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Cosa fanno i CIO italiani per accelerare la trasformazione digitale di impresa

Cloud, Analytics, AI, blockchain e altre tecnologie stanno cambiando le relazioni e i processi con le LOB perché sempre più l’IT diventa parte integrante del business aziendale. In questo articolo riportiamo una serie di interviste effettuate nelle scorse settimane ad alcuni CIO e digital officer di grandi aziende italiane per capire i loro percorsi di trasformazione tecnologica che si ribaltano direttamente su cambiamenti di carattere organizzativo e culturale dell’intera azienda e del suo modo di sviluppare il business

Pubblicato il 01 Mar 2019

cosa fanno CIO e IT transformation manager, tante testimonianze

L’IT aziendale ha assunto ruolo diverso dal passato e, complice la digitalizzazione dei business, diventa parte attiva nel fornire competenze e idee per gestire i nuovi progetti aziendali. Un ruolo quale l’IT transformation manager, già riconosciuto in alcune realtà, meno in altre dove l’organizzazione è più rigida o segmentata per differenti business, con conseguenti difficoltà nel diventare azienda data driven, che poi significa market e customer driven. L’uso del cloud, sempre più esteso e necessario per ottenere velocità e flessibilità nell’erogazione dei servizi informatici, si scontra con le difficoltà di orchestrare in ottica multicloud, ibrida le componenti tecnologiche in gioco. D’altra parte l’introduzione del cloud sollecita l’evoluzione delle applicazioni e l’acquisizione di nuove competenze per mantenere il governo dell’IT, conservare capacità di scelta e controllo nei riguardi dei fornitori. Alle grandi aziende non mancano occasioni per sperimentare sul campo le tecnologie più avanzate per la gestione dei servizi IT e l’analisi dei dati, dall’AI alla blockchain per citare quelle più d’avanguardia, e per trovare le migliori applicazioni in funzione del livello di maturità delle tecnologie stesse, spesso più basso di quanto atteso. Più che in passato, l’IT ha oggi un ruolo importante nel filtraggio e nell’applicazione delle tecnologie che risultano davvero abilitanti per i nuovi business, come confermano le testimonianze che qui riportiamo.

Le sfide per l’IT con il passaggio al cloud

I servizi cloud si stanno imponendo come essenziali per l’innovazione dell’IT, sia per risolvere problemi di reattività alle richieste del business sia per fruire di tecnologie allo stato dell’arte, nel campo del software, dell’AI e dell’elaborazione distribuita.

“Impieghiamo il cloud per svariate elaborazioni massive, di AI, machine learning e per l’archiviazione dati di lungo termine – spiega Dario Castello, CIO e Mopar ICT Global Lead FCA Magneti Marelli – dove preferiamo non acquisire hardware prediligendo il pay per use. Il cloud pubblico ci dà alcuni servizi in modo veloce, affidabile e a basso costo rispetto alla replica in locale e ci consente di avvalerci delle specializzazioni tecnologiche dei vari provider, per esempio nell’analisi su big data, nelle interfacce conversazionali e machine learning; ma per fruirne serve avere un’IT losely coupled tra front-end e back-end. Il CIO deve inoltre avere la capacità di orchestrare soluzioni e piattaforme, mantenendo il controllo degli obiettivi di business aziendali”.

Per sfruttare al meglio i servizi cloud serve poter avere la libertà nel decidere dove collocare dati e workload. “Per questo occorre un’architettura ibrida e multicloud – spiega Dario Pagani, executive VP & CIO di ENI – Bisogna investire su architetture software defined e sistemi di orchestrazione con cui spostare facilmente i workload tra on premise, cloud pubblico e privato. Il cloud ci è utile per l’edge computing, ossia per mettere l’intelligenza IT vicino alle nostre installazioni e siti industriali sparsi nel mondo. Purtroppo ancora oggi manca un sistema supervisor di classe enterprise capace di riunire il governo delle differenti risorse IT in ambienti complessi come il nostro”.

