Nell’attuale turbolenza che caratterizza lo scenario politico ed economico internazionale, le aziende devono strutturarsi per prestare la massima attenzione ai segnali, anche deboli, che arrivano dal mercato e per identificare gli aspetti che possono differenziarle dalla concorrenza. Che sempre più spesso non stanno tanto nei prodotti o servizi offerti, quanto nel tipo e nella qualità delle relazioni con i clienti.
Entrambe queste attività non possono prescindere dal fattore umano. Come infatti si sostiene da tempo, sono le persone a rappresentare il primo asset di ogni impresa, e il loro ruolo nel gestire i processi e le informazioni, e nel porsi come interlocutori verso il mondo esterno, è insostituibile. Di conseguenza, il rapporto stesso tra l’impresa e chi vi lavora si modifica nel senso di una relazione di partnership, che presuppone una conoscenza e condivisione delle strategie ed una maggior autonomia nella realizzazione degli obiettivi stabiliti.
Tutto questo può però essere realizzato solo creando un ‘clima’ in cui le persone siano messe in condizione di lavorare in modo propositivo, provino interesse per l’attività svolta, si sentano parte integrante dei processi dell’azienda ed abbiano aspettative di carriera e retributive conseguenti a tale crescita professionale. Va cambiando quindi, ormai da qualche anno, il ruolo della funzione Risorse Umane, che dovrà dedicare maggior attenzione alla gestione e allo sviluppo delle persone (favorendone l’evoluzione e potenziandone motivazioni e senso di appartenenza all’impresa) in modo da realizzare una strategia di allineamento tra risorse umane e business.
Ict e gestione delle risorse umane: una ricerca in Italia
Nel raggiungimento degli obiettivi esposti, le tecnologie dell’informazione hanno un ruolo fondamentale. Una delle ricerche più puntuali, basata sul mercato italiano, che analizza il ruolo dell’Ict nella gestione delle risorse umane, è stata realizzata un anno fa da Kpmg Consulting (www.kpmg.it). Il campione era costituito da direttori del personale o dai loro riporti di primo livello (o dai responsabili dell’amministrazione, per le aziende più piccole, ma mai dalle persone dell’It) di circa 200 aziende medio-grandi, con un totale di 1.500 sedi dislocate in Italia e all’estero e rappresentanti i principali settori industriali. Banche e assicurazioni sono prevalenti, raggiungendo, insieme, circa il 35% del campione. Seguono le società farmaceutiche e manifatturiere (poco meno del 20% ciascuna) e quelle della chimica, dell’edilizia e dei servizi (poco meno del 10%, rispettivamente). Complessivamente, si tratta di 30 mila dipendenti, regolati da 5 diversi contratti collettivi di lavoro, a cui si sommano 5mila collaboratori non dipendenti.
Questi ultimi rappresentano una realtà emergente nel quadro occupazionale italiano, con una presenza di collaboratori non dipendenti superiore al 15%, ma probabilmente aumentata negli ultimi mesi. Come commenta, portando l’esempio degli operatori di call center, Graziano Monticelli, oggi responsabile delle Risorse Umane di Sea-Aeroporti di Milano (www.sea-aeroportimilano.it), ma che nella sua precedente posizione dei manager Kpmg Business Advisory Services ha curato la ricerca citata: «Al momento, per queste risorse non si sente l’esigenza di strumenti di gestione particolari; si tratta infatti generalmente di personale per il quale, anche quando c’è, la componente di formazione é di modesta entità. Ma nel momento in cui la legge Biagi diventerà operativa e si dovranno gestire assunzioni a progetto, si renderanno necessari nuovi strumenti».
L’amministrazione è preponderante, l’outsourcing più raro del previsto
Nella ripartizione delle persone addette alle risorse umane (in media una ogni 105 dipendenti, per arrivare a una ogni 120 se si includono i non dipendenti) la gestione amministrativa è preponderante, assorbendo più della metà delle risorse, mentre la Cenerentola è la selezione, che spesso non prevede nessuna dedicata ed è svolta come attività secondaria o affidata a società esterne (vedi figura 1).
