Come si diventa innovatori? Passione, ascolto, interesse, studio, coraggio, fiducia, collaborazione, provare… sono queste le parole per spiegarlo che ricorrono nell’intervento di Cristian Fracassi, CEO e co-founder di Isinnova (l’azienda che ha trasformato la maschera da snorkeling di Decathlon in una maschera respiratoria) nell’intervento di apertura del recente Richmond IT Director Forum, una convention di 3 giorni che solitamente raduna a Rimini decine di CIO, IT manager, Direttori IT e rappresentanti del mondo dell’offerta ma che quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, si è tenuta interamente online. Un format necessariamente diverso dal solito, ma che non ha reso questa 10ma edizione meno interattiva delle precedenti: infatti la piattaforma online ha permesso ai partecipanti di intervenire e confrontarsi con i relatori nel modo più friendly possibile.
Dal mattone di plastica alla nascita di Isinnova
Ma torniamo al nostro Cristian, viene spontaneo chiamarlo per nome perché sembra un ragazzino sia per l’aspetto sia per l’entusiasmo con il quale parla: “Tutta la passione e l’amore per l’innovazione nascono nel 2009 quando ci fu il terremoto dell’Aquila. Io ero il mio ultimo anno di università, dovevo solo scegliere l’argomento di tesi e vedo quelle immagini drammatiche in TV: persone rimaste in mezzo alla strada, case distrutte e mi sento chiamato in causa. Mi sento in qualche modo colpevole perché quegli edifici li ha progettati un ingegnere, una persona come me e provo quindi a mettermi nei panni di quei cittadini, chiedendomi cosa avrei potuto fare”.
Fracassi inizia quindi a pensare a cosa si potrebbe fare per costruire case più resistenti al sisma e l’idea gli viene guardando un camion che scarica casse di bottiglie d’acqua: inizia fare calcoli sul peso delle bottiglie e si chiede se, forse, non è possibile realizzare mattoni in plastica. Ne parla con la docente che si congratula con lo studente per lo spirito di iniziativa, accoglie l’idea della tesi anche se smorza subito l’entusiasmo affermando che una casa in plastica non è contemplata nelle norme tecniche e che la sua tesi si esaurirà in una decina di pagina. Il risultato? Fracassi scopre che in Germania la plastica è già utilizzata per le costruzioni, che in Svizzera ci hanno addirittura costruito un ponte e presenta una tesi di 680 pagine.
Ma il futuro CEO di Isinnova si rende conto di non saper progettare bene con le plastiche e allora frequenta 3 anni di dottorato in ingegneria dei materiali, specializzazione polimeri: “Di giorno lavoravo in università e la sera ri-progettavo il mio mattone che dopo tre anni era completato quindi decido di andare a presentarlo a qualche imprenditore. In molti mi dicono che è una bellissima idea, ma subito dopo mi chiedono quanto costa produrlo e qual è il ritorno dell’investimento: domande alle quali non sapevo rispondere”. La prima reazione è stata quella di dire “non sono cose di mia competenza, io sono un ingegnere”, ma si rende subito conto che non è la reazione giusta e che senza un minimo di conoscenze di economia non andrà molto lontano.
E allora, eccolo iscriversi a un master di un anno in economia dove acquisisce i rudimenti della disciplina, necessari per rispondere a quelle domande.
Nel frattempo, si butta in concorsi di idee di ogni tipo, finché ne vince uno indetto dalla Camera di Commercio di Milano che, contrariamente agli altri, dà un premio in denaro: 5.000 euro. Cristian ha molti dubbi su come spendere il suo primo guadagno: comprarsi una macchina ed essere finalmente autonomo nei suoi spostamenti? Alla fine decide di investirli in un brevetto per il suo mattone. Viene contattato da un imprenditore che propone di acquistare la licenza: “Mi chiede quanto voglio. Io faccio due calcoli: ho speso 4.200, penso che chiedendogliene 14.000 ho il mio guadagno. Firmiamo il contratto, entrambi sicuri di avere fatto un ottimo affare”.
I due si conoscono meglio e quell’imprenditore diventa poi partner di Fracassi in Isinnova, oggi centro di innovazione e trasferimento tecnologico di Regione Lombardia che occupa 14 persone, il cui obiettivo è quello di aiutare gli innovatori-inventori e che è diventata famosa in tutto il mondo nello scorso marzo per la trasformazione delle maschere Decathlon.
L’Ospedale di Chiari chiama e Isinnova risponde
I primi giorni di marzo 2020, Fracassi riceve la telefonata della direttrice del Giornale di Brescia che gli chiede se ha le stampanti 3D accese e se può stampare dei piccoli pezzi di plastica per un ospedale che ne è rimasto sprovvisto. L’imprenditore si mette subito a disposizione e contatta l’Ospedale di Chiari che si trova in difficoltà perché ha esaurito le valvole Venturi che servono per collegare le maschere respiratorie ai macchinari di ventilazione assistita per i pazienti in terapia intensiva o sub intensiva: hanno 102 pazienti ricoverati e solamente 20 di questi prodotti.