Sia pure con limiti di maturità, il cloud ibrido è la soluzione d’elezione per le aziende che devono conciliare l’operatività di applicazioni innovative e legacy. “Per le nuove applicazioni non ho dubbi che si debba prendere in considerazione anche l’opzione cloud rispetto a quella on-premise – spiega Roberto Burlo, CEO di Generali Shared Services -; con quelle tradizionali serve viceversa valutare caso per caso la portabilità “as-is” rispetto agli eventuali investimenti applicativi necessari a rendere il trasferimento conveniente. Per questo stiamo introducendo sistemi iperconvergenti nei nostri data center e rivisitando la nostra architettura IT in ottica ibrida e multicloud”.

Il cloud ibrido è la scelta anche di Stefano Tomasini, direttore centrale Inail: “Lo stiamo introducendo nell’ambito delle nostre funzioni istituzionali attraverso la reingegnerizzazione a microservizi delle applicazioni. È una scelta che abbiamo fatto anche in considerazione della nostra candidatura a Polo Strategico Nazionale. Nel piano triennale Agid 2017-19 è prevista la costituzione dei Poli Strategici Nazionali, quali soggetti in grado di accompagnare le amministrazioni pubbliche nel percorso di ripensamento e digitalizzazione dei servizi della PA. Per gli sviluppi applicativi attuali e futuri, pertanto, puntiamo su architetture a microservizi in cloud, sia pubblico che privato”.

Focus nell’integrazione tra cloud pubblico e sistemi tradizionali anche per Enel che ha preso a livello di vertice la decisione strategica di passare tutto il sistema informativo sul cloud AWS di Amazon. “La cloud transformation che si concluderà il 31 marzo 2019 ci porterà ad essere 100% su infrastruttura cloud”, spiega Carlo Bozzoli, CIO di Enel. Un impegno importante a cui l’IT sta lavorando da circa tre anni. “Sul tema della digital disruption, in linea con la filosofia Open Power di Enel, abbiamo adottato un approccio open innovation: mentre in passato c’era una Direzione R&D tradizionale, oggi contiamo su un vasto insieme di risorse che provengono dalla rete, dal mondo accademico, centri ricerca, startup e altri innovatori”. L’Open Power è l’indirizzo strategico adottato da Enel che coinvolge tutti i processi industriali e le iniziative commerciali di Enel e che l’apertura delle sue infrastrutture a diversi utilizzi, perseguendo modalità di fare business aperte e trasparenti.

L’impiego ottimale di AI, machine learning e blockchain

Le nuove tecnologie informatiche aiutano ad accrescere il valore dell’IT, migliorare il contatto con i clienti finali e a individuare nuovi business. Aiutano anche a risolvere molti dei problemi interni di gestione dell’IT, migliorando il livello di automazione e sicurezza.

“Guardiamo con molto interesse alle evoluzioni nelle capacità di self healing dell’IT e nelle capacità di auto-configurazione e auto-protezione in caso di attacchi cyber– spiega Alessandro Campanini, Group CIO di Mediobanca. Impiegheremo machine learning e chatbot nelle relazioni con i clienti e per il supporto di primo livello del service desk, mentre la blockchain renderà più efficienti alcuni processi. La nostra Banca sta partecipando con ABI a un progetto d’impiego di questa tecnologia per la riconciliazione dei conti interbancari”.

Vede opportunità d’impiego dell’AI nel geomarketing e nel miglioramento del servizio ai clienti Milo Gusmeroli, Vice Direttore della Banca Popolare di Sondrio: “Ci può aiutare a capire dov’è meglio collocare un bancomat, ma anche ad analizzare il tempo che intercorre tra le transazioni o quello passato dal cliente in filiale per migliorare i servizi”. Anche Banca Popolare di Sondrio sta sperimentando la blockchain, “per la notarizzazione dei consensi in campo assicurativo, che è già in produzione nei nostri sistemi – prosegue il manager -. Altre applicazioni possibili riguardano gli smart contract, la tracciabilità degli eseguiti e molto altro. In sede ABI collaboriamo a un progetto per la spunta dei conti interbancari”.

