Se l’economia circolare si chiama “economia”, non è un caso, è perché prima di tutto deve essere economicamente sostenibile, deve suggerire soluzioni intelligenti e convenienti, oltre che a basso impatto ambientale. In aiuto a chi si trova oggi a dover allineare le due differenti chiavi in cui intendere la sostenibilità arrivano le tecnologie digitali come l’intelligenza artificiale, l’IoT e la blockchain che, se disponibili a basso costo e ad elevata facilità di impiego, abilitano nuovi modelli di business circolari e remunerativi, quindi in grado di prendere piede sul mercato.
Senza il digitale fermi alla fase zero dell’economia circolare
Ad aver compreso il ruolo decisivo che le tecnologie digitali possono giocare nell’adozione di logiche di economia circolare in Italia sono davvero in pochi, solo il 5% delle aziende infatti le impiega in tal senso anche se non manca una generale sensibilità al tema. Dal primo Circular Economy Report 2021 realizzato dal Energy&Strategy Group della School of Management Politecnico di Milano emerge infatti che il 62% delle aziende intervistate ha implementato almeno una pratica di economia circolare o ha giocato un ruolo di supporto ad altre imprese impegnate in tal senso, c’è poi un 14% di imprese che mira ad adottare almeno una pratica di economia circolare nel prossimo triennio e il restante 24% che si dichiara indifferente.
“Tra i settori studiati nella ricerca, quello che ha meglio compreso che le tecnologie digitali permettono di far quadrare i conti dei nuovi business plan ‘circolari’ è l’automotive in cui si vede la propensione a immaginare strumenti di controllo e misura che possono abilitare questo tipo di nuovi modelli. Viceversa, quello dell’impiantistica industriale, che paradossalmente ha fatto tantissimi investimenti nel 4.0, non ha ancora fatto questo passaggio. Così l’Italia si trova bloccata alla fase zero dell’economia circolare pur illudendosi di essere avanti solo per il fatto che ricicla – spiega Davide Chiaroni, vicedirettore dell’E&S Group e curatore dell’indagine – resta ancora tanto da fare e, dal punto di vista delle imprese, c’è ancora da comprendere che, anche se l’Industria 4.0 aiuta a fare efficienza energetica, ridurre scarti e ottimizzare processi produttivi in chiave ambientale, noi non stiamo approfittando del digitale per fare davvero economia circolare”.
Circular economy, il coraggio di investire nel cambiamento dei processi
Le tecnologie abilitatrici non mancano, secondo Chiaroni “ciò che serve alle imprese è il coraggio di sperimentare e di proporre ai propri clienti un nuovo modello, ad esempio di ‘pay per use’ o di ‘pay as a service’. Da un lato c’è l’incognita della reazione del cliente ma dall’altro lato a frenare c’è anche l’inerzia nel non voler mettere mano ai meccanismi di produzione, distribuzione e vendita, investendo in processi e in tecnologie”. Oggi però non si può certo dire che manchino i finanziamenti perché in Europa la transizione verso l’economia circolare ne porta in dote di sostanziosi: circa 670 miliardi di euro oltre ai 900 miliardi del Recovery Plan per la transizione ecologica nel prossimo decennio. In Italia cambiano gli ordini di grandezza ma è già un inizio: siamo sotto ai 5 miliardi di euro tra i 4,24 miliardi di euro stanziati con la Legge di Bilancio 2020 a favore del Green New Deal e gli euro stanziati dal MISE, 157 milioni in finanziamenti agevolati e 62,8 in contributi alla spesa.
La speranza è che tali fondi potenzialmente in arrivo inneschino nel nostro Paese la voglia di iniziare a fare sul serio economia circolare non accontentandosi di restare la “regina della fase zero” ma diventando pioniera delle fasi successive. Per farlo occorre che le imprese accelerino ulteriormente la propria digitalizzazione ma in modo che sia funzionale all’adozione di nuovi approcci sostenibili ambientalmente ed economicamente.
