Continua a crescere in modo sostenuto il mercato cloud in Italia: 2,77 miliardi di euro rispetto ai 2,34 miliardi rilevati dall’Osservatorio Cloud Transformation 2018 (+18%). È il primo dato, a conferma di un trend di fruizione dei servizi IT e delle applicazioni as a service ormai inarrestabile anche nel nostro paese, che emerge dai dati dell’Osservatorio Cloud Transformation 2019 della School of Management del Politecnico di Milano presentati oggi a Milano e sui quali ZeroUno ha potuto intervistare in anteprima Mariano Corso e Stefano Mainetti, Responsabili Scientifici, e Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio.
Gli ingredienti mancanti per una vera cloud transformation
Ma se il modello cloud risulta oggi la scelta preferibile per nuovi progetti digitali nel 31% delle realtà di grandi dimensioni (per l’11% è addirittura l’unica scelta possibile) e nel 54% dei casi rappresenta, nella variante ibrida, la naturale evoluzione dei sistemi informativi (per il 21% l’evoluzione sarà totalmente cloud), permane una situazione a differenti velocità nel percorso di trasformazione abilitato dal cloud.
“La Ricerca di quest’anno dimostra ancora una volta che la tecnologia non basta. Se è vero che il cloud è uno strumento che le aziende devono utilizzare per essere più agili nel rispondere a un mercato sempre più articolato e in costante cambiamento, mancano ancora alcuni ingredienti imprescindibili per innescare una vera cloud transformation”, afferma Corso. Visione strategica, maturità organizzativa, modalità di lavoro e competenze sono i quattro “ingredienti” identificati dal responsabile scientifico per completare il piatto della trasformazione delle aziende.
“Se da un punto di vista tecnologico, il passaggio al cloud sembra ormai avviato (per percentuali di adozione raggiungono l’84% dei casi), la capacità di coglierne pienamente i benefici presenta ancora non poche lacune. A partire dalla visione strategica – sottolinea Corso – ossia la capacità di vedere i benefici a lungo periodo del cloud non solo attraverso la lente del vantaggio economico, che si traduce anche in una limitata maturità organizzativa con una scarsa presenza di centri di competenza dedicati al cloud, ma soprattutto risulta ancora troppo basso l’impatto sulle modalità di lavoro: sebbene l’82% delle imprese abbia compreso che il cloud abilita una maggiore agilità dell’IT aziendale, l’utilizzo di metodologie specifiche che sostengono e amplificano i benefici dell’adozione del modello cloud, come il DevOps, risulta ancora basso. Infine il tema, sempre presente, delle competenze: nel cui ambito il 58% delle organizzazioni dichiara difficoltà di diverso tipo, che vanno dalla capacità di comprendere i profili, a quella di reperirli sul mercato e formarli”.
Il mercato cloud in Italia nel 2019
Come per le ultime edizioni, l’Osservatorio Cloud Transformation 2019 ha scomposto la spesa in due direzioni: da un lato l’utilizzo di servizi esterni di Public & Hybrid Cloud e di Virtual & Hosted Private Cloud, dall’altra la spesa relativa al processo di trasformazione dei sistemi informativi interni per renderli pronti a interagire con la nuvola rappresentata dagli investimenti in Datacenter Automation e Convergenza .
“La dimensione del Public & Hybrid Cloud – spiega Piva – presenta i tassi di crescita più elevati (25%) per un valore complessivo stimato pari a 1,56 miliardi di Euro; è un’accelerazione superiore alla media internazionale, che si attesta al 21%, per un valore del mercato di 153 miliardi di dollari, ed è un trend che non conosce crisi. Buona, anche se meno potente la crescita delle altre componenti: si attesta sui 661 milioni di euro l’area Virtual & Hosted Private Cloud (+11%) e sui 550 milioni quella relativa a Datacenter Automation e Convergenza (+10%)”.
