Si parla molto di Design Thinking (che successivamente sintetizzeremo con DT) come approccio per gestire l’innovazione, ma forse non se ne sa abbastanza. ZeroUno ha affrontato questo tema in occasione del lancio del primo Osservatorio Design Thinking della School of Management del Politecnico di Milano e ora intende approfondirlo seguendo il percorso tracciato da successivi webinar dell’Osservatorio stesso.
In questo articolo sintetizzeremo cosa sia il DT, perché sia rilevante, come le organizzazione possano trarne vantaggio, con l’aiuto di Roberto Verganti, professore di Leadership e Innovation presso School of Management del Politecnico di Milano e membro dello scientific commitee dell’Osservatorio.
Design Thinking, come definirlo
Il DT può essere definito, in modo semplificato, attraverso gli strumenti che lo caratterizzano, suddivisi in tre categorie, utili per:
- avvicinarsi al cliente, ad esempio quelli etnografici (per definire il contesto d’uso) o le tecniche di empatia (per mettersi nei panni del cliente e sperimentare il customer journey)
- favorire la creatività e generare idee, grazie, ad esempio a tecniche di brain storming, mappe mentali,…
- sperimentare rapidamente le idee attraverso la realizzazione di prototipi, grazie a strumenti come minimum viable product, fast prototyping,…
“Tuttavia ridurre il DT all’elenco dei tool che lo caratterizzano è limitante; è invece molto più efficace comprenderne il mind set e la prospettiva”, precisa Verganti.
Si tratta di ribaltare il classico triangolo, tipico delle business school, che pone nel vertice in alto il business e alla base people e technology, a indicare come l’obiettivo dell’impresa sia l’uso dell’innovazione per creare business value a favore degli stakeholder, grazie a prodotti che soddisfino i bisogni delle persone attraverso l’uso delle tecnologie. L’approccio DT, ponendo invece nel vertice in alto people, ribalta questa prospettiva. “Partiamo dai sogni e dai problemi delle persone e creiamo prodotti che li soddisfino. Se ci riusciremo lo sviluppo del business ne sarà la naturale conseguenza”, spiega Verganti.
Questo diverso approccio assegna al termine design un significato nuovo, evidenziato del teorico del design Klaus Krippendorf che riporta il termine all’etimologia latina “de-signare”, far sì che qualcosa si distingua attraverso un segno, dandogli un significato.
Un esempio lampante, portato da Verganti, viene da un settore non particolarmente tecnologico come quello delle candele. Il confronto fra due aziende statunitensi riesce a spiegare il boom di questo mercato in un’epoca in cui le candele non servono più per l’obiettivo originario, l’illuminazione. Mentre Price’s Candles, azienda fondata nel 1830, è fallita, Yankee Candle è diventata leader grazie alla capacità di attribuire alle candele un nuovo senso che interpreta l’esigenza dei potenziali clienti di rendere la casa accogliente. L’evoluzione dalla classica candela verso un vasetto di vetro con una carta che lo circonda e impedisce di fatto di vedere la fiamma, è il risultato di una trasformazione radicale dell’oggetto che non serve per illuminare, ma per creare ambienti accoglienti e atmosfere profumate, con etichette che evocano i diversi aromi.
Design Thinking, perché è rilevante
Un esempio in un settore tecnologico viene invece dal confronto fra Nokia e Apple. Nel 2007, anno di lancio dell’iPhone, Nokia, con un miliardo di utenti, aveva messo in campo tutte le tecnologie disponibili per realizzare l’obiettivo dichiarato: “connecting people”. Ma non è bastato per salvarla dalla rovina causata dalla capacità di Apple di attribuire un nuovo senso al telefono: in occasione della presentazione del nuovo prodotto, Steve Jobs lo definisce infatti come “your life in your pocket”, assegnando alla comunicazione tradizionale (messaggistica e telefonate) un ruolo secondario. “Dal punto di vista della telefonia, le soluzioni Apple erano sicuramente peggiori di quelle Nokia – commenta Verganti – Apple ha però avuto la capacità di utilizzare tecnologie esistenti impacchettandole in modo nuovo per la ricerca di un nuovo senso”.
Oggi, ancor più che nel 2007, è molto facile avere accesso alle tecnologie grazie alla globalizzazione; molto più difficile è invece selezionare quelle utili per fare innovazione creando nuovo senso per le persone. “Fra tutti gli approcci all’innovazione, il DT è quello più efficace per cercare il senso”, aggiunge, precisando che il DT non è uno strumento solo per designer. Infatti, a differenza del passato quando tutte le attività di innovazione erano concentrate nel dipartimento R&D, oggi, grazie alla digitalizzazione, la ricerca di senso coinvolge tutte le aree aziendali, poiché tutte partecipano alla creazione di valore.
Come beneficiare del Design Thinking
Il DT è uno strumento da utilizzare in modo differente sulla base dell’obiettivo: partire da un problema per migliorare la soluzione o cambiare la direzione?
“In un mondo pieno di idee è difficile vedere quella giusta non perché sia buio, ma perché c’è troppa luce – spiega Veganti – Il DT è uno strumento molto potente per trovare fra le tante le idee quelle che abbiano senso per le persone e che aiutino il business a cambiare direzione”.
La ricerca di senso non si limita ai potenziali clienti, ma serve anche per le persone all’interno dell’impresa. Molte analisi, come un recente articolo di HBR e una ricerca del World Economic Forum sulle aspettative dei Millennial rispetto al lavoro, indicano questa necessità, confermata anche da una survey condotta nel 2016 in collaborazione con JobPricing su un campione di 3.700 lavoratori italiani. Nella scelta di un lavoro, il significato (meaning) viene al secondo posto (dopo la retribuzione) e addirittura al primo per gli executive.
Il DT, per la sua la capacità di cogliere il senso, dunque può diventare per i manager uno strumento fondamentale non solo per l’innovazione ma anche per l’engagement delle proprie persone.
Il prossimo articolo entrerà nel dettaglio delle diverse tipologie di Design Thinking, indicando le abilità, le competenze e le attitudini necessarie.