Il digitale oggi non è solo uno dei principali elementi di trasformazione delle imprese ma è anche un’opportunità per nuove fonti di revenue, grazie alla creazione di nuovi prodotti e servizi. “Per poter sfruttare le opportunità, l’organizzazione si deve innovare riuscendo a far marciare di pari passo velocità e agilità”, sottolinea Pierre Gousset, Vicepresident Presales EMEA, Workday, fornitore specializzato in applicazioni cloud per l’area Finance e HR, presentando la ricerca Agilità organizzativa: la chiave per guidare la crescita digitale che ha coinvolto circa mille manager di aziende di vari settori, in 9 Paesi fra cui l’Italia [1].
La trasformazione organizzativa segue però tempi diversi da quella digitale, come evidenzia Mariano Corso, docente di organizzazione e leadership alla School of Management del Politecnico di Milano e responsabile scientifico degli Osservatori Digital Innovation, commentando i risultati dell’indagine: “Molte aziende si sentono incapaci di seguire una velocità di cambiamento ben superiore a quella degli individui e delle organizzazioni tradizionali, pensate e costruite per limitare la capacità di divergere e di cambiare”. Il vortice iniziato con i media e l’entertainment è però destinato a travolgere qualunque settore (figura 1).
Quale ritorno della trasformazione digitale delle imprese per il business?
L’indagine Workday ha indagato, fra l’altro, l’impatto sul business degli investimenti: 200 miliardi di euro per la digital transformation spesi lo scorso anno lo scorso anno in Europa, secondo le stime IDC.
Nonostante il 56% dei manager intervistati ritenga che nei prossimi 3 anni più della metà dei ricavi delle loro organizzazioni deriverà dall’innovazione digitale, solo il 25% pensa di aver realizzato un progresso significativo nel creare nuovi prodotti/servizi e un nuovo flusso di ricavi.
“La ricerca evidenzia che il mondo è cambiato negli ultimi 3 anni – sottolinea Gousset – Mentre in precedenza la digital transformation era focalizzata soprattutto sull’ottimizzazione del business e sull’automazione dei processi, oggi ha come obiettivi la creazione di nuovi prodotti/servizi e di nuovi modelli di business, per la creazione di nuove fonti di revenue”.
Tuttavia, i nuovi obiettivi che richiedono una profonda trasformazione organizzativa non sono ancora a portata di mano. Diversi i punti di vista fra i C-level intervistati: mentre i CEO sono i più ottimisti sulla capacità della loro organizzazione di cambiare, i CFO mostrano una certa difficoltà a tenere il passo con un cambiamento costante.
Il 43% degli intervistati ritiene che l’impatto maggiore della digital transformation ricada sul reparto IT, mentre le aziende leader (che rappresentano il 15% degli intervistati) considerano il supporto del Finance alla crescita digitale importante quanto la funzione IT.
“La media del campione considera scarso l’impatto sulle risorse umane; tuttavia i leader che hanno ottenuto notevoli vantaggi in termini di revenue attribuiscono grande importanza alla funzione HR, indispensabile per anticipare le competenze che serviranno per consentire il cambiamento continuo”, commenta Gousset (figura 2).
La trasformazione digitale e la sfida per le organizzazioni
I principali freni alla crescita digitale e alla trasformazione digitale delle imprese vengono considerati la sicurezza informatica, la compliance alle normative e la privacy (42%), i vincoli derivanti dalle tecnologie legacy IT (34%), una mentalità poco orientata al rischio (29%), la mancanza di skill adeguati (28%), la difficoltà di estendere l’innovazione digitale al livello di tutta l’azienda (28%).
“Se non sorprende che le principali preoccupazioni siano sicurezza e compliance, lascia invece sorpresi il cocktail di vincoli che seguono e, in particolare, la mancanza di skill e la cultura avversa al rischio”, sottolinea Gousset, ricordando che le imprese leader si sono distinte nei cinque pilastri dell’agilità organizzativa, di seguito elencati:
- reattività, realizzata tramite la pianificazione continua in tempo reale, indispensabile per adattarsi ai cambiamenti continui;
- adattabilità, ottenuta grazie a strutture e processi fluidi che consentono di redistribuire le risorse sulla base delle competenze richieste;
- skill adeguati, che le aziende con elevate performance ottengono grazie alla riqualificazione continua su larga scala delle proprie persone e grazie alla capacità di anticipare la carenza di skill;
- forza alle persone, per consentire decisioni consapevoli e responsabili, come accade nell’80% delle aziende leader, dove i dipendenti possono accedere alle informazioni e sono responsabilizzati nel prendere decisioni;
- controllo, per misurare l’impatto dell’iniziativa digitale, grazie alla definizione accurata di strumenti e metriche della performance; le aziende leader sono così in grado di correggere i progetti non di successo.
