Il convegno è stato, significativamente, aperto dall’intervento di Luca Attias, successore di Diego Piacentini alla guida del Team per la trasformazione digitale e chiuso da quello di Teresa Alvaro, da agosto DG di AgID, interventi che forniscono una proiezione dell’impegno in continuità con quanto fatto negli ultimi anni.
È stata la miglior risposta all’invito di Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, di non ripartire da zero ma dare credito al lavoro di AgID, del Team e di molte amministrazioni virtuose. “Ci sono un quadro di riferimento e risultati concreti non irrilevanti. Cosa c’è da fare è chiaro, serve il come”, ha sottolineato, invitando a garantire continuità nella governance.
L’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, da parte sua, ha contribuito a fornire una visione del posizionamento dell’Italia complementare a quella fornita dal DESI (Digital Economy and Society Index) sia attraverso un’analisi regionale sia con l’utilizzo di nuovi indici, Digital Maturity Index, per superare alcuni limiti del DESI, che indica l’attuazione dell’Agenda Digitale nei paesi dell’Unione europea.
Indice degli argomenti
Lo stato di attuazione dell’Agenda Digitale
Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, parte dal posizionamento dell’Italia al quartultimo posto secondo il DESI, sulla base di dati che risalgono a metà del 2017. L’Italia si colloca sotto la media europea e presenta prestazioni inferiori non solo rispetto ai paesi del Nord Europa ma anche rispetto a paesi confrontabili per dimensione ed economia come Regno Unito, Spagna e Germania nelle 5 aree di riferimento. L’Italia si distacca soprattutto per capitale umano e uso di Internet, mentre è più vicino alla media europea per integrazione digitale delle imprese (con performance superiori alla media per scambio di informazioni elettroniche e Rfid, mentre risultano sotto la media le vendite online delle PMI) e i servizi pubblici digitali. In questo campo è superiore alla media (87% contro l’84% europeo) per completezza di servizi pubblici digitali mentre è inferiore nel campo degli utenti dell’eGov (solo il 30% ha usa i servizi digitali per relazionarsi alla PA) (figura 1).
Brutte notizie anche nel campo delle dinamiche di evoluzione del posizionamento rispetto agli altri paesi nel confronto con il precedente score: siamo rimasti nella stessa posizione, quando non peggiorati, come nella connettività e nel capitale umano.
“Anche gli altri paesi stanno investendo e il gap aumenta – commenta Gastaldi, ricordando il contributo dell’Osservatorio che articola il DESI a livello regionale – La variabilità fra le regioni evidenzia un accentuato ritardo fra Nord e Sud, ma anche le regioni con migliore performance nelle singole categorie a livello italiano hanno in ogni caso un posizionamento al di sotto della media europea” (figure 2 e 3).
I Digital Maturity Indexes (DMI) rappresentano un ulteriore contributo dell’Osservatorio per superare alcuni limiti del DESI come: la completezza degli indicatori (mancano indicazioni relative a R&S sulle tecnologie digitali e ad altri ambiti come la sicurezza informatica delle imprese); l’aggiornamento dei dati (le competenze digitali sono aggiornate al 2015/2016, mancano indicazioni sui laureati STEM); non c’è distinzione fra fattori abilitanti e risultati ottenuti.
DMI è un framework che prevede 120 indicatori, inclusi i 34 del DESI, raggruppati per infrastrutture, PA, Cittadini, Imprese, con due sotto aree (fattori abilitanti e risultati ottenuti). Applicato ai 28 Paesi colloca l’Italia in 22-esima posizione con un punteggio di 52,5 su 100, contro la media europea di 61,6. Tuttavia, si evidenziano alcuni progressi grazie agli sforzi degli ultimi anni, dopo un lungo periodo di mancati investimenti in innovazione digitale (figura 4).
Lo switch-off di servizi pubblici: i benefici potenziali e i passi da compiere
Il posizionamento dell’Italia, basato su dati 2017, non rende ragione degli sforzi fatti e dei risultati conseguiti da cui ripartire per recuperare i ritardi.
Oggi 1200 Comuni hanno completato la migrazione all’ANPR – Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (14 milioni di cittadini coinvolti), sono stati rilasciati 6 milioni di carte di identità elettroniche (10% della popolazione), lo SPID – Sistema Pubblico di Identità Digitale ha erogato 3 milioni di identità, sono partite 100 milioni di fatture elettroniche verso la PA, 14mila enti hanno attivato pagoPA.
“Un decimo dei Comuni ha completato la digitalizzazione dei servizi e due decimi contano di farlo entro fine anno – sottolinea Michele Benedetti, Direttore dell’Osservatorio – Da parte delle amministrazioni c’è volontà di migliorare nonostante l’assenza di obblighi”. Come le analisi dell’Osservatorio evidenziano, lo switch-off consente di migliorare i servizi e conseguire risparmi, secondo una stima dei benefici a partire da pagoPa, su refezione, rifiuti e multe, per quanto riguarda il personale e il non utilizzo della carta, della stampa, della notifica (figura 5).
“Nonostante un nuovo approccio da parte dei Comuni che stanno superando la visione dei servizi on line quale mero adempimento, serve un cambio di passo – ha sottolineato Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, che ha suggerito – Servono chiarezza, coordinamento e strategia. Deve cambiare la governance: l’attuale organizzazione dei Comuni non è adeguata per garantire la digitalizzazione diffusa. Servono soggetti aggregatori e si dovrebbe fare riferimento alle best practices che vanno portate a standard”.
Va in questa direzione la messa a punto di un vademecum (realizzato dall’Osservatorio) per un efficace switch-off dei servizi in 12 regole da osservare prima, durante e dopo il processo di transizione, realizzato a partire da alcuni casi di successo. I risultati sono presentati e aggiornati su forum.italia.it.
La domanda e l’offerta di innovazione digitale in ambito pubblico
Un’ulteriore criticità è rappresentata dall’incontro fra domanda e offerta digitale in ambito pubblico.
Il mercato della PA italiana con 5,5 miliardi rappresenta l’8% del totale ICT, con una spesa pro-capite di 85 euro, circa un quarto di quella del Regno Unito, due volte e mezzo meno della Germania e due volte meno della Francia (figura 6).
Dei 100mila fornitori italiani di soluzioni digitali solo 15mila lavorano con la PA, con una grande concentrazione della spesa in un numero ristretto: 13 fornitori coprono il fabbisogno informatico del 75% dei Comuni. Lo scarso numero dei fornitori, che rimanda alla difficoltà di accesso ai sistemi di acquisto e di qualificazione dell’offerta, è indice di una ridotta competizione che può incidere sulla qualità dell’offerta e della domanda
È questo un importante punto di attenzione e richiede una riflessione approfondita che proporremo in un prossimo articolo anche alla luce di quanto è emerso dal dibattito nel corso del convegno.
Per concludere con una nota di ottimismo richiamiamo quanto sostenuto nel suo intervento da Alvaro che si è ripromessa di lavorare per accelerare l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana: “Accelerare senza frenare chi va più veloce e guardare lontano”.