Caso Utente

Istituto Storico Germanico di Roma: consolidamento e virtualizzazione i primi step per innovare

Per l’Istituto, il lavoro di ricerca rappresenta il fulcro di tutta la propria attività. Dal classico modello di fruizione delle ricerche storiche e delle fonti bibliografiche in modalità cartacea si sta passando all’accesso via web attraverso banche multimediali sempre più ricche. Servono infrastrutture agili ma che garantiscano anche riduzioni di costi e più facile manutenibilità. La risposta viene dalla virtualizzazione, per andare verso il private cloud. Il ruolo centrale dei server Fujitsu.

Pubblicato il 27 Ago 2012

Fondato nel 1888, l’Istituto Storico Germanico di Roma è il più antico degli istituti storici della Repubblica Federale di Germania all’estero. La ricerca storica è il fulcro delle attività dell’ente, che può mettere a disposizione degli studiosi un patrimonio bibliografico e informativo esteso dall’Alto Medioevo al termine della Seconda Guerra Mondiale. La biblioteca storica è composta da oltre 171.000 volumi e 667 periodici correnti. All’Istituto è annessa una sezione di Storia della Musica, che si occupa dei rapporti e degli influssi fra la musica italiana e quella tedesca, contando su una biblioteca di 57.000 volumi e 440 periodici.

Per l’Istituto Storico Germanico di Roma, il lavoro di ricerca rappresenta il centro di tutta la propria attività. Naturale, dunque, che l’It sia considerato in modo funzionale all’Ente. “Ciò non significa che l’It rappresenti il ‘motore’ del business (parliamo di un Istituto di carattere storico-culturale il cui core business è la ricerca storica) ma l’innovazione Ict non deve mancare; anzi, è assolutamente necessario che vada nella direzione di fornire in modo più efficace e produttivo un servizio che risponda concretamente alle esigenze del business”.

Niklas Bolli, responsabile Sistemi Informativi dell’Istituto Storico Germanico di Roma

È questa la premessa con cui Niklas Bolli, responsabile Sistemi Informativi dell’Istituto, inizia a raccontare a ZeroUno il progetto evolutivo che sta vivendo in questi ultimi anni il Dipartimento It dell’Ente.

Ed entrando nel vivo della descrizione di questo cammino evolutivo, Bolli spiega come da alcuni anni sia stato avviato un processo di creazione di diverse banche dati, utili per divulgare i progetti realizzati, ma caratterizzate tutte da un´architettura di sistema di notevole complessità dettate proprio dalla specificità dell´operato della ricerca stessa. L´assoluta eterogeneità delle fonti ha richiesto uno sviluppo sistemico che fosse interoperabile alla base ed avesse al contempo la possibilità di dare un indirizzo specifico mirato al risultato finale delle ricerche diverse tra loro. Sviluppi software, “cuciti ad arte” ed in pieno regime di open source, richiedevano pertanto una piattaforma hardware che potesse supportare agilmente differenti sistemi operativi con diverse caratteristiche dalle fasi di sviluppo fino alla messa in produzione. Tutto ciò pone un problema di razionalizzazione dei sistemi per garantire tempi di reazione più rapidi nell´assecondare le richieste di sviluppo, ad avere una più agile fruizione dei servizi, agendo però in un`ottica di contenimento dei costi.

Abilitare la condivisione della conoscenza, ma poi razionalizzare

Di fatto, “il percorso evolutivo dell’Istituto è iniziato con l’adeguamento dei sistemi finalizzato a garantire l’accesso ai dati, alle ricerche storiche e ai fondi bibliografici in modalità online (prima erano disponibili prevalentemente in formato cartaceo)”, spiega Bolli. “Questo non solo per facilitare l’accesso alle informazioni ma per abilitare anche una più rapida condivisione di conoscenza tra i ricercatori, gli storici e studenti, oltre a poter dare una maggiore visibilità al lavoro di ricerca svolto dall’Istituto stesso, proprio grazie al web”.

Il processo di rinnovamento è partito all’incirca nel 2003, inizialmente con l’assegnazione di un server per ogni nuova applicazione o progetto sviluppato. “Dal 2003 ad oggi, l’Istituto ha gradualmente aumentato le proprie banche dati online rendendo disponibili in modalità web archivi storici sempre più ampi che, prima, erano consultabili sono in modalità ‘tradizionale’”.

“La nostra scelta iniziale è stata orientata verso uno sviluppo interno delle banche dati che raccolgono in gran parte le ricerche prodotte negli anni”, spiega in dettaglio Bolli. “La continua crescita esponenziale delle informazioni (strutturate, sistematizzate e rese disponibili attraverso le tecnologie) ha ovviamente richiesto un’architettura sottostante performante e capace di garantire un’adeguata velocità di fruizione oltre al fatto che doveva ovviamente essere scalabile per adeguarsi agli sviluppi successivi”.

Performance e scalabilità che, inizialmente, sono state raggiunte attraverso il continuo upgrade dei sistemi portando però l’It a muoversi in un contesto diventato oneroso dal punto di vista dei costi di manutenzione e, da non sottovalutare, dell’impatto ambientale.

