Il cloud in Italia: “Uno scenario da ‘ultima chiamata'”

Esce oggi l’Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano: ne abbiamo parlato in anteprima con Stefano Mainetti, uno dei responsabili scientifici. Le opportunità sono notevoli ma il ritardo dell’Italia è preoccupante.

Pubblicato il 12 Nov 2012

Oggi sarà presentata l’edizione 2012 dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano: un report denso di dati e considerazioni, basato sull’esame di oltre 150 casi italiani di grandi aziende e su un’indagine su 660 Pmi, di cui abbiamo potuto parlare in anteprima con Stefano Mainetti (nella foto), uno dei responsabili scientifici dell’Osservatorio. Cominciando dal dato complessivo di mercato, la spesa in cloud computing in Italia nel 2012 è di 443 milioni di euro, dato in crescita del 25% rispetto al 2011, ma che rappresenta solo il 2,5% della spesa It totale nel nostro Paese. “Il tasso di crescita è allineato con gli altri Paesi avanzati – osserva Mainetti -, ma siamo in ritardo sul rapporto tra spesa cloud e spesa totale It: in molti altri Paesi europei è più alto, e negli Usa è già oltre il 5%”.

Le difficoltà delle Pmi

Scomponendo la spesa cloud, gli investimenti di private cloud rappresentano il 54% e quelli di public cloud il 46%, cioè 203 milioni, di cui 195 spesi dalle grandi aziende (120 in Infrastructure-as-a-service, 65 in Software-as-a-service, 10 in Platform-as-a-service) e 8 dalle Pmi.
Un importante responso è che addirittura il 95% della spesa cloud viene da aziende con oltre 250 addetti. Due terzi di queste imprese stanno già lavorando su servizi cloud (il 56% ne usa almeno uno, l’11% sta facendo progetti pilota) un altro 25% è interessato, e l’8% dichiara di non esserlo. I numeri scendono drasticamente per le aziende sotto i 250 addetti: il 22% ha avviato progetti cloud, l’8% intende introdurli, ma il 60% dichiara di non avere alcun interesse e il 10% non sa cosa sia il cloud computing.

Figura 1 – approcci al cloud di grandi imprese e PMI. Fonte: Politecnico di Milano

“L’Italia ha un enorme numero di Pmi; i benefici, come vedremo, sono dimostrabili, ma il cerchio non si chiude – commenta Mainetti -. Un problema riguarda l’offerta: i grandi vendor sono molto determinati nel proporre le loro soluzioni cloud, che però arrivano alle Pmi solo tramite il canale il quale, abituato a vendere progetti, e quindi a guadagnare da subito, deve passare a un modello con entrate differite e minori per singolo cliente”. Il canale in Italia, continua il docente del Politecnico, ha dalla sua la vicinanza fisica alla Pmi e il rapporto diretto e fiduciario, ma per guadagnare dal cloud dovrebbe ‘cambiar pelle’, in un momento dove molti hanno problemi di liquidità e non hanno le risorse per investire. Un altro grande ostacolo per le Pmi è il ritardo infrastrutturale: “La connettività a banda larga con buona qualità di servizio per ora non è a livelli accettabili in gran parte dell’Italia: alcuni ci hanno detto ‘il cloud per me non è un’opportunità perché la mia connessione va a singhiozzo’”.

Il percorso di adozione

L’adozione del cloud computing, sottolinea il report, ha senso solo entro un percorso tecnologico e strategico di medio periodo. A livello di infrastruttura e data center, le best practice prevedono di standardizzare l’hardware, consolidare e virtualizzare, e il 47% delle aziende risulta in questa fase, ma in molti casi entro un percorso a medio periodo, ma con un’ottica opportunistica basata su virtualizzazioni ‘a macchia di leopardo’. Analogamente miope è spesso il ricorso a servizi di IaaS pubblico, riscontrato nel 15% delle aziende.