Per quanto riguarda la spesa per il personale della funzione R.U. si va da 240 a 540 euro per impiegato, con una media di circa 300 euro. «Il fatto curioso – nota Monticelli – è che però ad un maggior investimento non corrisponde un maggior numero di servizi supportati dalla tecnologia». Le possibili interpretazioni sono due, e tra loro opposte: o la carenza di strumenti porta ad una maggiore difficoltà gestionale, tale da richiede maggiori investimenti per garantire l’operatività; o, viceversa, i costi più elevati derivano da migliore livello e qualità dei servizi offerti». Cioè: o si spende perché bisogna sopperire con ore di lavoro alla mancanza della tecnologia, o si spende per usare una tecnologia che migliora la qualità dei servizi ma non l’efficienza della funzione che li eroga.
Il 50% delle aziende intervistate mostra di preferire una gestione del personale interamente realizzata in proprio, mentre il restante 50% sceglie soluzioni miste (parte in casa e parte in outsourcing). Solo un’azienda su 200 ha optato per un outsourcing totale. La ragione dello scarso ricorso all’outsourcing fra le aziende del panel sta nel fatto che sono poche le società che applicano rigidamente il contratto di lavoro nazionale, mentre prevalgono accordi integrativi locali ed aziendali, come pure convenzioni non scritte ma rispettate, che renderebbero l’outsourcing, anche per la sola parte amministrativa, complesso e non economico.
Una sorpresa positiva deriva invece dalla discreta quota del budget dedicata ad investimenti per nuovi progetti, che in media è del 20%, ma in alcune imprese raggiunge punte del 60%. Per Monticelli, la principale ragione di questo fatto deriva dagli scarsi investimenti dedicati in passato alle risorse umane: «Negli scorsi anni si è investito soprattutto a supporto del core business, mentre, per il personale la spesa si é concentrata soprattutto sull’amministrazione. Ora comincia a sentirsi, anche in Italia, l’esigenza di strumenti di gestione delle persone». Questa sensibilità aumenta in alcuni settori. Ad esempio, nelle banche la di-mensione d’im-presa, la tipologia di servizio offerto e le nu-merose fusioni e acquisizioni rendono particolarmente critica la gestione del personale.
La situazione esistente vede la presenza in tutte le aziende di sistemi per l’amministrazione (paghe, stipendi e gestione presenze); sistemi per la gestione delle risorse (quasi nel 70%) e delle trasferte (quasi il 60%). è invece ancora scarsa la presenza di portali e soluzioni self-service, progetti restati in gran parte sulla carta. «Gli unici realizzati e operativi di cui abbiamo notizia e che, va sottolineato, hanno realizzato notevoli benefici, sono stati sviluppati da filiali italiane di società multinazionali», ricorda Monticelli, che prevede che anche le aziende italiane li realizzeranno quando si renderanno conto dei vantaggi, ma si dovrà aspettare ancora qualche tempo: prima si dovranno superare i problemi della gestione, ancora da risolvere.
La scarsa integrazione dei sistemi Hrms è il vero nodo da sciogliere
I problemi centrali sono infatti attualmente quello dell’alimentazione delle informazione del personale e dell’integrazione dei sistemi esistenti.
Oggi le informazioni sui dipendenti di cui dispone la direzione del personale per la maggior parte derivano dai pacchetti retributivi (vedi figura 2). Questo, secondo Kpmg, capovolge la logica di un corretto flusso informativo (che dovrebbe nascere dalle fasi di selezione del personale e trovare nel payroll il punto conclusivo) e quindi fornisce dati che nascono ‘vecchi’. Altre fonti d’informazione sono documenti cartacei e dati in formato elettronico ma non integrati tra loro. Ultimi, a dimostrare che la scarsa integrazione fra sistemi aziendali è la maggior criticità percepita dai responsabili del personale, vengono i sistemi Hrms.
