“Le piattaforme digitali stanno disintermediando i brand e, nella cosiddetta ‘era del consumatore’, le società incumbent sono quelle che fanno più fatica a seguire strategie mobile first o digital first per il customer engagement”. Va dritto al punto, Walter Faioni, Account Director di Forrester Research in Italia, incontrando alcuni manager e top executive di aziende italiane riuniti a Milano in occasione della visita di Michelle Beeson, analista specializzata su mercato Retail e strategie dei Brand, e Reineke Reitsma, analista senior di Forrester.
“I Business Technology leader devono compiere azioni importanti per contrastare le forze esterne – prosegue Faioni – e la capacità di capire e interpretare il mercato diventa una competenza chiave, quella da cui dipende la differenziazione competitiva delle aziende”.
Oggi il consumatore ha assunto un forte potere e per i brand riuscire ad instaurare una relazione stabile, fidelizzata, con i propri clienti e ad ingaggiare correttamente gli utenti diventano sfide prioritarie che devono però essere affrontate in modo nuovo.
Nel suo intervento Faioni parla di cinque imperativi per i retailer:
1) generare revenue attraverso la customer experience;
2) differenziarsi attraverso strategie e piani digital first;
3) costruire una organizzazione customer driven guidata da dati, informazioni, insights;
4) far diventare il “marketing che guarda al consumatore” una vera e propria “ossesione di business”;
5) fare leva sulle tecnologie e riscoprire il valore dell’IT.
Digital experience, asticella sempre più alta
Oggi i consumatori sono agnostici rispetto ai canali di contatto e relazione con un brand, “nel senso che non gli importa qual è il mezzo con il quale comunicano con un’azienda, passando dal punto fisico all’assistente virtuale via app con molta rapidità e facilità”, esordisce Michelle Beeson che avvalora la tesi esposta con alcuni dati emersi da una recente indagine targata Forrester [Forrester Analytics Consumer Technographics European Online Benchmark Survey (Part 1), 2019 – ndr]: “i consumatori non distinguono più l’ingaggio fisico da quello digitale. Il 62% degli adulti che in UK naviga online ritiene che i retailer debbano fornire negli store fisici una visibilità real-time dell’inventario disponibile online, questo perché al consumatore non importa più dove e come acquistare”.
Non solo, sempre stando ai dati della ricerca condotta all’inizio di quest’anno, il 55% dei francesi (adulti che navigano in rete) ricorre ai social media per avere supporto sull’utilizzo dei prodotti acquistati oppure per chiedere particolari servizi. “In Europa, nel settore Retail, il 45% delle vendite avviene ancora offline”, dice Beeson citando i dati di un’altra indagine [Forrester Data Digital Influenced Retail Sales Forecast 2017 to 2022 – ndr], “ma l’influenza avviene online, specialmente via mobile, con un’incidenza forte sulle vendite offline”.
Se la digital experience è ciò su cui hanno puntato molto i retailer negli ultimi anni, oggi la sfida principale è data dal customer engagement: “ogni volta che un consumatore viene esposto ad una migliorata digital experience, le sue aspettative si alzano anche nei confronti dell’esperienza fisica e i retailer devono ogni volta alzare l’asticella delle proprie sfide ed obiettivi”, dice senza mezzi termini l’analista Beeson.
Nuovi business model per i retailer
Il fatto che anche l’industria del Retail, come molti altri business, debba evolvere in chiave digitale è ormai decisamente assodato, “ma è la tecnologia stessa che sta alimentando ed accelerando questa trasformazione”, osserva Beeson. “Non si tratta più solo di vendere ma di innescare una innovazione digitale che guardi sia al consumatore (digital experience) sia all’organizzazione interna (digital operations). Whistles, per esempio, è un brand che non solo ha capito l’importanza di unificare online ed offline ma ha anche trovato il modo di valorizzare al meglio gli store fisici (l’azienda usa i negozi come magazzini “periferici” e parte della supply chain più estesa) facendo convergere digital operations e digital experience”.
Nella visione dell’analista inglese, lo spazio fisico deve intendersi come “contesto”, non più come negozio/store ma come contesto dove si può influenzare, intrattenere, ingaggiare l’utente, da un lato, e come contesto di business, parte dell’organizzazione estesa, dall’altro.
