Vita da CIO

Fiducia, accountability e ascolto: le cifre di Dario Pagani (Eni)

“È importante quello che costruisci, il patrimonio, non semplicemente economico ma di valori, che lasci”, per Dario Pagani, Executive Vice President & CIO di Eni, impostare le relazioni su fiducia, accountability e ascolto è fondamentale a tutti i livelli: con e tra i collaboratori della Direzione ICT, ma anche con il business e i fornitori

Pubblicato il 15 Ott 2019

ritratto Dario Pagani

Una carriera professionale che si è sviluppata interamente all’interno di Eni, ma costruita su tanti “mestieri” differenti, sia ICT sia di business, e con un unico comun denominatore: la condivisione dei principi etici aziendali. Ed è su questi valori che Dario Pagani, Executive Vice President & CIO di Eni, ha impostato il proprio stile di management dove ai suoi collaboratori chiede di essere curiosi, generosi, disponibili all’ascolto, ma soprattutto dove i concetti di fiducia e accountability sono basilari nelle relazioni interne ed esterne alla Direzione ICT.

Sposato, con due figli ormai indipendenti (uno ingegnere e l’altro chirurgo), è orgoglioso nonno di un nipote undicenne che il top manager afferma essere spesso fonte di ispirazione, proprio per la capacità dei ragazzi di rompere gli schemi e ragionare in modo non convenzionale. Appassionato di calcio, ama viaggiare e, nel tempo libero, di artigianato, o come lo chiameremmo oggi del maker, “avere a che fare con le cose da officina”, come lui stesso dice, un’attrazione maturata da ragazzo.

Dario Pagani Eni calcio
Dario Pagani e la passione calcistica: nel 2010 a Madrid per la famosa finale del triplette dell’Inter

La sua idea di innovazione? Non un singolo progetto o l’introduzione sporadica di nuove tecnologie, ma un percorso che accompagna la trasformazione di un’azienda

ZeroUno: La sua è stata una carriera professionale che si è svolta interamente in Eni, perché non ha mai sentito il bisogno di cambiare azienda?

Dario Pagani: Prima di tutto per un grande senso di appartenenza. L’Eni è una realtà particolare nel panorama industriale italiano che si ispira a principi e valori che condivido e quindi mi ci sono sempre trovato a mio agio. È la mia seconda casa. Ma contemporaneamente, date le sue dimensioni e grazie proprio a quei principi che valorizzano il personale interno, offre grandi opportunità e, di fatto, pur rimanendo nella stessa azienda, in questi 37 anni ho fatto lavori molto diversi tra loro quindi non ho mai sentito l’esigenza di lasciare la mia azienda

Relazione risk reward con i fornitori…nel 1997

ZeroUno: Ci può raccontare i passaggi più importanti della sua carriera?

Dario Pagani: Ho iniziato a lavorare subito dopo il diploma. Ma mi è sempre piaciuto studiare, informarmi, approfondire anche argomenti non strettamente connessi alla mia attività; per questo, quando successivamente ne ho avuto la possibilità, ho preferito conseguire una laurea in Scienze Economiche a una facoltà tecnologica. Dopo avere lavorato qualche anno in una società di ingegneria sono entrato in Eni: era il 1982 e di lì a poco ci sarebbe stata una grande evoluzione in Eni: l’arrivo di Franco Bernabé, la trasformazione da ente pubblico a società per azioni, la quotazione alla Borsa italiana e al New York Stock Exchange.

Negli anni ’90 c’è un grande fermento anche nei sistemi informativi: seguo diversi progetti in Italia, ma poi mi appassiono all’estero, dalla Norvegia alla Libia, prima lavorando sui sistemi custom e poi sull’implementazione dell’ERP. Un’esperienza veramente entusiasmante fu quando l’azienda decise di implementare SAP R/3 in Egitto, una country per Eni molto importante. Bisogna ricordare che il modus operandi di Eni all’estero è sempre stato quello voluto da Enrico Mattei: non operiamo con nostre società, ma in joint venture con le national companies; abbiamo una particolare attenzione alla sostenibilità nella relazione con il paese dove operiamo, che poi è quello che ci consente di rimanervi a lungo.

Nel caso specifico per me questo ha significato frequentare l’Egitto per quasi tre anni perché si trattava di una grande installazione e portare un sistema di questo tipo voleva dire portare una cultura diversa, in termini di ottimizzazione. revisione dei processi e controllo di gestione, con un grande trasferimento di know how per rendere la società italo-egiziana autonoma e grandi investimenti.