“Se da un lato questa evoluzione ci ha consentito di raggiungere un più ampio pubblico fornendo dei servizi più efficaci – dice, infatti, Bolli – è anche vero che questo modo di crescere si è rivelato sempre più insostenibile nel corso del tempo”.

“Stiamo parlando di un data center tutto sommato contenuto (25 server e un centinaio di client in tutto), ma la crescita esponenziale ci ha comunque esposto a delle criticità e ci siamo dovuti confrontare con problematiche di ottimizzazione e razionalizzazione che, forse, sono tipiche più delle grandi imprese”, osserva Bolli. “Nel 2010, abbiamo deciso di intraprendere la via del consolidamento per due ragioni: la prima, senz’altro trainata dalla necessità e volontà di contenere i costi; la seconda, in chiave più innovativa, finalizzata a garantirci un’adeguata flessibilità in funzione degli sviluppi futuri del business”.

Dal consolidamento alla virtualizzazione, con uno sguardo verso il private cloud

“Consolidamento e virtualizzazione sono le strade maestre che abbiamo deciso di intraprendere perché sembravano quelle più logiche”, descrive il responsabile SI dell’Istituto. La strada della virtualizzazione è risultata la più efficace, infatti, non solo per consolidare il parco esistente ma anche per sostituire alcune macchine arrivate al termine del proprio ciclo di vita.

“Il rinnovamento del parco server ha sicuramente rappresentato un ottimo spunto per iniziare ad effettuare dei ragionamenti in ottica evolutiva – evidenzia Bolli -. Ci siamo infatti chiesti come potevano sostituire le macchine giunte a fine ciclo con tecnologie non solo più nuove in termini temporali e innovative sotto il profilo tecnologico, naturalmente, ma in grado di reggere la crescita del business senza costringerci a fare continuamente nuovi investimenti”.

“Ecco perché dico che la virtualizzazione è stata la scelta più ovvia”, puntualizza Bolli.

Di fatto, il primo progetto-pilota ha coinvolto otto server arrivati a fine ciclo di vita. L’Istituto ha introdotto comunque otto macchine nuove, ma quattro dei vecchi server sono stati virtualizzati. Così oggi l’Ente ha a disposizione più sistemi e può dedicare alcune macchine allo sviluppo ed al test delle applicazioni, prima di andare in produzione: “Attraverso il consolidamento e la virtualizzazione siamo riusciti a garantirci un’infrastruttura scalabile che ci assicura una certa continuità futura; possiamo proseguire sviluppando nuovi progetti, anche ad hoc – spiega meglio Bolli – senza vincoli di nuovi investimenti hardware (la scalabilità è permessa dalla virtualizzazione)”.

In concreto, oggi un blade server Fujitsu Primergy BX620 a tre lame in ambiente VmWare VSphere 4 copre tutte le esigenze di nuovi sviluppi, ma anche di gestione del traffico per la consultazione dei documenti. “Grazie alla virtualizzazione, abbiamo raggiunto una semplicità di provisioning che rende più rapido ogni processo decisionale, non più soggetto ai vari passaggi di approvazione per l’acquisto di nuovi server, un punto cruciale questo soprattutto nelle fasi di sviluppo” commenta Bolli. “Non solo: le tre lame Fujitsu sono fondamentali anche per la parte di Collaboration che vede l’Istituto Storico Germanico condividere dati, informazioni, ricerche con altri importanti enti come l’Archivio Segreto Vaticano, il Pontificio Istituto Teutonico S. Maria dell’Anima, l’Agenzia Nazionale delle Ricerche in Francia e la Biblioteca di Stato Bavarese a Monaco.

Il progetto di consolidamento del data center si affianca alla parallela opera di digitalizzazione anche del patrimonio bibliografico conservato presso l’Istituto. Lo evidenzia un progetto, iniziato all´interno della sezione dedicata alla storia della musica, di cui oggi sono già disponibili per la consultazione online circa 85.000 immagini, che occupano uno spazio di 5Tb su dispositivi storage Fujitsu Eternus DX60. La virtualizzazione qui consente di archiviare per esempio con semplicità in toto anche la macchina contenete il software necessario per la ricerca e fruizione delle fonti digitalizzate oltre al classico backup delle immagini, rendendo di fatto piu semplice il ripristino in eventuale scenario di disaster&recovery.

Rispetto al precedente approccio, il progetto di virtualizzazione messo in opera ha generato evidenti risparmi in termini di costi non solo di acquisto, ma soprattutto di gestione e manutenzione. “Ma non è tutto – aggiunge Bolli –. Abbiamo calcolato anche una riduzione nelle emissioni di calore pari all’80% e a questo si aggiungono i relativi costi di raffreddamento risparmiati. Inoltre, abbiamo stimato un taglio del 50% nei costi energetici futuri”.

Quanto al cloud, “benché l’Istituto non sia orientato alla ‘sperimentazione’ tecnologia ma più incline ad effettuare investimenti in tecnologie mature – conclude Bolli -, è innegabile che vediamo la via intrapresa della virtualizzazione come uno step iniziale verso un più strutturato percorso di private cloud. Nelle nostre intenzioni, per il momento, l’idea è orientata all’implementazione di un cloud privato che rappresenti la parte infrastrutturale grazie alla quale garantire servizi di desktop virtuale ed un agile accesso alle risorse interne”.

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