Scomponendo le diverse voci, si confermano le tendenze degli ultimi due anni che vedono un’importanza crescente della spesa in PaaS (+38% rispetto al 2018) che, rispetto a IaaS e SaaS, vede aumentare la propria quota per arrivare al 16% del volume complessivo. Ma quali sono gli ambiti che guidano questo trend? “Le funzionalità di abilitazione all’Artificial Intelligence e ai Big Data Analytics, le architetture di Serverless Computing, i tool di gestione della sicurezza, gli ambienti per la gestione del ciclo di sviluppo software e per l’integrazione”, risponde Piva, che aggiunge: “Tutti elementi che evidenziano il progressivo spostamento dello sviluppo applicativo in PaaS con l’obiettivo di sfruttare ambienti performanti allo stato dell’arte, nei quali sia possibile potenziare quanto sviluppato con componenti sofisticate di Intelligence del dato. E infatti – specifica il direttore dell’Osservatorio – analizzando i dati Iaas, Saas e PaaS in modo trasversale vediamo che emergono due elementi: da un lato, appunto, Intelligence del dato, e dall’altro Edge computing & Orchestration. L’intelligence del dato arriva nel 2019 a rappresentare il 18% del mercato Public & Hybrid Cloud, con una crescita del 33%”.
Ancora più sostenuta la spesa dedicata a Edge computing & Orchestration, ossia i servizi e gli strumenti di interconnessione e gestione dei sistemi distribuiti (trasversale alle diverse categorie cloud), che risulta crescere del 40% rispetto al 2018 arrivando a toccare i 35 milioni di euro.
I percorsi di migrazione al cloud: quale l’approccio delle aziende italiane?
Visto l’andamento del mercato e identificati gli “ingredienti” sui quali le aziende italiane devono ancora lavorare, quale è il loro percorso di migrazione? Ci aiuta a comprendere i trend in atto, Stefano Mainetti: “Nell’affrontare un progetto di migrazione al cloud, deve essere valutata per ogni applicazione la strategia di migrazione più opportuna, in funzione da un lato delle esigenze e degli obiettivi aziendali, e dall’altro dei vincoli progettuali, tecnologici e organizzativi, come i limiti di tempo e budget, le caratteristiche di partenza delle applicazioni da migrare e le competenze presenti all’interno dei team”, premette il Responsabile Scientifico.
Sulla base delle esperienze di migrazione a oggi realizzate a livello nazionale e internazionale, oggi i percorsi di migrazione si classificano secondo quattro strategie di riferimento (figura 1):
- Lift & Shift: migrazione di un’applicazione verso un nuovo ambiente cloud infrastrutturale (IaaS) nel suo stato as is, mantenendone, al netto di piccole modifiche, sostanzialmente invariata la componente software;
- Replatforming: migrazione dell’applicazione, a valle di un suo processo di ottimizzazione, in un nuovo e diverso ambiente di esecuzione nel cloud (PaaS); per consentire l’adattabilità al cloud, si interviene sul system software, il framework di sviluppo e il source code dell’applicazione, mentre viene mantenuta invariata la sua architettura logica;
- Refactoring: parziale o totale riscrittura e riprogettazione cloud-ready dell’applicazione prima della sua migrazione in ambiente cloud (IaaS o PaaS); l’architettura logica e il source code dell’applicazione sono completamente impattate.
- Repurchasing: dismissione dell’applicazione e sostituzione tramite adozione di un nuovo servizio cloud-based. In questo senso, il Repurchasing può essere inteso non come una vera e propria migrazione in cloud di un’applicazione preesistente, bensì come una sua dismissione a favore dell’introduzione di un nuovo servizio SaaS.
“I dati del nostro campione [survey di rilevazione erogata a 199 grandi imprese e un workshop dedicato che ha coinvolto 45 Manager e C-level ndr] evidenziano che la strategia più adottata dalle aziende del campione è quella di Repurchasing (68% delle imprese che hanno migrato almeno un’applicazione) e che tale strategia è stata mediamente utilizzata per il 42% del parco applicativo migrato in cloud”, spiega Mainetti, che aggiunge: “Quello che è emerso dal confronto con le aziende è che questa strategia viene ritenuta adeguata per le applicazioni di supporto, che non hanno impatto diretto sul core business e, soprattutto, che presentano una scarsa integrazione con il resto del sistema informativo”.