“Andiamo in ospedale, recuperiamo una di queste valvole e tornati in ufficio cerchiamo di contattare l’azienda che li produce; è un’azienda del Lussemburgo che non è disponibile a fornirci i progetti 3D, per cui non ci resta che riprogettare l’oggetto, stamparlo e portarlo in ospedale per testarlo. Dopo mezz’ora ci dicono che funziona e se ne possono avere un centinaio. Si tratta di un prodotto abbastanza complesso, basti pensare che hanno un forellino da 0,6 mm (più piccolo di ago) che permette la miscelazione tra ossigeno e aria: 0,8 mm non funziona, 0,4 mm uccide il paziente. Quindi dopo avere stampato il prodotto, i fori vengono fatti a mano con una fresa da gioielleria. Ma non esitiamo a rispondere alla richiesta dell’Ospedale di Chiari, lavoriamo tutto il week end e la domenica sera consegniamo le valvole, preparandoci al lavoro in smart working per il lunedì dato che ormai siamo in pieno lockdown”.
Un medico ha un’idea…
Ma la stessa domenica, Fracassi riceve la telefonata di Renato Favero, un medico in pensione che gli dice di avere un’idea. All’inizio prova a farlo desistere, dice che la società è chiusa, che c’è il lockdown, ma il medico insiste, non demorde e alla fine “ho chiamato 5 dei miei ragazzi e siamo stati ad ascoltarlo”. E qui la storia sembra una favola: “Favaro ci fa un paio di ore di lezione di anatomia, ci spiega il principio di funzionamento dei polmoni, degli alveoli, di come le maschere respiratorie funzionano in ospedale e di come vengono trattati i pazienti malati. Dopodiché tira fuori dal suo zaino una maschera Decathlon, solitamente utilizzata per fare snorkeling”.
I 6 lo guardano sbalorditi, ma Favaro spiega subito il suo pensiero: “Tra poco [e purtroppo oggi sappiamo che aveva assolutamente ragione ndr] non verranno solo a mancare le valvole Venturi, mancheranno direttamente le maschere respiratorie. Io non sono un ingegnere, non so come fare a convertire questa maschera in maschera respiratoria ma ora che vi ho dato qualche idea di anatomia sono sicuro che farete un ottimo lavoro”, dice il medico e se ne va.
Fracassi e suoi avrebbero potuto richiudere l’ufficio, tornarsene a casa archiviando l’idea del medico tra quelle fantasiose, ma senza futuro. E invece no. Decidono di provarci.
Nasce Charlotte e si sposa con la maschera Decathlon
“In 8 ore di lavoro, sviluppiamo una valvola, Charlotte, che permette di sostituire il boccaglio e collegarsi nella parte alta della maschera, consentendo di agganciare il tubo dell’ossigeno in ingresso, i filtri e le valvole di regolazione della pressione in uscita. Il progetto sembra funzionare: coinvolgiamo Decathlon che si mette a disposizione e ci fornisce 10 maschere per fare i test. Poi ci fornisce i file 3D subito, senza alcuna firma, patto di non divulgazione, nulla. Massima disponibilità”.
La valvola Charlotte progettata e realizzata da Isinnova per convertire la maschera Decathlon in una maschera respiratrice
Vengono fatti i test e all’esito positivo, l’Ospedale di Chiari riceve le prime maschere e, siamo al 13 marzo, arriva la segnalazione che altri 4 ospedali sono in crisi per carenza di maschere. Fracassi li contatta, in tutto si tratta di produrre un centinaio di maschere, viene valutato che la cosa è fattibile e in tre giorni riescono a soddisfare la richiesta. Il tutto a titolo gratuito.
Nel frattempo la pandemia avanza, gli ospedali in crisi sono sempre di più, la situazione nel paese è critica. “Veniamo contattati da circa 50 ospedali: servono valvole, servono maschere respiratorie”.
La Protezione Civile compra direttamente da Decathlon 500 maschere, Isinnova dovrebbe quindi fare 500 valvole, ma con le sue sole forze è impossibile: “E allora ci è venuta una nuova idea: condividere. Abbiamo realizzato un sito, caricato in fretta e furia i file 3D e grazie ai giornali e alla tv abbiamo fatto un appello: chiunque abbia in casa una stampante 3D la accenda, scarichi il file direttamente dal nostro sito e si metta a stampare le valvole”.
La risposta non si fa attendere e il lunedì mattina arrivano negli uffici di Isinnova circa 1.200 valvole: “In pacchetti da 2 o 3 prodotti perché di più in un giorno non se ne riescono a stampare…vi lascio immaginare il viavai di pacchi!”, dice Fracassi. Le valvole vengono consegnate alla protezione civile che le collega alle maschere e le diffonde inizialmente su tutto il territorio bresciano, ma poi la cosa è dilagata a livello nazionale e internazionale: “Al terzo giorno di lancio, mi arriva un whatsapp di medici di brasiliani (che non ho idea come siano arrivati al mio numero) dove mi dicono che, grazie a noi, 100 persone stavano respirando in Brasile”, ricorda Fracassi.
