Open source e mission critical: un’abbinata su cui si può scommettere

Il country manager di Red Hat, Gianni Anguilletti, spiega i punti di forza delle tecnologie sviluppate da una vasta comunità di sviluppatori professionisti, le esigenze attuali delle aziende enterprise per gli ambienti più critici e di come una realtà come quella che dirige in Italia riesce a soddisfarle

Pubblicato il 19 Apr 2012

Sono ormai vent’anni che Red Hat simboleggia il matrimonio fra modello di sviluppo software open source e sistemi informativi mission e business critical aziendali. Il connubio fra l’innovazione, le prestazioni e l’affidabilità delle applicazioni a sorgente libero e i servizi di selezione, ingegnerizzazione, pacchettizzazione e supporto professionale di una realtà come Red Hat convince sempre più medie e grandi organizzazioni di diversi settori a introdurre l’open source nei propri ambienti, anche critici. I motivi ce li spiega Gianni Anguilletti (nella foto), country manager del vendor in Italia.

“Lo sviluppo open source – afferma Anguilletti – si basa su una community di oltre centomila persone in tutto il mondo. A differenza di quanto qualcuno potrebbe ancora pensare, il 95% di questi sviluppatori non sono personaggi come gli hacker, ma professionisti a libro paga di qualche vendor. Vendor che sempre più spesso credono, così come i loro clienti, nella validità di questo modello di sviluppo del codice. Nonostante ciò, gli sviluppatori open source non sono condizionabili dal punto di vista economico-commerciale e aderiscono a un codice deontologico in base al quale il frutto del loro lavoro può essere liberamente utilizzato, modificato e distribuito. La conseguenza di questo approccio è una continua innovazione”.

Le aziende non hanno subito accettato di inserire l’open source tra le tecnologie business critical. “Il processo di maturazione di questo modello – continua Anguilletti – si è svolto in tre fasi. La prima è stata quella del concepimento di queste tecnologie, il più noto dei quali è stato quello del sistema operativo Linux da parte del mitico Linus Torvald. La seconda fase è stata quella dell’implementazione in ambito sperimentale e accademico. La terza è quella dell’azione nel contesto mission critical, dove si evidenziano esigenze di continuità operativa, innovazione e sostenibilità economica. Oggi le aziende si ritrovano nella necessità di dover fare più con meno. Lo sviluppo collaborativo dell’open source garantisce prodotti di grande innovazione e a costi contenuti. Nel momento in cui le aziende desiderano anche servizi e tecnologie di contorno ai software open source, ecco che entra in campo Red Hat”.

Quali sono le principali operazioni che Red Hat svolge rispetto al prodotto della community?
“A intervalli regolari – risponde il country manager italiano – i nostri ingegneri verificano se nella comunità esistono nuovi sviluppi che possono interessare le aziende di fascia enterprise. Una volta individuate, le testano per verificarne il funzionamento su una vasta gamma di piattaforme. Il distillato di questi processi entra a far parte di una nuova distribuzione a corredo della quale forniamo tutta la documentazione necessaria e i servizi che si rivelano di straordinaria importanza nel caso di implementazioni in ambienti mission-critical. Red Hat, va sottolineato, garantisce l’impegno a tenere ‘viva’ ogni distribuzione per 10 anni”.

Qual è l’obiettivo di questa scelta? “Le aziende installano sulle tecnologie open source delle applicazioni business-critical. Se le tecnologie open source che forniamo noi, che costituiscono lo zoccolo duro dei sistemi – come il sistema operativo e il middleware – funzionano bene, le aziende preferiscono concentrarsi sull’innovazione delle funzionalità degli applicativi e non dover mettere mano agli stack sottostanti. Noi, ad ogni modo, ci impegniamo a continuare ad offrire supporto ai software open installati con la nostra distribuzione e a far sì che continui a essere operativo anche sulle nuove piattaforme che interessano i clienti”.

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