Il secondo approccio più utilizzato è quello che si trova all’altro estremo della scala, il Lift & Shift, adottato dal 45% del campione e applicato mediamente al 26% del parco applicativo migrato.
Orchestrazione hybrid cloud e multi cloud:
L’Osservatorio Cloud Transformation 2019 conferma un’altra tendenza in atto da tempo: l’infrastruttura è ibrida e multi cloud. Analizzando i dati della survey del Politecnico si evince infatti che:
- per il 77% delle aziende lo stato attuale del sistema informativo è caratterizzato dalla compresenza di un portafoglio di servizi applicativi in cloud integrati con un insieme di applicazioni aziendali ancora on-premises, ospitate nel proprio datacenter o affidate a un servizio di datacenter in outsourcing di tipo tradizionale;
- il 68% delle imprese utilizza più di un Cloud provider (mediamente 3 provider per azienda), anche se, a oggi, solo il 24% dichiara di gestire in modo sinergico e integrato servizi Public Cloud di più fornitori, applicando logiche e tools di orchestrazione Multi Cloud.
“Ma se la ricetta tecnologica per l’adozione della nuvola è dunque ormai chiara, dove hybrid e multi cloud sono l’obiettivo a cui tendere, permane la percezione di importanti ostacoli per la piena adozione di questa strategia”, afferma Mainetti. I più significativi rilevati dal Politecnico sono: la complessa gestione della sicurezza (51%), la difficoltà di gestione e ottimizzazione dei costi (45%), la mancanza di piena interoperabilità tra le offerte dei grandi Cloud provider (39%), la persistenza dei sistemi legacy (37%) e la perdita di controllo e visibilità sulle risorse (34%).
“Principalmente si tratta quindi di temi legati alla capacità di gestire ambienti così eterogenei e complessi in modo centralizzato, efficace e coerente. Qui – sottolinea il Direttore Scientifico – entra in gioco il tema dell’orchestrazione, ovvero l’utilizzo di strumenti software per il coordinamento dei diversi mondi compresenti all’interno dei sistemi informativi aziendali, l’on-premises, il Private e il Public Cloud. Si tratta di un tema chiave nel rendere l’architettura IT flessibile e dinamica a tal punto da diventare quasi trasparente rispetto all’utente finale, che potrà usufruire di tecnologie pienamente rispondenti alle proprie esigenze, indipendentemente dalle modalità di erogazione sottostanti”.
La Direzione IT tra ecosistema cloud e Digital Factory
Se per Gartner l’IT bimodale (da un lato l’area che si occupa di gestire, manutenere ed evolvere i sistemi tradizionali esistenti, dall’altro il Digital IT, che si occupa dell’introduzione di nuove iniziative di innovazione digitale) era un modello ideale per consentire alle aziende di intraprendere una piena e rapida trasformazione digitale, garantendo nel contempo solidità dell’IT e continuità operativa, in realtà “ci si è trovati con perimetri di lavoro con obiettivi, modalità e tempistiche diverse, che hanno reso spesso queste due aree dell’IT aziendale due controparti: la prima percepita come un centro di costo, lento e rigido, la seconda come un rischio, incerto e mal governato”, spiega Corso che aggiunge però come questa situazione negli ultimi due anni si stia modificando: “Se in passato, come abbiamo visto all’inizio, il cloud è stato prerogativa quasi esclusiva del Digital IT, negli ultimi due anni stiamo assistendo alla nascita di numerosi progetti dedicati a sistemi e applicazioni critiche, tradizionalmente ospitate nel legacy aziendale”.