ZeroUno: Una impostazione che richiede anche una relazione diversa da quella alla quale in quegli anni si era abituati ad avere con i fornitori…

Dario Pagani: Esatto, allora non era molto comune parlare di partnership cliente-fornitore e noi abbiamo deciso di mutuare l’esperienza dal business portando il concetto di risk reward nella relazione con i partner selezionati, IBM e Acccenture. L’investimento era ingente e il progetto poteva considerarsi rischioso anche proprio per la diversa mentalità, la differente cultura dei soggetti coinvolti. E invece fu un successo e potemmo anche distribuire dei reward perché mantenemmo i tempi e fummo in grado di mettere il personale egiziano nelle condizioni di utilizzare integralmente il nuovo sistema. Stiamo parlando degli anni 1997 – 2000 in cui il tema del coinvolgimento del fornitore in modo proattivo anche sul risultato finale non era molto comune.

37 anni in Eni, ma cambiando spesso “mestiere”

ZeroUno: Erano gli anni di Enidata, la società del Gruppo che si occupava in pratica dei sistemi informativi aziendali…

Dario Pagani: Si e io mi ero trasferito in Enidata occupandomi di temi di cui allora non si era ben compresa la portata e la cui strategicità è oggi riconosciuta. E questo è un esempio di quello che dicevo prima. È vero che, se lo si guarda dall’esterno, ho trascorso tutta la mia vita lavorativa all’interno di Eni, ma se si entra più in profondità si vede che, in realtà, mi sono occupato di tante attività molto diverse tra loro, molte delle quali, come vedremo, direttamente sul versante del business. Ed è proprio anche grazie a questa conoscenza diretta dei processi di business, dell’azienda in tutti i suoi aspetti e valori che oggi posso interpretare in un modo più efficace il ruolo che ricopro.

Dario Pagani Eni
“First Born Technician second Born Digital….A life within the energy sector and I’m not tired yet”

Ma torniamo alla nostra breve cronistoria. Terminata l’esperienza egiziana, torno in EniData per occuparmi della business unit Engineering Construction Upstream [l’Upstream è l’insieme dei processi da cui ha origine l’attività di esplorazione e produzione di gas naturale, olio combustibile e petrolio ndr]. In quegli anni, l’approccio di Eni era quello di portare all’esterno le attività considerate non core, l’IT non lo era e quindi si esternalizzarono le infrastrutture con una gara vinta da EDS. Inizialmente era stato deciso di portare all’esterno anche lo sviluppo applicativo, ma fortunatamente l’azienda ritornò sui suoi passi e decise di mantenere questa attività all’interno perché maturò la consapevolezza che, in questo modo, ci sarebbe stata una pericolosa perdita di conoscenza che avrebbe anche messo a rischio gli sviluppi futuri. Una decisione lungimirante in un periodo in cui la tendenza era opposta. Era il 2005 e venne creata la Direzione ICT in Eni per cui io torno ai sistemi informativi, assumendo ruoli diversi per poi creare l’area ICT Strategy & Governance e, nel 2015, essere nominato all’incarico attuale.

ZeroUno: Una storia, la sua, che influisce sicuramente nella modalità di gestione dei collaboratori e nelle relazioni con il business…

Dario Pagani: Io mi definisco un prodotto interno lordo di Eni, azienda dove la crescita interna è molto importante e la condivisione dei valori aziendali è particolarmente sentita. Quindi, ci sono sicuramente incontri strutturati, staff meeting con i miei 12 primi riporti; momenti collegiali molto importanti non solo per me, ma soprattutto per i miei stessi collaboratori che possono così confrontarsi al di fuori della quotidianità operativa. Ma poi è molto importante anche l’informalità: ci conosciamo tutti, non solo all’interno della direzione, ma anche con i referenti delle varie business unit e quindi la relazione è sicuramente più semplice.

Ma quello che per me è decisamente rilevante è che ritengo che un manager abbia il dovere di creare un ambiente, un clima in cui si possa lavorare bene, in armonia, sentirsi parte di un disegno. Quando ho assunto questo ruolo ci ho tenuto molto a basare la nostra attività, oltre che ovviamente su aspetti ingegneristici, informatici ecc., sul discorso valoriale: i risultati sono importanti, ma dobbiamo raggiungerli basandoci su criteri di sostenibilità, creando valore, valorizzando competenze e non allontanandole. Sono temi importanti, per questo abbiamo definito 14 “statement” [che fanno bella mostra all’ingresso degli uffici della Direzione ICT ndr] che rappresentano altrettanti valori in base ai quali conduciamo la nostra attività quotidiana.