“L’agilità è non solo importante ma è un fatto di sopravvivenza – aggiunge Corso – A fronte del vortice di trasformazione le imprese scoprono che nonostante una strategia corretta, il problema è la capacità di eseguirla, perché si scoprono incapaci di mettere in atto dal punto di vista organizzativo quel cambiamento che pure vedono. La ricerca di Workday ci dice che il percorso verso la digitalizzazione è complesso: richiede un equilibrio fra la visione imprenditoriale e la preparazione dell’organizzazione”.
La trasformazione digitale delle imprese in Italia
Il 53% delle imprese italiane si aspetta che oltre il 50% dei ricavi proverrà dal digitale, in linea con gli altri paesi europei (57% per la Francia, 55% Germania e 53% Regno Unito), l’84% ritiene di avere fatto passi significativi nella trasformazione del proprio business model tanto da ipotizzare che una quota significativa dei ricavi deriverà dai nuovi prodotti e servizi realizzati grazie al digitale, mentre l’88% di dichiara di avere una chiara strategia digitale (figura 3).
“Le nostre imprese sono forse troppo ottimiste ma sono senz’altro consapevoli della sfida digitale – commenta Corso – L’ansia da digital innovation si è diffusa, come conferma anche l’incremento costante del budget dedicato alla digitalizzazione, non solo nella divisione IT ma in ogni direzione aziendale. Tuttavia sulla dimensione organizzativa, ossia il grado di preparazione al cambiamento grazie all’agilità, non siamo allo stesso livello”.
Da una rilevazione sul successo nei progetti di trasformazione, realizzata annualmente dal Politecnico di Milano e Assochange, emerge che oltre il 50% dei progetti fallisce (figura 4).
Le cause vanno ricercate soprattutto nell’inadeguatezza dei sistemi, delle competenze e della cultura, rispetto alle ambizioni di trasformazione digitale. Questa valutazione di Corso è confermata dai dati evidenziati dalla ricerca Workday per le imprese italiane e dal confronto con gli altri Paesi.
La principale barriera alla crescita digitale è considerata dal 49% delle imprese italiane l’area cybersecurity, compliance e privacy, contro il 42% del totale del campione, seguita dalla sfiducia, per il 43%, sull’adeguatezza dei dati disponibili, considerati in gran parte confinati all’interno di team funzionali o comunque obsoleti, mentre il 33% dei manager italiani (in linea con la media) considera un ostacolo, per pianificazione in tempo reale, la rigidità delle infrastrutture tecnologiche.
Più seria, secondo Corso, risulta la barriera costituita dalla mancanza di competenze (33% per gli italiani contro il 28% del totale). Andando nel dettaglio c’è difficoltà, per il 39%, contro il 30% del totale, nella capacità di utilizzare nuovi strumenti e tecnologie e nella flessibilità cognitiva per gestire il cambiamento continuo (33% , contro il 25%).
“In Italia manca quella capacità di flirtare con le tecnologie senza averne paura”, sottolinea Corso, citando la dichiarazione di Stefano Brandinali, CIO di Prysmian, nel suo intervento.
Le principali barriere a una struttura organizzativa più agile sono una cultura organizzativa burocratica (citata dal 39% dei manager italiani contro il 32% del totale e la mancanza di allineamento interfunzionale (25%). “La grande malattia delle organizzazioni tradizionale è una cultura di fondo burocratica, che indica mancanza di leadership”, ribadisce Corso.
Si perde così l’ingrediente fondamentale della trasformazione digitale rappresentato dal coinvolgimento. “Nessun progetto può funzionare se le persone non vengono portate a bordo se non si afferma la cultura del dare e volersi mettere in discussione nell’organizzazione, frutto di engagement”, aggiunge Corso. Dalle ricerche del Politecnico in collaborazione con Assochange emerge una stretta correlazione fra fallimento del progetto e scarso coinvolgimento delle persone mentre un panel Doxa evidenzia la maggiore probabilità engagement per organizzazioni agili (figura 5).
Alcuni suggerimenti per le imprese italiane
Quali insegnamenti possono trarre le imprese italiane dalla ricerca Workday?
“La visione e la consapevolezza della necessità della digital transformation è essenziale, ma si rischia di buttare soldi e tempo se non si agisce per preparare la trasformazione organizzativa dell’azienda”, conclude Corso, fornendo alcuni suggerimenti:
- investire in sistemi in grado di abilitare la condivisione di dati e informazioni;
- sviluppano nuove competenze e investire nel loro aggiornamento continuo, in modo diffuso e democratico;
- favorire la cultura del cambiamento e dell’innovazione attraverso un modello di leadership che punti sull’engagement delle persone su progetti e programmi di cambiamento.