Nel 2019 in Italia il mercato digitale e il mondo ICT diventano più che mai strategici per stimolare l’innovazione in tutti i settori e aree del paese: lo confermano i dati del rapporto Il Digitale in Italia 2019 – Mercati, Dinamiche, Policy, presentato ieri a Milano da Anitec-Assinform, l’Associazione delle imprese dell’ICT aderente a Confindustria, in collaborazione con NetConsulting cube (e con il supporto di: 4.Manager, AlmavivA, DXC Technology, Facebook, Nfon e Philip Morris Italia), nel corso del convegno Digitale per Crescere – Innovazione, Crescita, Trasformazione.
Il primo dato a emergere in maniera lampante è che il mercato digitale italiano, rappresentato da informatica, telecomunicazioni, contenuti digitali ed elettronica di consumo, crescerà con un tasso medio annuo pari al 2,8% nel triennio 2019-2021 (figura 1): tasso medio risultante da incrementi del 2,5% (72.223 milioni di euro) nel 2019, del 2,8% (74.254 milioni di euro) nel 2020, e del 3,1% (76.536 milioni di euro) nel 2021. Questa proiezione conferma del resto un andamento positivo già registrato dal 2018, chiuso in crescita del 2,5% e quarto anno consecutivo di ripresa del mercato.
Da nicchia tecnologica a infrastruttura di competitività
“In questi anni – spiega Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform – sono cambiate non soltanto le cifre del mercato, che oggi supera i 72 miliardi di euro e arriverà a quasi 77 miliardi nel 2021, ma è mutata la sua rilevanza strategica per l’economia italiana: da nicchia tecnologica a infrastruttura essenziale per la competitività di qualsiasi organizzazione: dalle banche, alle industrie; dalle utility, al mondo consumer. Tutti i settori continuano a investire nel digitale e abbracciano la open innovation, dando vita a nuovi mercati”.
Insomma, l’innovazione digitale sta segnando il passo e guidando l’economia di questo decennio: “È sull’innovazione digitale che è stato costruito l’ultimo, e forse l’unico, piano industriale che l’Italia ha avuto, mi riferisco a Impresa 4.0 – sottolinea Gay – che ha generato 10 miliardi d’investimenti privati in un anno, e che, a condizioni costanti, promette di far crescere gli investimenti innovativi in sistemi industriali e sistemi ICT da qui al 2021, a un tasso medio annuo del 15,5%, mantenendo la quota della componente ICT attorno al 56%”. Ed è sempre sull’innovazione digitale che nascono le nuove imprese, e le opportunità di occupazione: “Sono oltre 10.500 le startup innovative che occupano oltre 54mila addetti. Tra il 2015 e il 2018 il numero di imprese ICT è cresciuto da 107mila a 113mila. È sull’innovazione digitale che si crea occupazione netta: in tre anni, gli addetti ICT sono passati da circa 480mila a 512mila”.
Ma la dinamica dell’innovazione digitale, chiarisce Gay, potrebbe diventare ancora più viva rimuovendo alcuni ostacoli: primo fra tutti la disparità territoriale e dimensionale degli investimenti tecnologici (figura 2): nel 2018, circa il 59% degli investimenti ICT è stato espresso dalle grandi imprese, con oltre 250 addetti, contro circa il 19% degli investimenti fatti dalle medie imprese (50-249 addetti), e circa il 22% degli investimenti prodotti dalle piccole imprese (1-49 addetti).
Inoltre, aggiunge Gay, non si può continuare a rimandare la soluzione di due problemi che condizionano le prospettive del settore, e costituiscono materia d’intervento delle istituzioni: questi problemi sono la scarsità delle competenze digitali e un finanziamento pubblico alla ricerca e sviluppo nell’ICT che risulta marginale e non paragonabile a quello dei paesi guida dell’Europa. Sugli skill, nonostante una occupazione in area ICT che segna una crescita annua del 2,4%, il gap tra domanda e offerta di competenze digitali continua ad allargarsi, denunciando la mancanza di circa 12mila laureati del settore. Per quanto riguarda invece la spesa in R&D, che nel settore ICT in Italia negli ultimi dieci anni è stata di circa 2,2 miliardi di euro l’anno, essa risulta per oltre l’80% autofinanziata dalle imprese, per circa il 13% da investimenti esteri nel mondo, e solo per il 6% dal settore pubblico.
PIL e mercato digitale, c’è ancora divergenza
Giancarlo Capitani, presidente di NetConsulting cube, usa alcune evidenze emerse dai dati per fare il punto sul presente e sul “probabile futuro” del digitale in Italia: “Una prima importante evidenza è che, a partire dal 2015, la forbice di crescita tra l’economia, quindi il PIL, e il mercato digitale, si è divaricata in modo significativo (figura 3).
E vi sono due spiegazioni possibili: la prima è che ormai la digitalizzazione di imprese, pubbliche amministrazioni e individui sembra un processo spontaneo, direi quasi indipendente, di trasformazione; di cambiamento del funzionamento dei sistemi economici e sociali. Quindi c’è una sorta di indipendenza rispetto alle condizioni dell’economia”. La seconda, spiegazione, che diventa preoccupazione, dice Capitani, “è che la digitalizzazione non ha ancora generato impatti significativi sulla crescita dell’economia e della produttività all’interno del nostro paese, al contrario di quanto comincia a succedere in modo misurabile in altri paesi avanzati”. E la ragione di questi mancati impatti, aggiunge, è che in Italia alla base della crescita c’è un percorso di digitalizzazione a ‘isole’, a macchia di leopardo: un processo ormai avanzato e in costante e significativa espansione nelle grandi imprese, circa 4mila, che incidono per il 33,7% del mercato, cui si contrappone un ritardo significativo dei quasi 5 milioni di piccole imprese, che invece incidono solo per il 13% sulla spesa totale del comparto.
Tra i pilastri visibili della digitalizzazione, Capitani indica alcuni ‘digital enabler’: primo fra tutti il cloud, che, con un tasso di crescita medio annuo composto (TCMA) del +22%, ne costituisce il baricentro. Ma ve ne sono diversi altri, tra cui IoT (+14,2%) e cybersecurity (13,9%); senza poi contare il ruolo dell’intelligenza artificiale, in crescita a tutti i livelli e, conclude Capitani, uno dei motori più importanti di espansione del comparto, perché cambierà i modelli organizzativi e le strategie di posizionamento delle aziende (figura 4).