Pensavamo che l’eCommerce, dal punto di vista della tecnologia a supporto e da quello della strategia delle aziende riguardo alla sua adozione, fosse un canale ormai acquisito. Il coronavirus ci ha fatto ricredere. BCG Platinion, società di The Boston Consulting Group specializzata nei servizi di trasformazione digitale end-to-end, ha pubblicato un documento dal titolo The new rise of eCommerce che prende le mosse proprio dall’evidenza statistica del legame che c’è tra i fenomeni pandemici su vasta scala e l’incremento del commercio elettronico. Nel 2003 la SARS in Cina è stato un acceleratore per l’eCommerce del colosso asiatico, segnando la crescita inarrestabile di aziende quali Alibaba e JD. Analogamente, nel 2015 la MERS è stata ha favorito l’impennata delle vendite online nella Corea del Sud. In realtà, come sottolinea Carmine Calò, Principal di BCG Platinion e autore dello studio insieme a Ivano Ortis, “la ricerca faceva parte delle tematiche da approfondire che avevamo pianificato a inizio anno e quindi è stata concepita in anticipo rispetto agli eventi che ci hanno travolto a febbraio-marzo”.
La terza onda tecnologica dell’eCommerce
In origine lo studio doveva concentrarsi sulla “terza onda tecnologica” dell’eCommerce. La prima, che si potrebbe datare agli inizi del Duemila, è coincisa con la creazione di estensioni di piattaforme legacy, seguita da una seconda caratterizzata dallo sviluppo di soluzioni cosiddette full-fledged.
Con l’avvento della multicanalità, che oggi tende a consolidarsi nell’omnicanalità, i vecchi paradigmi architetturali si sono dimostrati insufficienti a garantire l’integrazione di un unico punto di vista condiviso tra lo store e l’eCommerce. “La contingenza del Covid – aggiunge Calò – è stata un fortissimo acceleratore per l’adozione dell’eCommerce in aree dove fino a poco tempo fa era visto come non necessario. Si pensi a tanti brand che nella propria strategia avevano la presenza fisica come pillar o a settori, come il Grocery online, a cui il Covid ha dato una spinta enorme”. È anche vero che il canale di vendita digitale non può essere affrontato in maniera improvvisata. “Se non gestito bene, è un business diluitivo in termini di margini. Basti pensare a tutta la gestione logistica e ai costi correlati. Dipende ovviamente dal livello di maturità dell’ambito specifico. Per esempio nel Grocery, dove rispetto all’elettronica di consumo o al Travel il livello di adozione e di utilizzo è più limitato, l’eCommerce può essere visto come una leva per l’acquisizione di posizioni di mercato. Nel Fashion, invece, lo store può essere considerato come un elemento di promozione del brand, un flagship con cui attirare i clienti per utilizzare poi il canale eCommerce in modo capillare per la vendita e la distribuzione”.
La “bento box” per il commercio elettronico
In questo scenario di radicale cambiamento si inserisce la proposta di BCG. “Il modello – spiega Carmine Calò – parte da una visione ampia, che abbiamo chiamato la ‘bento box’ per l’eCommerce”. Alla stessa stregua del tipico contenitore della cucina giapponese con degli scomparti all’interno, la vendita elettronica prevede una serie di ingredienti che non possono mancare. “Anzitutto è necessario partire dal customer journey e dall’esperienza che si vuole offrire al cliente finale. La strategia omnicanale rientra in questo tema come obiettivo strategico. Sulla base di questo è necessario quindi impostare il layer operativo, scegliendo e definendo in primis l’assortimento di prodotti da vendere sull’eCommerce. Non è necessario infatti che la vendita sia uguale a quella dello store, soprattutto in un’ottica di differenziazione dei vari touchpoint”. Gli altri due “scompartimenti” del layer operativo della bento box si riferiscono alla gestione della supply chain ed alla piattaforma da implementare. L’ultimo scompartimento della bento box, il dolce, si focalizza sull’abilitazione delle dinamiche di personalizzazione con cui massimizzare il valore dell’eCommerce, in quanto generatore di una connessione diretta tra azienda e consumatore. “Lo studio – continua il Principal – si è focalizzato sulla parte tecnologica e di piattaforma. I quattro archetipi, e le quattro strategie conseguenti, nascono da un ragionamento condotto sulla base delle osservazioni di mercato, della nostra esperienza e legato al tema della transizione tecnologica”.