“Un altro interessante esempio a mio avviso viene dal brand Sephora che ha saputo costruire mix di esperienze digitali e fisiche facendo accurate analisi sui profili dei consumatori: da queste ultime, il brand costruisce esperienze personalizzate e definisce il touch point ideal con il quale ingaggiare le persone in base alle loro esigenze, preferenze, abitudini (non in base alle necessità aziendali ma in base a quelle dei clienti)”, spiega Beeson.
Partendo da questi esempi l’analista di Forrester entra poi nel merito dei pilastri su cui dovrebbero fondarsi i nuovi business model dei retailer:
1) customer experience da modellare attraverso accurate analisi di dati dai quali poter estrarre la conoscenza necessaria (in particolare la profilazione degli utenti) per ingaggiare gli utenti al momento giusto, con il contenuto, il prodotto o il servizio adeguato e le modalità più in linea con le loro abitudini;
2) sistemi e processi unificati, coordinati e gestiti come un tutt’uno all’interno dell’organizzazione, soprattutto quando si tratta di inventario/magazzino e ordini;
3) abilitare ingaggio e relazioni in store attraverso servizi e canali digitali e definire metriche chiare per valutare e misurare le performance.
Le aspettative degli utenti guidano i percorsi di digital innovation
A spiegare l’urgenza di avviare percorsi di digital innovation nel Retail è Reineke Reitsma che esordisce dicendo in modo semplice e chiaro che “di fronte a comportamenti, abitudini ed aspettative profondamente cambiati in un solo decennio, l’unica via per continuare ad essere percepiti come brand di valore (che genera un valore per l’utente) è innovare”.
“Internet ha modificato il nostro modo di usare il cervello quando cerchiamo informazioni e questo ha inciso sul nostro modo di fare acquisti e relazionarci con i brand – prosegue Reitsma -. Basta guardare le analisi e le previsioni che ne derivano: secondo i nostri studi, specifici per l’Italia, nei prossimi cinque anni ci sarà un’impennata degli acquisti online. L’Italia ha già fatto registrare la crescita più significativa di acquisti online negli ultimi tre anni, ma attenzione, la maggior parte degli acquisti è ‘out of Italy’ cioè su brand e retailer che non stanno in Italia”.
In uno scenario simile, la sfida più critica è “capire cosa vogliono e come si comportano i consumatori e proporre prodotti e servizi che rispondano ai loro bisogni e aspettative”, commenta Reitsma. “I brand devono iniziare a porre massima attenzione sui servizi, assicurarsi che i propri siti siano ‘mobile-friendly’, offrire alle persone la possibilità di fare acquisti e ritiri merce in modalità mista, mixando canali digital e fisici senza soluzioni di continuità, abilitare servizi di customer care innovativi sfruttando le tecnologie più avanzate (come chatbot e virtual assistant)… senza mai dimenticare che la vera disruption riguarda i consumatori, non i canali di contatto ed ingaggio”.
Secondo quanto riportato da Reitsma, sono proprio le aspettative delle persone a dover guidare la digital innovation dei retailer, un percorso che, secondo gli analisti di Forrester, dovrebbe tener conto di tre aspetti:
1) convenienza (da leggersi non nella sua accezione monetaria ma come sinonimo di comodità); “bisogna ridurre lo stress per il consumatore, anticipare i suoi bisogni”, dice Reitsma facendo un esempio molto esaustivo: le persone vogliono programmare il delivery service; non è sufficiente sapere che il corriere arriverà tra le 16 e le 18, vogliono programmare l’arrivo alle 17.45!
2) qualità, non da intendersi come qualità del prodotto o di un servizio ma da prendere in considerazione come obiettivo più ampio che tenga conto della “connessione”, cioè della qualità della relazione che lega un brand ai propri clienti (una relazione che si esplica in modalità differenti, con canali e media diversificati, in momenti diversi e per bisogni eterogeni);
3) fiducia, che va letta come trasparenza, empatia, capacità propositiva. “La fiducia delle persone verso un brand si costruisce sempre più anche attraverso la responsabilità sociale delle aziende”, sottolinea Reitsma in chiusura. “Le persone acquistano da brand nei quali ritrovano certi valori e/o appoggiano e riconoscono impegni sociali affini ai propri”.