La maggiore pervasività del cloud nel parco tecnologico dell’impresa può dare una spinta per rompere i silos organizzativi e far viaggiare l’IT a un’unica velocità? “La risposta – afferma il Direttore Scientifico – emerge chiaramente dal confronto con le imprese: il cloud elimina quel vincolo infrastrutturale che limita il perimetro di attività dell’IT tradizionale, mettendo a disposizione tecnologie sofisticate, sempre allo stato dell’arte e predisposte per l’adozione di nuove modalità di lavoro agili. Questo pone una grande sfida per l’IT: cambiare identità, passando dalla gestione tecnico-operativa alla capacità di orchestrare e abilitare il cambiamento e la trasformazione digitale. Percorso che inevitabilmente avvicina le due anime dell’IT, rendendo l’anima Digital depositaria di know how e buone pratiche che oggi più che mai vanno disseminate e replicate in azienda, e mantenendo nelle Legacy Operations il ruolo di custodi dell’evoluzione storica dell’azienda e dei suoi sistemi informativi”.
Analizzando gli interlocutori aziendali coinvolti, le competenze necessarie e le modalità di lavoro, l’Osservatorio ha realizzato un modello che descrive questo cambiamento (figura 2): “La base del modello è l’idea che lavorare in un ecosistema cloud promuova un percorso di trasformazione dell’IT, che lo porta a integrarsi con il resto dell’azienda e a rendersi abilitatore e promotore dell’innovazione digitale: la Digital Factory, dove i team di lavoro che si occupano di generare innovazione digitale lavorano con approccio Agile per essere rapidi ed efficaci, ma, è questo è l’elemento fondamentale, dove gli interlocutori al tavolo sono molteplici e hanno background molto differenti: accanto al Digital IT, che porta le proprie competenze cloud native, e ai Legacy Operations, esperti tecnici di running, troviamo le Architetture, che governano l’evoluzione dei sistemi in relazione agli obiettivi strategici, e il Business, stakeholder chiave e vero owner delle iniziative digitali”.
Figura 2 – Il modello di lavoro e le competenze della Digital Factory. Fonte Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politecnico di Milano
Durante i lavori che hanno portato alla definizione del modello, l’Osservatorio Cloud Transformation 2019 si è focalizzato sull’analisi di quattro aree:
- Cloud Ecosystem: identificazione degli attori con cui si interagisce nell’ecosistema Cloud e del loro ruolo nel supportare l’innovazione digitale;
- Digital IT e Legacy Operations: analisi della doppia velocità dell’IT aziendale e identificazione di possibili nuovi modelli organizzativi, ruoli, competenze e modalità di lavoro;
- Architetture e Governance: identificazione di metodologie e competenze per il governo della tecnologia con il Cloud;
- Soft Skill e relazione con il Business: analisi del cambiamento culturale necessario per gestire il digitale con modalità più agili, favorendo un avvicinamento tra IT e business.
“Il cloud comporta un cambio di paradigma tecnologico, dalla proprietà al servizio, è quindi durante i lavori dell’Osservatorio sono emerse chiaramente centralità ed eterogeneità del concetto di Cloud Ecosystem: da un lato – precisa Corso – l’offerta del Cloud Provider è valorizzata all’interno di un ecosistema digitale, composto da una molteplicità di attori, system integrator, rivenditori, distributori, telco e start-up, a cui si affianca l’importante contributo formativo di università e centri di ricerca. Dall’altro, le aziende della domanda, modificando le logiche di fruizione delle tecnologie, sono spinte a una maggiore contaminazione reciproca e alla creazione di community per lo scambio di valore, anche tra imprese che competono nello stesso settore”.
Ed ecco che torna in gioco la centralità della Direzione IT: “Certo, perché la Direzione IT andrà incontro a un accrescimento e allargamento delle proprie abilità, passando dal ruolo di possessore a quello di orchestratore della tecnologia, in grado di fare brokering dei servizi a disposizione trovando il giusto mix per renderli un differenziale competitivo. Un percorso non semplice, che spesso parte dalla creazione di una dimensione organizzativa della cloud transformation”, conclude Corso chiudendo il cerchio aperto all’inizio di questo articolo e sottolineando, ancora una volta, l’importanza delle dimensioni organizzativa e competenze.