L’importanza dei valori condivisi

ZeroUno: E cosa chiede alle persone che lavorano con lei?

Dario Pagani: Devono essere curiose, a volte le idee migliori nascono nel modo più inaspettato e poi essere curiosi, osservare ti aiuta spesso a vedere le cose da un punto di vista diverso e puoi trovare ispirazioni là dove meno te lo aspetti. Mio nipote che ha quasi 11 anni, per esempio, spesso mi fa vedere le cose da un punto di vista che non avrei mai considerato, rompendo gli schemi e adottando approcci non convenzionali.

Dario Pagani Eni famiglia
Dario Pagani con la moglie, i due figli e il nipote, fonte di ispirazione

Un’altra cosa che chiedo ai miei è di essere generosi. Se si è generosi nel cedere e nel ricevere poi in qualche modo ti ritorna indietro, per questo voglio che ciascuno di noi, insieme alla propria agenda personale, abbia anche un’agenda collettiva per scambiare esperienze, informazioni ecc. Tutto questo crea valore, aumenta il valore delle risorse che l’azienda ti ha temporaneamente assegnato. Vengo da una famiglia di operai con una vista che si potrebbe definire più patrimoniale che da conto economico: è importante quello che costruisci, il patrimonio, non semplicemente economico ma di valori, che lasci.

Un altro elemento che metto al centro è quello dell’ascolto, del lasciare spazio. Quando c’è da prendere una decisione ovviamente va presa, ma è indispensabile ascoltare gli altri perché non è detto che quello che noi pensiamo, ritenendolo in buona fede magari la miglior scelta possibile per la persona in questione, sia quello che effettivamente questa persona desidera. Non sostituirsi all’altro. E questo è quello che io chiedo anche ai miei collaboratori.

E poi ci sono due concetti per me fondamentali, la fiducia e l’accountability, e questo riguarda tutti i tipi di relazione: con i collaboratori, con il business, con i fornitori. Costruire la fiducia non è un percorso facile anche perché lo stile di management precedente era più conflittuale, più orientato alla sfida; certamente quello della sfida è un tema importante, ma se è estremizzato finisce con il demotivare le persone. Per questo l’altro tema strettamente correlato a tutti questi è la cultura dell’errore: nel passato l’errore era vissuto da noi un po’ come un lutto, ma con questa impostazione rischia di fare poca sperimentazione e uccidere l’innovazione; se tutte le frecce che tiro devono fare centro è chiaro che tirerò poche frecce, solo quelle che ho la certezza possano colpire il centro del bersaglio. Questo però rischia di far perdere opportunità e, soprattutto, si rischia un po’ l’omologazione: ampliando il discorso, ritengo sia meglio essere originali e sbagliare con le proprie idee piuttosto che allinearsi alle mode anche perché, quasi sempre, un’innovazione non è che una disobbedienza andata a buon fine.

L’innovazione non è un POC…è un percorso…anche etico

ZeroUno: Oggi la cultura dell’errore è considerata molto importare per innescare processi di innovazione. Qual è la sua idea di innovazione?

Dario Pagani: Prima di tutto l’innovazione per noi non ha senso se non è applicata, ogni nuova tecnologia deve trovare una messa a terra importante. Il settore dell’energy sta affrontando un periodo di grande trasformazione per orientarsi verso una transizione energetica sostenibile. Per me l’innovazione è far parte di questa transizione: sfruttamento delle risorse in modo più sostenibile; non riconcorrere il record della produzione ma quello della produzione più sostenibile; sostenere l’economia circolare, ma anche non vedere questa transizione solo con gli occhi nel nostro “ricco e grasso” mondo occidentale; coniugare questa transizione con le esigenze dei paesi emergenti o che non sono ancora emersi.

E se questa è la nostra cifra come Eni, oltre che mia personale, vuol dire che la tecnologia mi offre tante opportunità per sostenere questa transizione: per esempio muovere meno materiali (stampa 3D), sviluppare processi più efficienti e sicuri (blockchain), monitorare la sicurezza degli impianti in modo più efficace (IOT, droni), applicare l’intelligenza artificiale per fare cose che noi esseri umani non siamo in grado di fare.