IoT come primo passo verso il “pay as a service”
L’IoT, già fortemente diffuso e con costi non più di tanto impattanti, è di grande aiuto ad esempio per monitorare lo stato delle risorse abilitando così quel modello pay as a service verso cui sarebbe utile virare. “Tutti i prodotti che nascono pensati per fare economia circolare devono avere un sistema di monitoraggio e sensoristica IoT che permetta di tenere sotto controllo cosa sta succedendo a quel oggetto – spiega Chiaroni – ciò accade già per le flotte di auto: se non avessi un sistema che monitora posizione, livello di serbatoio, utente attivo e direzione non potrei immaginare un modello di servizio”. Come abilita l’economia circolare con i veicoli, l’IoT potrebbe farlo anche con gli elettrodomestici: “si sta lavorando moltissimo per implementare in essi delle centraline di controllo simili a quelle nelle macchine, con sensori in grado di dare informazioni sullo stato delle risorse e permettere di fare manutenzione predittiva. In questo modo allungo la vita degli elettrodomestici, chi li utilizza ha un prodotto che funziona meglio e chi li vende come servizio ottimizza gli interventi”.
Assieme a Bosch, l’E&S Group è pronto ad avviare il progetto pilota “Circular Housing” inserendo in un edificio solo mobili ed elettrodomestici “as a service” su cui fare manutenzione predittiva e da rigenerare in loco, scambiando pezzi di prodotti simili. Tutto questo grazie all’IoT come abilitore di questo nuovo modello ma che allo stesso tempo, sempre in ottica di economia circolare, rappresenta anche lo strumento per prevenire comportamenti opportunistici da parte degli utilizzatori di beni non proprietari. “Di fronte a guidatori imprudenti e spericolati di auto as a service, ad esempio, una società americana ha pensato bene di utilizzare l’IoT per vigilare sui loro comportamenti implementando un sistema di penali e di sconti sulle tariffe a seconda del loro rispetto per il mezzo – racconta Chiaroni – conviene perché dal punto di vista del costo quello della sensoristica è risibile paragonato al valore risorsa”.
Intelligenza artificiale e algoritmi per far tornare i conti
Per rendere il modello di pay as a service economicamente sostenibile, ci viene in aiuto l’intelligenza artificiale che, rielaborando i dati catturati dai sensori, è in grado di suggerire come modificare i processi e il business model, minimizzando il rischio di impresa. “Un esempio è quello HP Instant Ink, un programma di abbonamento per ricevere le cartucce d’inchiostro per stampare a casa, restituendo quelle terminate. Grazie ad sistema di sensoristica sulle stampanti viene monitorato il livello di inchiostro e, quando si supera la soglia critica, una nuova riserva di cartucce viene inviata all’utente che restituisce quelle vuote permettendo ad HP di rigenerarle e rimetterle in circolo – spiega Chiaroni – i benefici per l’ambiente sono evidenti ma come faccio a rendere questo modello economicamente sostenibile? Con l’intelligenza artificiale che monitora i dati di consumo dell’inchiostro permettendo di fare una previsione sulla domanda ed elaborare azioni commerciali verso il cliente indirizzandolo verso nuovi abbonamenti o servizi. Se ben ci si pensa HP non ha inventato nulla di nuovo ma ha capito come il digitale poteva abilitare un processo di economia circolare portando guadagno e ha avuto il coraggio di cambiare i propri processi”.
Blockchain e smart contract per un’economia circolare su larga scala
Pensando alla futura diffusione del “pay as a service” e del “pay per use”, si possono ben prevedere tantissimi pagamenti mensili “da abbonamento” e frequenti variazioni di tariffe o richieste di servizi extra. Molto spesso si tratterà di micro transazioni con cifre risibili da gestire in modo pratico, agile ed economicamente conveniente, affinché non affossino tale tipo modello. Prima che si sia già creato il reale problema – e ne siamo ancora lontani – le tecnologie digitali forniscono già la risposta: gli smart contract “semplicemente da associare agli oggetti in modo che se l’utente acconsente ad una transazione automaticamente si attiva un nuovo contratto che le parti hanno definito senza firme su documenti o click”.