Le nuove tecnologie per l’analisi su grandi moli di dati hanno valenza trasversale nel business di grandi aziende. È il caso di ENI che le impiega negli ambiti più diversi, che vanno dal servizio di car sharing cittadino Enjoy, alla ricerca dei giacimenti nel sottosuolo fino al trading dell’energia. “Abbiamo installata la più grande capacità di calcolo supercomputer in Italia in ambito aziendale [due sistemi con potenza totale di 22,4 Petaflop e storage per 15 Petabyte di dati, ndr] – spiega Pagani –. Questo non significa che oggi riusciamo a sfruttare i dati nell’intera catena del valore aziendale, ma ci stiamo lavorando. A oggi, AI e machine learning ci consentono di fare image recognition e predictive maintenance dandoci l’opportunità di supportare le persone nel prendere decisioni, predire guasti, individuare giacimenti, capire il livello di esposizione al rischio degli operai e a ridurre i rischi finanziari”.

L’applicazione mirata delle capacità analitiche ha un forte potenziale in aziende manifatturiere come Prysmian (produzione di cavi elettrici e ottici). “Mi sono speso personalmente per l’introduzione del concetto di process mining per l’analisi dei dati interni derivati dai processi operativi ERP – spiega Stefano Brandinali, Chief Digital Officer di Prysmian -. Con strumenti specifici [come Celonis e Myinvenio ndr] è possibile disegnare e visualizzare i processi a partire dalle transazioni, quindi avere informazioni chiave su tempi di attraversamento e volumi in gioco, limitando lo scarto di materie prime pregiate. Oggi stiamo esplorando questa opportunità per l’applicazione ai processi d’acquisto a livello internazionale”.

L’analisi dati supportata dall’AI aiuta anche a conoscere meglio i consumatori di prodotti e servizi.

“Comunque, garantendo l’anonimità dei mittenti, oggi è possibile avere un’indicazione di gradimento dei programmi tv, valorizzando il ’sentiment‘ delle singole trasmissioni – spiega Massimo Rosso, ICT Director di RAI, che prosegue: “Attribuendo infatti ai singoli Tweet correlabili all’offerta televisiva 4 classi di polarità (Neutro, Positivo, Negativo, Misto) e una classe di non polarità, ciascuna arricchita con una misura di ’confidenza‘, possiamo ottenere una misura di audience, non statistica, perché direttamente espressa da telespettatori reali. Per ottenere tale risultato è stato necessario approfondire il dominio in esame da diversi punti di vista (tecnico, semantico, linguistico…) e consolidare un modello poi implementato tramite una opposita rete neurale in cloud. L’esperienza maturata ci porta a dire che ad oggi, in questi ambiti, l’Intelligenza Artificiale, frutto di percorsi di concettualizzazioni derivanti da esperienze e conoscenze umane, è molto Artificiale (capace cioè di agire pedissequamente ma con elevati standard di efficienza) e poco Intelligente (visto il rilevante apporto umano necessario alla definizione degli algoritmi sottostanti)” precisa Rosso.

È più critico sull’impiego dell’AI Roberto Tundo, Chief Information and Technology Officer di Alitalia. “L’AI è ancora immatura, più propriamente dovremmo parlare di intelligenza aumentata – spiega il manager -. Strumenti di machine learning possono essere utili in contesti come l’IT, caratterizzati dal passaggio da operation manuali ad automatiche. Usare componenti intelligenti risolve problemi puntuali, permette di concentrare l’attenzione delle persone su casi singoli dove gli automatismi, da soli, rischierebbero di far danni”.

Anche Tomasini è cauto circa l’utilizzo dell’AI: “È sicuramente utile in tema di sicurezza, ma in altri campi non credo che gli strumenti oggi disponibili abbiano la maturità necessaria, anche per mancanza di competenze adeguate e in grado di fare un percorso di un’introduzione/integrazione consapevole e governato”. Tomasini cita un’applicazione interessante nell’ambito dell’emissione dei pareri, un’attività istituzionale importante per l’Ente anti-infortunistico: “Abbiamo alimentato un sistema di machine learning con i pareri emessi dagli esperti nell’ultimo decennio. Con questa base di conoscenza il sistema è ora in grado di supportare efficacemente il professionista nella predisposizione di un nuovo parere, disponendo dell’intero bagaglio di conoscenze proveniente dai pareri formulati nel passato. Altre sperimentazioni dell’AI sono in corso e ne attendiamo i risultati”.