“Spesso si virtualizza e poi si gestiscono le macchine virtuali come macchine fisiche: la ricerca della sola riduzione dei costi è un approccio miope che chiude la strada agli altri benefici del cloud – scalabilità e flessibilità -, addirittura aumentando la complessità”, sottolinea Mainetti. “L’approccio corretto di lungo termine è l’hybrid cloud, con data center interni centralizzati e omogeneamente virtualizzati, e risorse pubbliche facilmente attivabili, abilitato da soluzioni di gestione (Cloud Manager) che permettano il provisioning automatizzato delle risorse: soluzioni che però sono presenti solo nel 5% del campione, tutte grandi aziende con un percorso strutturato d’adozione del cloud”.

Questo introduce un’altra tesi importante del report, secondo cui ciascuno deve definire un suo percorso verso il cloud, “che può orientarsi sul private cloud per aziende con capacità di investire e strutturare piani di medio termine, e verso il public cloud per realtà con meno capacità di pianificazione strategica e disponibilità di risorse, e interessate a ritorni più immediati; in Italia siamo indietro soprattutto sul secondo versante, anche perché anche il public cloud richiede forti cambiamenti nella gestione e fruizione dell’Ict”.

Figura 2 – La struttura del mercato del Cloud Computing in Italia. Fonte – Politecnico di Milano

Barilla e Ntv ce l’hanno fatta ma…

Naturalmente nel report non mancano casi incoraggianti di adozione del cloud, e nell’evento di presentazione del report oggi ne saranno in evidenza due: Barilla e Nuovo Trasporto Viaggiatori (Ntv), la società per l’alta velocità ferroviaria fondata da Montezemolo e Della Valle.

“Barilla è un caso di public cloud; ha adottato una suite di soluzioni di produttività personale, collaboration e communication in software-as-a-service e in pochi mesi l’ha diffuso a livello di gruppo, trasformando il modo di lavorare delle persone: è quindi un esempio di innovazione tramite una commodity, in cui l’It si è occupata di change management e non di tecnologie”. Quanto a Ntv, “è un caso interessante perché esemplifica l’approccio di molte start-up, che rinunciano a costruire un’infrastruttura Ict interna e comprano solo servizi, con l’Ict interna che si occupa solo di demand management e di governo”.

…per l’Italia è l’ultima chiamata

Nonostante i casi d’eccellenza però, secondo i ricercatori dell’Osservatorio la situazione del cloud in Italia è, come dice il titolo del report, da ‘ultima chiamata’. “I numeri testimoniano di un ritardo, soprattutto delle Pmi: ci siamo chiesti quanto può costare al Paese questo ritardo in termini di competitività”, spiega Mainetti. E dai casi esaminati emergono benefici concreti che, considerando per prudenza solo il Total Cost of Ownership, risultano in riduzioni tra il 10 e il 20% in funzione del caso specifico, sia nei casi di public cloud che in quelli private. Con tutte le cautele del caso (si tratta di stime), ciò corrisponderebbe a un risparmio di costi entro il 2015 di circa 450 milioni di euro, che potrebbero arrivare a un miliardo se il rapporto tra spesa cloud e spesa totale Ict raggiungerà in Italia i livelli degli altri Paesi avanzati, e man mano che la curva di esperienza sui progetti porterà la media delle riduzioni del Tco più vicino al 20%.

“Sono numeri che non si possono trascurare, risorse che potrebbero essere usate per l’innovazione, e ciò vale specialmente per la Pa, dove il cloud non solo permetterebbe risparmi ma anche una miglior interoperabilità tra gli enti e valorizzazione del patrimonio dati: una forte domanda della Pa, inoltre, permetterebbe il radicamento in Italia di un’offerta e di competenze di public cloud altrimenti a rischio di delocalizzazione”. Ci vuole quindi un impegno congiunto tra privato e pubblico: “Per la spesa pubblica non si tratterebbe di investimenti enormi ma di incentivi; di buono c’è che nell’Agenda Digitale il cloud computing compare come impegno, e quindi qualche prerequisito c’è perché quest’anno il cloud diventi una tendenza strutturale”, conclude Mainetti.

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