L’innovazione non è fare un POC, è un percorso che accompagna la trasformazione di un’azienda. E non è un percorso rapido, che si può fare in pochi mesi, bisogna perseguirla sempre, nella quotidianità così come nelle visioni strategiche di lungo periodo: bisogna formare le persone, attivare diversi meccanismi, anche etici, per raggiungere un obiettivo così complesso.

Dario Pagani Eni
Dario Pagani, Executive Vice President & CIO di Eni

ZeroUno: Sta introducendo un tema, quello dell’etica nelle tecnologie, sul quale si inizia a dibattere seriamente…

Dario Pagani: È importante che si rifletta su questi temi, è qualcosa che non possiamo più ignorare e al nostro interno cerchiamo di affrontare l’innovazione anche da questo punto di vista. Il discorso è molto ampio e l’Europa ha iniziato a lavorarci seriamente con le Linee guida emesse quest’anno, ma deve essere affrontato con maggiore impegno. A me preoccupano molto, da un lato, la superficialità diffusa, la mancanza di riconoscimento delle competenze, l’idea che navigando in lungo e in largo su Internet si possa diventare esperti di tutto; dall’altro, la mancanza di consapevolezza e di attenzione: i temi della privacy, del diritto all’oblio, dell’impatto sulla nostra vita tanto per fare un esempio, non sono banali.

ZeroUno: Ritornando al tema delle relazioni, le vorrei chiedere qual è il suo rapporto con i fornitori.

Dario Pagani: Ci sono alcuni vendor che è anacronistico trattare da fornitori perché rappresentano una scelta strategica importante ed è impensabile che un’organizzazione estesa come la mia (siamo più di 1.000 nell’ICT) funzioni senza un coinvolgimento dei fornitori. È chiaro che con queste realtà è indispensabile impostare un rapporto di partnership basato sulla consapevolezza che per noi è, appunto, una scelta strategica. Non si tratta di co-sviluppo perché quando parliamo di grandi vendor internazionali questo è un po’ illusorio, ma sicuramente di un percorso da compiere insieme.

E in questa relazione è importante il feedback, noi diamo molti feedback ai fornitori sia a quelli strategici sia a quelli più tattici.

Quello che sicuramente non ci interessa è una gara al ribasso nei prezzi; perché quello che vogliamo è la qualità e se un prezzo è troppo basso o la qualità è minore oppure non sono soddisfatti quei principi etici (in termini di correttezza, sicurezza ecc.) che, come Eni, per noi sono irrinunciabili.

Il problema che abbiamo in Italia è che purtroppo i vendor raramente hanno centri di eccellenza nel nostro paese e quindi, in alcuni ambiti più avanzati, siamo obbligati a confrontarci con il network internazionale. Per noi non è un problema, ma questa situazione mi preoccupa a livello di sistema paese.

ritratto Dario Pagani
Ritratto di Dario Pagani – Illustrazione di Elisa Vignati

Il bello di entrare in contatto con culture diverse

ZeroUno: Come sempre faccio, vorrei chiudere questa intervista chiedendole i due momenti della sua carriera che potrebbe definire il più gratificante e il più difficile

Dario Pagani: I momenti meno entusiasmanti li ricordo come momenti in cui mi annoio e allora cerco subito altro da fare; per questo pur rimanendo in Eni ho cambiato tanti “mestieri”. Il momento più difficile è stato invece quando, con l’arrivo di un management dall’esterno, è cambiata un po’ la cultura mettendo in discussione i nostri valori aziendali, il senso di appartenenza erano considerati più come un elemento di freno che come un valore. È stata in ogni caso un’esperienza che mi ha arricchito, ma certamente non era un’impostazione nella quale mi trovassi a mio agio.

Per quanto riguarda il momento più gratificante, sicuramente lo è stato toccare un traguardo nella carriera professionale che sinceramente non avrei immaginato di poter raggiungere: io sono molto critico con me stesso e ho sempre dato importanza al ruolo, per cui il fatto che mi sia stata riconosciuta la capacità di ricoprirlo è stato sicuramente gratificante. Ma di momenti belli ne ho avuti tanti: sicuramente quando ho avuto l’opportunità di confrontarmi con culture diverse, aprirmi a contesti sconosciuti, per questo ricordo con grande piacere l’esperienza in Egitto.

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