I sistemi per la gestione delle risorse umane sono quindi, paradossalmente, i meno usati da chi dovrebbe servirsene per i suoi compiti. Questo perchè la situazione evidenziata dalla ricerca è quella che vede la presenza contemporanea di molti sistemi diversi e non integrati tra loro. In genere, vi è un sistema specifico per ciascuna delle attività, dall’amministrazione alla formazione, che nel tempo si è deciso di automatizzare ricorrendo a soluzioni sviluppate in casa o a prodotti acquisiti sul mercato.
Ha ragione il sindacato
La figura 3 mostra come via sia un rapporto quasi diretto tra i processi/funzionalità gestiti dalle Risorse Umane e i sistemi impiegati. Si parte da un sistema per uno o due processi e si arriva a cinque sistemi per sei o sette processi. Con il risultato d’informazioni, a partire dalle anagrafiche, duplicate e spesso non allineate tra loro, che rendono impossibile sviluppare analisi attendibili e complete.
Le conseguenze della moltiplicazione dei database possono diventare spiacevoli e paradossali come il caso, che ricorda Monticelli, del direttore del personale di una grande banca che, avendo bisogno di sapere l’organico di un’unità oggetto di trattattiva sindacale, ebbe tre dati diversi, da parte di tre diverse funzioni aziendali; e tutti e tre sbagliati! L’unico vero era quello indicato… dal sindacato. «Si tratta – commenta Monticelli – di errori non quantificabili sul piano economico, ma che possono avere conseguenze piuttosto gravi».
Fra realtà e desideri
La situazione descritta, maturata in un momento di assenza di soluzioni integrate e affidabili, anche oggi che queste sono presenti, pone non pochi vincoli per lo sviluppo futuro. L’analisi Kpmg conferma che il percorso intrapreso dalla funzione Risorse Umane per evolvere da un ruolo di amministrazione a uno di vera gestione del personale, avviato da molte imprese statunitensi e dalle maggiori europee, sembra invece rallentato per le imprese italiane. Sottoposte alle pressioni dell’attuale contingenza economica, le Risorse Umane devono soprattutto gestire interventi di breve termine che comportano tagli alla formazione, riduzione de-gli straordinari, incentivi all’uscita e altre soluzioni per ridurre i costi del personale.
Tuttavia non mancano elementi che fanno sperare in una crescente consapevolezza, fra i responsabili R.U. dell’importanza degli strumenti a supporto della gestione delle persone. Se infatti le funzionalità oggi più diffuse sono quelle amministrative e risultano ancora modesti gli investimenti in formazione (circa 3 giorni per dipendente, per il 70% concentrati su impiegati e quadri e su temi tecnici e funzionali), le funzionalità più desiderate (vedi figura 4) sono quelle tipiche della gestione e dello sviluppo risorse, ossia strumenti per la valutazione del potenziale e delle prestazioni, per la definizione dei piani retributivi, di carriera, di successione. Suscita interesse anche l’e-learning. Il suo valore viene tuttavia riconosciuto per l’omogeneità, continuità e velocità di erogazione, mentre è ancora scarsa la percezione dell’economicità e della strategicità della proposta.
Significativo anche, secondo Monticelli, l’interesse per gli strumenti di creazione e aggiornamento di organigrammi e funzionigrammi, che oggi vengono per lo più realizzati in Word o Power Point, strumenti statici che vanno bene per una presentazione o una relazione, ma non sono in grado di effettuare simulazioni di cambiamenti organizzativia né di soddisfare le esigenze operative connesse a una vera gestione delle persone.
«C’è probabilmente spazio per soluzioni pacchettizzate integrate, visto che se ne sente l’esigenza – conclude Monticelli – ma la scelta è ancora molto legata al prezzo, che resta ancora il primo parametro di valutazione». Lo sviluppo di queste potenzialità dipende dunque ora dalla capacità dei fornitori di cogliere le reali esigenze e proporre le soluzioni più adatte.