L’impegno, lo stress, a volte la paura…
“E queste sono cose che mi hanno toccato personalmente. È stato un lavoro strano, impegnativo perché abbiamo lavorato per 3 mesi su questo progetto gratuitamente, con tantissime call per spiegare come funzionava la cosa. Ed è stato un lavoro di grande responsabilità, eravamo spaventati perché stavamo facendo qualcosa che non avevamo mai fatto e quel qualcosa era un prodotto dal quale dipendeva la vita delle persone. Non ci dormivo la notte”. Ed è stata una corsa contro il tempo perché, forse ce lo siamo dimenticato, ma in quei giorni il virus correva, correva e i ragazzi di Cristian dovevano correre più veloci.
E non si sono fermati perché hanno dato vita a un progetto di crowdfounding raccogliendo 12.000 euro con i quali hanno potuto acquistare stampanti 3D da donare a ospedali di paesi poveri come Mozambico, Ruanda, Burkina Faso e Zambia che avevano le maschere, perché lasciate dai turisti, ma non le valvole.
Questa storia ha lasciato a Cristian Fracassi e a tutto il gruppo di Isinnova tanti insegnamenti.
“È una storia che dimostra l’importanza della capacità di chiedere…chiedere aiuto quando è necessario. E quella della collaborazione perché senza la collaborazione di tutti i maker che hanno stampato una, due, tre valvole a testa non avremmo mai raggiunto il risultato. E poi è una storia di fiducia: la fiducia del medico in noi; noi nell’idea del medico; l’Ospedale di Chiari nel nostro lavoro; Decathlon, multinazionale da 7 miliardi di fatturato che riceve una chiamata da una piccolissima azienda come Isinnova e si mette a disposizione senza volere prevaricare e prendere le redini del progetto. Io ho ricevuto il titolo di Cavaliere della Repubblica e ne sono onoratissimo, ma è a tutte queste persone, aziende, organizzazioni che hanno collaborato che dedico questa onorificenza: alla fine Isinnova ha realizzato 100 valvole su più di 150.000 realizzate in tutto il mondo, il 99% quindi l’ha fatto qualcun altro e quindi non mi sembra giusto che solo a me venga riconosciuto questo valore”.
Metodologie e percorsi di innovazione
Fracassi ha concluso il suo intervento riassumendo il modus operandi di Isinnova per creare innovazione: “Le idee nascono da un bisogno e quindi è necessario prima di tutto capire qual è il bisogno al quale vogliamo dare risposta e se il prodotto che stiamo sviluppando è adatto o no”.
Per farlo, Fracassi evidenzia 3 metodi:
- parlare con il cliente. Ma non chi ha commissionato il prodotto bensì con l’utilizzatore finale: se un produttore di sanitari commissiona al subfornitore una nuova piletta per un lavandino, bisogna parlare con gli idraulici, con gli installatori per capire se il prodotto va bene;
- parlare con i dipendenti. Anche chi compie lavori molto semplici, lo fa dalla mattina alla sera e quindi probabilmente ha idee migliorativa “ma il dipendente, l’operaio, il magazziniere magari si vergogna e non se la sente di parlare con il responsabile e invece spesso hanno molte più idee loro di quante ne possa avere un consulente”;
- ovviamente studiare il mercato, i competitor per capire se stiamo parlando di una innovazione di tipo incrementale (miglioro un prodotto esistente) o disruptive (che cambia completamente il mercato).
Isinnova sviluppa di tutto: da valvole a caschi per moto a vernici ecc.: “Ogni volta ci tocca affrontare un problema diverso, quindi tendenzialmente il nostro è un lavoro sartoriale, ma per rendere il processo industriale, quindi ripetitivo, abbiamo creato un metodo composto da 5 grandi passaggi. Il primo è l’analisi (che elimina il 60% delle idee) e riguarda tre ambiti: di mercato per capire se l’idea ha uno sbocco, tecnica per capire se l’idea funziona tecnicamente, se è effettivamente nuova facendo una ricerca sui brevetti. Il secondo step è la progettazione con la realizzazione dei prototipi e dei test, quindi si passa alla terza fase che è il brevetto. Quindi la produzione e infine la comunicazione perché un’idea bisogna saperla comunicare”, spiega Fracassi che, evidenziando la frase di Thomas Edison che campeggia alle sue spalle (“Le idee senza la loro esecuzione sono allucinazioni”) conclude: “La differenza tra un’idea di successo e un fallimento è semplicemente saperla sviluppare quindi bisogna rimboccarsi le maniche, provarci e, ovviamente, raccoglierne i frutti quando saranno maturi”.