I 4 archetipi delle aziende di fronte all’eCommerce
L’esito si è tradotto nella definizione di quattro identikit che coincidono con altrettante tipologie di aziende di fronte alla scelta dell’eCommerce più adeguato alla loro situazione peculiare.
Seeders
Uno dei quadranti dello schema di BCG è occupato dai cosiddetti “seeders”. “Questo archetipo si caratterizza da una presenza sul canale eCommerce limitata o addirittura nulla. L’esempio classico è quello di aziende che non ritenevano l’esperienza digitale rilevante nella loro strategia commerciale, perché consideravano quella fisica in store l’elemento cardine della loro value prosposition”. Anche l’IT, in questo caso, è visto come una funzione al servizio delle necessità del business e le soluzioni dedicate all’eCommerce, quando esistono, sono basiche. “Per questa tipologia di clienti – commenta Calò -, che nel mercato italiano corrisponde alle PMI, la strategia è quella di andare online rapidamente, perché è importante in questo momento essere sul canale per poter costruire una presenza”. La stesura del documento è iniziata nel periodo del primo lockdown, quando si temeva che ci potesse essere una seconda crisi. Alla luce della storia recente, il consiglio assume ulteriore validità.
Amplifiers
Il secondo quadrante è quello in cui si collocano gli “amplifiers”. Si tratta di aziende presenti sul mercato eCommerce, ma che dal punto di vista IT dispongono di soluzioni tecnologiche datate, che manifestano delle difficoltà nel passaggio architetturale da sistemi che risalgono a una decina di anni fa a paradigmi contemporanei. “Ci ricordiamo tutti – rammenta Calò – delle difficoltà che abbiamo avuto nella prima fase della crisi Covid nel fare alcuni acquisti online, difficoltà tipicamente dovute a piattaforme pensate per altri tipi di volumi e per un’altra era. La strategia per gli amplifiers si concentra su quei clienti che hanno la necessità di evolvere rapidamente le loro piattaforme IT in ottica di sviluppo di scalabilità del canale. Questo è il quadrante in cui troviamo la maggior parte delle aziende non solo italiane, ma di tutto il mondo, perché il tema della transizione tecnologica riguarda anche quanti hanno già investito nell’eCommerce, ma è un must dei prossimi mesi ed anni”.
Explorers
Il terzo quadrante, quello degli “explorers”, si rivolge a quelle società che “fino ad adesso hanno visto la distribuzione digitale come un elemento ancillare della propria strategia commerciale, ma che negli anni hanno sviluppato capacità IT, soprattutto interne, significative e magari a supporto della distribuzione tradizionale”. Fanno parte di questo cluster, per esempio, le aziende del settore CPG (Consumer Packaged Goods) o quelle che non hanno distribuzione diretta sul mercato. “Il suggerimento e la strategia conseguente è di utilizzare le conoscenze tecnologiche interne per iniziare a esplorare come poter fornire al consumatore un’esperienza digitale efficace. Nel loro caso, il messaggio non è tanto quello di andare immediatamente sul digitale, quanto di sperimentate per capire dove investire”.
Boosters
C’è infine l’ultimo quadrante, quello degli “acceleratori” o “boosters”. Comprende le aziende che “hanno investito moltissimo nell’eCommerce, o comunque nel digitale, e che grazie a questo hanno sviluppato delle capability digitali importanti”. In pratica, realtà come quelle che appartengono al mondo del Fashion e del Retail, che hanno privilegiato fortemente il canale di distribuzione online. Per loro BCG ha una raccomandazione che Carmine Calò sintetizza così: “Non bisogna sedersi sugli allori. Probabilmente queste aziende ritengono di avere oggi un vantaggio competitivo, ma devono guardare oltre per capire il next step su cui andarsi a posizionare, proprio per evitare di perdere in futuro il vantaggio competitivo di oggi”.