioni, sia quelle che operano sui mercati internazionali sia quelle che occupano nicchie nel mercato nazionale. Questa fetta ampia del tessuto economico del Paese, non protetta da monopoli e semimonopoli pubblici e privati, “come accade ancora troppo nei servizi, nelle industrie a rete, nelle professioni” (dal Corriere della sera del 3 luglio), deve imparare a rispondere rapidamente al cambiamento.
“Deve essere tutta l’azienda a rispondere”, afferma Sica,”e il modo migliore per farlo solleva domande che nei contesti organizzativi ci si comincia a porre con insistenza”. La Rete ha cominciato a fornire strumenti che mutano il contesto competitivo, spostano i rapporti di forza sui mercati, incidono sui comportamenti organizzativi. I social media si sono imposti con prepotenza prima sul lato consumer, per poi contaminare i sistemi aziendali. Intercettando gli effetti della globalizzazione, mettono in discussione la struttura tradizionale del business e delle organizzazioni, i silos, e aggrediscono alla base la struttura dei sistemi informativi tradizionali.
La previsione di Sica è che i prossimi tre anni, dal 2012 al 2014, saranno caratterizzati dall’integrazione delle applicazioni social nei sistemi legacy.

Social Business: Engage the Customer
Il social business è spinto da fenomeni esterni e interni all’azienda. Il modo con cui i consumatori si orientano per fare le loro scelte sul mercato è profondamente mutato; è in crescita esponenziale il numero dei consumatori che cercano informazioni sulle aziende e sui loro prodotti in rete. In uno studio Nielsen dello scorso anno si affermava che il 70% degli utenti ha più fiducia nelle opinioni su prodotti espresse da altri utenti in rete che verso la pubblicità tradizionale (solo il 14%). È in crescita esponenziale il numero dei consumatori che cercano informazioni sulle aziende e sui loro prodotti in rete.
Il successo straripante di Facebook (700 miloni di utenti registrati) ha convinto un numero crescente di aziende ad aprire fan pages sulla piattaforma. Ma il modo in cui si comunica sui social network va completamente ripensato rispetto alla comunicazione sui media tradizionali. Sui siti social l’attività più importante è l’ascolto e il marketing aziendale si inventa modalità sempre nuove per interagire con l’utente, richiederne suggerimenti, stimoli. “Engage the customer” è diventato l’imperativo categorico, e non farlo o non tenerne sufficientemente in considerazione le opinioni può avere effetti sgradevoli. Lo sa bene Ferrero, che aveva impostato la campagna promozionale di Nutella, uno dei suoi prodotti di maggior successo, sul tema del benessere. Lo spot che da mesi gira in Tv ha come testimonial il cuoco della Nazionale di calcio. Ma l’idilliaco messaggio aziendale è stato “travolto” da un video postato su You Tube (diventato in brevissimo tempo uno dei più cliccati con oltre 1 milione e mezzo di contatti) dove un ragazzino paffutello, il piccolo Lucio, si vanta di mangiare tutti i cibi che fanno inorridire le mamme attente all’alimentazione e afferma che, fra tutti, predilige la… Nutella.

L'azienda collaborativa
Se il cliente ha acquisito centralità sul mercato, nelle aziende si sta imponendo il modello collaborativo. Specie in quelle con sedi distribuite, anche a livello internazionale. Suarez (Ibm) ha sottolineato i mutamenti di contesto e organizzativi.
Sul piano sociale sono profondi i mutamenti nel modo di relazionarsi, di lavorare e di approcciare i mercati. Le aziende tendono a perdere il controllo sul brand a scapito dei clienti; lo sviluppo dei prodotti è più rapido e a costi in via di decrescita; è difficile aumentare l’efficacia e la produttività degli addetti. L’utilizzo di applicazioni social da parte dei lavoratori se da un lato pone problemi di sicurezza e governance alle organizzazioni, dall’altro è in grado di creare relazioni solide: agevola la creatività e consente un giusto mix tra informazioni e talento per individuare nuove direzioni; rafforza la capacità di partecipazione delle persone agli obiettivi di business; supporta l’ubiquità, liberando dalla schiavitù della scrivania fissa. L’organizzazione che ne deriva è più trasparente, coinvolgente, agile, in grado di creare valore per il cliente.
L’impatto che si determina sul business è notevole. Innanzitutto consente di coinvolgere attivamente i clienti, che diventano i primi difensori della reputazione del brand, la comunicazione poi si avvale della multicanalità: non solo i blog, ma anche You Tube, Twitter e, in modo crescente, Facebook.
Lo sviluppo dei prodotti non solo viene velocizzato, diminuendo in modo deciso i tempi di risposta al mercato, ma si generano idee dirompenti e innovative che creano discontinuità. In un contesto di competizione aggressiva sui costi da parte dei Paesi emergenti, non è un dato secondario.
La collaborazione accentuata all’interno dell’organizzazione, con la condivisione delle conoscenze, unita alla creazione di reti di competenze strutturate, migliora la governance e la capacità di produrre soluzioni efficaci.
L’impatto sull’organizzazione è importante, poiché si creano reti di relazioni più o meno strutturate: i team diventano più fluidi e tendono a inglobare partner, fornitori e clienti. Le competenze interne all’organizzazione hanno modo di emergere e di consolidarsi, creando percorsi di carriera più trasparenti.
Nelle aziende che sposano con più convinzione l’approccio social si creano due importanti strutture: le comunità di pratica e le community. Le prime tendono ad aggregare addetti che svolgono il medesimo ruolo in azienda (venditori, manutentori ecc.) e, come accade sempre più spesso nell’amministrazione federale Usa, si estendono anche a simili in organizzazioni esterne.
Le community hanno la medesima caratteristica, cioè una focalizzazione comune, ma non necessariamente una contiguità di ruoli. Rispetto alle prime sono più ampie ed elastiche, e travalicano spesso il perimetro aziendale. Vista dall’alto, l’azienda si trasforma da arcipelago, con al centro l’headquarter circondato da satelliti, a struttura accentrante alcune realtà periferiche. L’evoluzione della specie è quella che Suarez definisce Impresa Sociale Integrata in cui i confini tra le entità organizzative e geografiche scompaiono e si sovrappongono e accavallano tra loro.

Un percorso di crescita governato
Quello delineato da Suarez è un itinerario che presuppone grande attenzione e governance centralizzata: la sponsorizzazione della direzione è d’obbligo perché l’ingresso di approcci social non può essere lasciato all’improvvisazione. Si cambiano abitudini, si incide sui ruoli e sui processi.
Lo ha ben raccontato Bill Johnston, director of Global Community di Dell, che a cominciare dalla propria funzione chiarisce il suo mandato, descrivendo un percorso iniziato nel 2006, su impulso diretto di Michael Dell, sviluppatosi successivamente con una serie di azioni accuratamente preparate e monitorate. Dalla storia dei social media in Dell alcune lezioni meritano di essere qui riassunte:
l’approccio è stato graduale ed è partito dall’interno valorizzando le competenze e facendo emergere le reti ad esse collegate, sino a creare una community Dell;
il processo è stato seguito da corsi di formazione interni, ricalcando il modello aperto ed esperienziale dei barcamp, “nonconferenze” gestite come conversazioni;
l’utilizzo e la diffusione dei social media non solo è stato monitorato, ma anche incentivato;
lo sbocco del lavoro interno è stato aprire le community alla Rete, innescando processi di scambio – e soprattutto di ascolto – con e verso i clienti
i risultati ci sono, e sono misurabili.

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