Contribuire con l’IT allo sviluppo dei business

La digitalizzazione dei business coinvolge l’IT non solo come centro servizi a supporto delle attività d’impresa, ma come parte attiva nella creazione dei nuovi prodotti/servizi per i consumatori: “La componente digitale è sempre più presente nei nostri prodotti – spiega Francesco Pezzutto, CIO di Vimar -. Domotica, videocitofonia su IP, prodotti connessi in rete sono abilitanti nuovi servizi a valore. Come IT mettiamo le nostre competenze a disposizione dei diversi reparti aziendali: dal business a chi si occupa di ricerca, sviluppo e innovazione di prodotto. Lo stesso vale nei progetti di smart manufacturing per l’industria 4.0 dove siamo in dirittura d’arrivo con la fabbrica digitale. Sono funzionali a questi scopi le competenze delle persone sui metodi Agile e DevOps, mondo Java, analytics e big data che ci siamo impegnati a sviluppare”.

Le decisioni aziendali, per produrre nuovo business, hanno bisogno di conoscenza. “Usare bene i dati non è semplice, non per mancanza, ma perché ce ne sono troppi – afferma Castello -. Serve poter sfruttare tutte le informazioni, a partire dai dati ERP, per avere riferimenti affidabili. L’IT contribuisce oggi a migliorare le capacità di produzione, pianificazione e qualità attraverso l’interconnessione dei sistemi di fabbrica e l’analisi dei dati. Stiamo dando il nostro contributo anche alle soluzioni innovative di guida autonoma, lavorando sui fronti dell’integrazione delle informazioni a bordo dei veicoli con quelle esterne e della cybersecurity”.

L’impegno dell’IT per la razionalizzazione di dati e applicazioni ha risultati che vanno oltre il risparmio di licenze e sistemi: “Avere piattaforme standardizzate a livello globale aiuta il business a parlare un’unica lingua – spiega Brandinali -, aiuta a integrare velocemente le nuove aziende acquisite e ad aumentare l’efficienza dei processi. Dati univoci permettono di confrontare l’efficienza degli stabilimenti [Prysmian ne ha 112 nel mondo, ndr], implementare best practice, creare portali di servizi ai clienti per dare valore aggiunto”

Anche il settore assicurativo non può fare a meno del contributo attivo dell’IT per lo sviluppo di nuovo business: “Abbiamo oggi sotto la nostra gestione dati che arrivano dai clienti – spiega Burlo –, prodotti da sistemi IoT, dalle blackbox montate a bordo dei veicoli, dalla domotica… Per l’analisi c’è un team dedicato di data scientist impegnati a ricavare i profili di rischio, i feedback dei clienti, i suggerimenti per ridurre le esposizioni. Tutto questo è reso possibile dall’impegno dell’IT nell’integrazione dei dati”.

Per Gabriele Raineri, Chief Information & Digital Officer di Engie Italia, l’IT può oggi fare molto per favorire le ottimizzazioni d’impiego degli asset e creare nuove opportunità di business facilitando la connessione tra business unit differenti (Engie ne ha quattro: B2C, B2B, PA e Infrastrutture energetiche): “Nel nostro settore conta l’ecosistema che viene creato sul territorio, quindi la capacità di presidiarlo lavorando su più fronti con le pubbliche amministrazioni, con le aziende e con i privati cittadini – spiega il manager -. Ad esempio nuove opportunità incrociano chi gestisce le reti di teleriscaldamento, chi presidia i nuovi business (colonnine di ricarica per auto elettriche) oppure chi si occupa di forniture di energia. La funzione IT, con la sua trasversalità, può facilitare la creazione di queste relazioni più di chi si occupa delle singole attività di core business”.

White Paper - Digital Integration Hub: portare i dati al centro per accelerare lo sviluppo di nuovi servizi digitali

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